Taiwan: cinema e lettteratura

Il Nuovo Cinema Taiwanese nasce e si sviluppa all'inizio degli anni 80. Il cinema esige di essere considerato un'arte; fa proprie le suggestioni della Nouvelle Vague e del Neorealismo italiano per esprimere sentimenti personali (degli autori) e una realtà sociale spesso passata sotto silenzio. Si rivaluta il cinema per le sue specificità, alla ricerca di un linguaggio nuovo ed efficace. Molte opere sono tratte da novelle e romanzi. Si tratta di una contraddizione?

TAIWAN: CINEMA E LETTERATURA

 

Forse può sorprendere che alcuni dei film della Nouvelle Vague taiwanese degli anni ottanta abbiano caratteristiche formali neorealiste e contemporaneamente una chiara matrice letteraria (numerosi adattamenti di novelle e romanzi degli anni sessanta e settanta). Il caso più rilevante è Erzi de da wan'ou/The Sandwich Man (1982), uno dei film capostipite del movimento del Nuovo Cinema che adatta per lo schermo tre novelle dei primi anni Sessanta del celebre scrittore Huang Chunming (Hwang Chun-ming). La regia del primo episodio è affidata a Hou Hsiao-hsien, il secondo ed il terzo portano la firma rispettivamente di Zeng Zhuangxiang e Wan Ren.

Huang Chunming è elemento di spicco della letteratura taiwanese, attivo da più di trent'anni. Vi è un'apparente contraddizione nel fatto che un film che si vuole nuovo, consapevole cioè delle specificità del suo linguaggio e dell'autonomia della sua forma, faccia riferimento a delle novelle di uno scrittore estremamente noto. Due considerazioni sono necessarie, una di ordine generale, l'altra più specifica riguardo alla situazione dell'isola di Formosa.

Innanzi tutto basterebbe citare La terra trema (1948), uno dei principali film del neorealismo, opera di un giovane Luchino Visconti tratta, come è noto, da I Malavoglia (1881) di Verga. Anche lì, con una rivoluzione copernicana, ma restando in qualche modo fedele, il cinema riesce a cogliere le particolarità del romanzo trasformandole in suoni ed immagini: la lingua ruvida e ostile, la natura imponente che si fa quasi personaggio. È un approccio parallelo a quello del romanzo che si sforza di rendere leggibile la storia di una famiglia, pur lasciandola immersa nel suo ambiente naturale. Visconti non può fare affidamento sul ritmo della lettura: parole che si leggono a voce bassa, costruzione delle frasi ripetitiva e salmodiante, blocco fisico che si pone davanti al lettore come un gomitolo da srotolare con pazienza. Piuttosto, il regista mantiene con mezzi cinematografici la naturalezza dei personaggi, ne coglie l'arcaicità che assume dimensioni mitiche, la spontaneità che fonda un diverso tipo di cinema, senza attori ma solo personaggi.

Un discorso non dissimile si potrebbe fare per quanto riguarda Huang Chunming e i registi che adattano le sue opere sullo schermo. Erzi de da wan'ou è un'opera collettiva, quindi in qualche modo anche generazionale, che esprime le esigenze ed i progetti di una nuova generazione di cineasti, ambiziosi (a parte forse il modesto, o forse onesto, Hou che fa un cinema che sembra una naturale esigenza espressiva, sincera al limite della ingenuità) ma con poca esperienza (ancora una volta: a parte Hou). Oltre ad essere un'occasione per loro di cimentarsi con la narrazione cinematografica, sfruttandone, per la prima volta a Taiwan, il potere affabulatorio senza trucchi espliciti, è anche un'opera che chiaramente esprime il tentativo del cinema di mettersi in pari con la narrativa, che, nonostante la censura ed i problemi politici, aveva conosciuto spinte riformiste e tentativi di modernizzazione molto prima della settima arte.

Le ombre elettriche, schiacciate finora da una macchina produttiva e commerciale che non lasciava vie d'uscita, e da una censura particolarmente feroce visto il potere innegabile del mezzo di raggiungere vasti strati della popolazione, rivendicano così la propria maturità e la possibilità di affrontare gli stessi temi adulti che la letteratura locale tratta da un ventennio, e l'esigenza di affrontarli con la medesima serietà.

