Saga familiare-storica, attraverso tre generazioni di una famiglia di attori e cantanti si ripercorrono gli avvenimenti che hanno marcato la Cina dagli anni Venti alla fine della seconda guerra.

 

FLOWER STREETHua Jie di Yue Feng

 

Hong Kong, 1950, b/n
Con: Zhou Xuan, Gong Qiuxia, Han Fei, Luo Lan

 

Saga familiare-storica, attraverso tre generazioni di una famiglia di attori e cantanti si ripercorrono gli avvenimenti che hanno marcato la Cina dagli anni Venti alla fine della seconda guerra.

Produzione hongkonghese, il film è decisamente pacifista ma, al contrario di altre produzioni coeve della madrepatria, non è apertamente ideologico e le spinte politiche dei personaggi restano vaghe.

È curioso un confronto con This Life of Mine, film coevo ma girato in Cina. Entrambi condividono un'aspirazione irriducibile alla pace, segno di una cultura esausta da decenni di conflitti e carestie. Ampli affreschi storici entrambi, il film cinese è privo di orpelli, al limite del lamentoso e fatalista, teatrale e chiaramente schierato ideologicamente (anche se, si è detto, l'appello alla speranza finale suona posticcio), mentre il film di Hong Kong è più fluido e vago, meno pregno ideologicamente e più melodrammatico, più curato ed estetizzante, indicatore di una società che si costruirà sugli ideali della coesistenza pacifica in vista della prosperità economica.

Entrambi si posizionano all'interno di un vicolo, raccontando il microcosmo brulicante che vi abita. Flower Street prende il nome dalla patriarca della famiglia, che vende appunto fiori. La telecamera si sposta con piacere sensibile tra i commerci e i banchetti; il film comincia proprio con il protagonista che corre tra i vicoli per cercare la levatrice: la moglie è in cinta. La telecamera ha così agio di scivolare tra i personaggi, i risciò e i banchetti di cibo, fiori e gabbie per insetti, imprimendo subito al film uno stile elegante ed estetizzante, tipico del regista Yue Feng e più in generale della nascente produzione hongkonghese di film in mandarino. È nata una bambina, che la nonna chiamerà Daping, "pace", come augurio alla famiglia e alla Cina tutta. I tempi sono però travagliati, e la famiglia deve scappare quando i giapponesi bombardano la città. Si separano nella folla, e resta solo la nonna a custodire la casa. Il film si muove di movimento frammentato e impressionista, con personaggi che scompaiono per riapparire cinque anni dopo senza spiegazioni, lasciando anzi allo spettatore il compito di immaginare le traversie che hanno sopportato. Il centro è la via, e i locali che su essa si aprono: la casa, si è detto, e la casa da tè che ospita i duetti comici-musicali del padre e poi, una volta ritornate in città, di madre e figlia. Quest'ultima è interpretata da Zhou Xuan, stella dal tragico destino (matrimonio violento, aborto, la malattia mentale e la morte in manicomio...), amatissima dal pubblico cinese. Il ruolo che la fece conoscere fu in Street Angel nella parte della giovane protagonista. Da allora Zhou Xuan ha interpretato numerosi film, soprattutto a Hong Kong (v. Sorrows of the Forbidden City) dove si ritira dopo la guerra, dopo aver partecipato a numerose rappresentazioni on stage per promuovere la resistenza antigiapponese. In particolare, l'attrice partecipò a numerose commedie e drammi sentimentali con inseriti dei chaqu, ovvero dei siparietti musicali dove l'attrice canta (come già in Street Angel). Spesso le canzoni erano scollegate dal contesto, e raggiungevano un'enorme popolarità. Sovente esse erano accompagnate sullo schermo dalle parole, percorse da un cursore che indicava il ritmo, karaoke ante litteram. Secondo Stephen Teo (Hong Kong: the Extra Dimention) le canzoni di Zhou Xuan avrebbero originato la tradizione del pop mandarino nonché il gechang pian, ovvero il musical moderno.

Anche qui le canzoni di Daping sembrano estratte dal contesto, squarci lirici che punteggiano il film. Inizia anche a svilupparsi un triangolo amoroso, con il classico pretendente ricco che riempie di regali la ragazza, e l'altro pretendente, idealista e povero, che la rimprovera di essere frivola. Ma anche questo discorso viene lasciato perdere dal regista, che si concentra sui giochi di luci ed ombre (suona la sirena che allerta dell'arrivo degli aerei nemici, si abbassano le luci e si tirano le tende, un momento di disattenzione provoca un bagliore inatteso nelle strade), sul palco della sala da tè, sugli attori, sulle immagini già archeologiche di una Cina persa per sempre, ma rimpianta con nostalgia.

Il padre torna a casa, dopo aver sofferto umiliazioni e patimenti. I giapponesi spadroneggiano, arrivando pure a picchiare la nonna; il discorso antimperialista è deciso e forte: il padre si rifiuta, per esempio, di cantare un pezzo intitolato "l'amicizia tra i popoli dell'Asia", che gli è imposto dalla direzione della sala da tè. Si fa pestare, ma non cede. Poi la scena cambia di colpo, e la guerra è finita, e le tre generazioni si ritrovano sotto lo stesso tetto alla luce della luna ed esprimono un voto ciascuna, voti che esplicitano le aspirazioni alla pace e stabilità sociale nel cuore di tutti i cinesi all'epoca.

Flower Street è uno dei più fulgidi esempi di quello che viene definito "nazionalismo culturale", contrapposto all' "imperialismo culturale" rappresentato dall'invasore giapponese che tenta di imporre i temi delle canzoni. Al contrario della Cina popolare, dove si svilupperà un nazionalismo ideologico comunista, e dove la cultura tradizionale verrà rigettata come eredità impura e malsana del feudalesimo (per essere sostituta da ibridi quali i balletti rivoluzionari, cfr. Red Detachment of Woman, e film tra il realismo socialista e il classico hollywoodiano), a Hong Kong nasce e si sviluppa un interesse acuto e archeologico per una cultura tradizionale appartenente all'altrove, la nazione perduta per sempre che si innesta su un territorio in parte alieno, dalle differenti tradizioni e dialetti. Qui in particolare l'accento di Pechino, la ricostruzione di performance teatrali, nonché la rievocazione del mondo degli artisti di strada, contribuiscono a creare un mondo lontano (e che si allontanerà sempre più) caro tanto ai nuovi immigrati dal continente, che vi ritrovano atmosfere familiari, quanto agli abitanti di Hong Kong, per i quali il cinema mandarino rappresenta un alto modello di raffinatezza e cultura.

Corrado Neri