A conversation with God

Note sul cortometraggio di Tsai, girato in digitale.

A CONVERSATION WITH GODdi Tsai Ming-liang

 

«Sono saltato in sella alla mia moto con la mia videocamera digitale»: all'opposto dei formalismi di Akomfrah, Tsai Ming-liang materializza il fantasma digitale proposto dalla serie coreana nella liberazione del gesto espressivo, nella rilucenza di una fisicità dello sguardo incarnata nella ideale soggettività consentita dalla leggerezza del mezzo. Il corto di Tsai Ming-liang ha infatti un potere estemporaneo, una disincantata capacità di dissolvere qualsiasi aura immateriale dalle immagini catturate che lascia senza parole,come ripuliti di senso a fronte della forza lustrale di questo semplicissimo lavoro.

Il pretesto di un pedinamento della bellezza che si schianta contro la barriera di un ingorgo e di una festa di quartiere si tramuta nell'occasione per definire un tempo e uno spazio dello sguardo che disincarna qualsiasi alterità. Il potere ancestrale di un "montaggio in macchina" che si affida alla sostanza della presa diretta, si traduce in A Conversation with God nell'emergenza di un disordine adagiato sulla materialità fattuale di corpi, suoni, luci,colori. Le smagliature di uno scenario che si offre da sé all'obbiettivo del regista taiwanese come forza vitale permette allo sguardo digitale di abitare la trasparenza dello stare di fronte ai corpi e agli oggetti del mondo:«Il digitale consente di entrare in contatto col pubblico su un piano personale», dice Tsai Ming-liang, rimandando però a chi sta dopo la telecamera, non di fronte né dietro. Perché ciò che maggiormente si sente in questo lavoro è l'impercezione del tempo e dello spazio occupati dal suo stare in quella festa,tra quei tavoli,in mezzo a quella gente.

La trance del santone che, per tutta la lunga ultima parte, si offre come un'ossessione, è una presenza in assenza di sé perfettamente speculare allo stare del regista e della sua camera in quello spazio e in quel tempo. La sacralità di una "conversa-zione con dio" che corrisponde al silenzio dell'astante, all'assenza del presente: la sostanza è altrove, e il silenzio ne è l'eco: «La mia videocamera non ha catturato alcun Dio. Invece ha scoperto il Pesce, Sotterraneo»...

Massimo Causo