È negli anni Sessanta che si iniziano a tradurre a Taiwan autori occidentali moderni come Kafka e Joyce ed inizia un movimento strutturato attorno alla rivista Xiandai wenxue che mira a modernizzare la letteratura cinese, schierandosi apertamente per un romanzo ed una poesia modernista, sperimentale, fortemente occidentalizzata, spesso iconoclasta. È difficile schematizzare in gabbie eccessivamente strette, ma come è noto è una tendenza cinese quella di etichettare se stessi o l'avversario in quanto appartenenti ad un gruppo, ad una coalizione, ad un movimento: non sono solo i critici, occidentali o cinesi che siano, ma gli scrittori stessi, e con orgoglio, che si autodefiniscono "modernisti", e indicano la loro produzione come "letteratura modernista" (xiandai wenxue). Sono molti gli elementi che ricordano il movimento del Quattro Maggio e la letteratura dei primi anni del secolo in Cina continentale: il senso di insoddisfazione verso la letteratura tradizionale, il ricorrere alla letteratura europea moderna (a cavallo del secolo) quale modello, l'utilizzo di una lingua che fosse più vicina al popolo e lontana dalle codificazioni strette della lingua letteraria convenzionale, e via dicendo. Elementi di spicco del movimento sono Wang Wenxing e Bai Xianyong. Mentre il secondo mantiene uno stile personale ma tradizionale, colto e raffinato, e descrive personaggi decadenti e malati, creando un universo quasi viscontiano (con opere come Taipei ren/Wandering in the Garden, Waking from a Dream, Niezi/Crystal Boys), il secondo si lancia invece nella decostruzione della lingua stessa, nello smontare il meccanismo letterario partendo dalle sue basi, con forti attacchi, venati da un certo romanticismo rivoluzionario, contro la famiglia tradizionale cinese (Jiabian/A Family Catastrophe, Beihai de ren/Backed Against The See).

Si oppongono a questo movimento i così detti nativisti, che scrivono xiangtu wenxue (letteratura nativista). I principali scrittori nativisi sono Wang Chen-ho e Huang Chunming. Questo genere di letteratura mantiene un approccio estremamente tradizionale nei confronti della lingua e del racconto, presentando spesso novelle o racconti in terza persona, con personaggi ben definiti ed in evoluzione. L'ambiente è la campagna, il villaggio, spesso opposti come stile di vita e valori alla vita cittadina; si trattano i problemi del boom economico che si è piovuto sull'isola, delineando i caratteri di chi resta indietro, schiacciato dalla macchina del progresso. I protagonisti sono gli strati più bassi della popolazione, che si confrontano con un mondo che non capiscono: prostitute (come in Meigui meigui wo ai ni/Rose, Rose I Love You di Wang Chen-ho oppure in Kan hai de rizi/A Flower in the Rainy Night di Huang Chunming), contadini (ricorrenti nelle opere dei due autori citati, ma anche nelle novelle di Cheng Ch'ing-wen), poveri che tentano di mantenere la propria dignità attraverso prove estenuanti.

Anche il linguaggio utilizzato dagli autori nativisti è una ricerca delle radici, in quanto si avvicina alla lingua taiwanese autoctona, ne fa propri gli stilemi e gli accenti, le ridondanze e la naturalezza espressiva. Naturalmente, come nel caso di Verga, la trascrizione del dialetto non può essere esatta e precisa, ma sempre riadattata in modo che possa essere leggibile.

Un punto fondamentale che non bisogna trascurare è che i lettori di queste opere "veriste" non sono i contadini loro protagonisti, ma la nuova borghesia cittadina che si sta formando e che si trova spaesata nell'anonimato della grande città, e che legge e ricorda con nostalgia (mentre costruisce grattacieli e guadagna soldi) il mondo rurale, bucolico, la microciviltà contadina che ha mantenuto intatte per secoli le sue leggi interne, poco toccata dalla politica e dalle trasformazioni economiche, e che solo ora affronta il dramma del cambiamento. Molte opere sono un'elegia accorata dei vecchi tempi, un canto funebre per un'antica e perduta saggezza, una straziante nostalgia per la terra e le abitudini ad essa legate.

Paradossalmente, e ad enorme differenza rispetto alla Cina popolare, sono proprio le opere nativiste ad essere attaccate dalla censura, perché reazionarie e sospette di simpatie socialiste, visto che molte di esse esprimono da un lato insoddisfazione per la condizione attuale di sofferenza degli strati più bassi della popolazione, dall'altro una forte nostalgia per la patria perduta, dove è impossibile tornare, tanto più che l'idea della riconquista del continente, sbandierata per due decenni a Taiwan, diventa sempre più improbabile. Molte di queste opere richiamano il concetto d'identità cinese e partono alla ricerca di radici perdute.

È da cogliere il movimento di ritorno di questa letteratura, tipica di stati del Terzo Mondo, ancor più tipica delle ex-colonie. Dopo un lungo periodo di occupazione giapponese, dopo le ondate migratorie a diverse riprese dalla Cina, la presa del potere del Guomindang, e l'invasione neo-colonialista americana (non cioè un'occupazione fisica ma culturale), l'identità Taiwanese è frantumata, spezzata in un mosaico di lingue, di stimoli, di culture. L'isola si pone come depositaria della cultura cinese, ultimo ed effettivo baluardo della civiltà millenaria, quando però è sempre stata, per la sua posizione geografica, periferica rispetto alla Cina, lontana dal Fiume Giallo e dalla Grande Muraglia, e tutte le vestigia del fastoso passato (o quel che ne resta) sono su un continente perduto, in cui vivono parenti e amici ma in cui non si può mettere piede e da cui non si ricevono notizie, se non deformate dalla propaganda governativa.

Si fondono così il motivo dell'esilio e della memoria: il sentimento d'esilio viene dall'essere fisicamente separati dalla Cina che è la madre patria, dal fatto che in fondo ciò che si vuol preservare (questa fantomatica ma ossessivamente richiamata cultura cinese) è stata proprio nella secolare Cina cancellata dalla Rivoluzione Culturale e si mantiene, fiammella effimera, su un'isola che ha parlato giapponese sino alla fine degli anni Quaranta. Il sentimento d'esilio si mescola poi all'alienazione del mondo contemporaneo, un mondo che, è indispensabile ricordarlo, non ha conosciuto se non negli anni Cinquanta una rivoluzione industriale e che ha visto il suo suolo, nel giro di un ventennio, riempirsi di città, di grattacieli, di fabbriche, di prodotti culturali e di consumo occidentali. Parallelamente, come un pendolo, il movimento della scrittura e del sentimento si rivolgono alla memoria, la quale richiama giorni diversi, i giorni dell'infanzia, i giorni del primo amore, i giorni della vita familiare, tradizionale, immobile ma che, proponendosi come strutturata ed inflessibile, non permette di dubitare della propria identità. L'avere un credo, sia politico sia religioso, che si afferma insieme è sufficiente per fondare una comunità, e per potersi definire con chiarezza come appartenenti a qualcosa. Da tutte queste concause appare chiaro perché C.T. Hsia identifica un tema unificante della letteratura moderna cinese, parlando di una "obsession with China". Il professore fa partire questa ossessione dal movimento del Quattro Maggio, definendo questa tendenza un "obsessive concern with China as a nation afflicted with a spiritual disease and therefore unable to strengthen itself or change its set ways of inhumanity". È una tendenza innegabile, tanto della critica quanto degli scrittori stessi, il trasformare i personaggi e le situazioni dei racconti in allegorie politiche che rappresentano la nazione tutta, e ancora tendenza comune è il cercare un modo di espressione personale, ed un nuovo ordine esistenziale, ma inscrivendo questa ricerca nel contesto della cultura della madre patria, quasi che solo riuscendo a definire la nuova identità cinese (perché i cambiamenti del mondo che va verso una globalizzazione uniformante non possono essere ignorati) si possa definire anche la propria. Si tratta però di un carattere che va difeso, perché il livellamento culturale in favore di una occidentalizzazione forzata è fenomeno ben reale e difficilmente reversibile. Ciò che più spesso viene criticata è l'inerzia della popolazione cinese, che non conquista ma assorbe, e si conforma.

Tutto ciò per dire come Erzi de da wan'ou, e poi anche altri adattamenti per lo schermo dell'opera di Huang Chunming, così come i film di Hou Hsiao-hsien di ambiente rurale, oltre ad accogliere elementi personali e esigenze dei singoli autori, portano in grembo un'ossessione per la Cina, e la ricerca di un'armonia che garantisca il possesso sicuro di un'identità che si teme perduta: la figura del protagonista dell'episodio girato da Hou, che si deve truccare da pagliaccio snaturando i tratti del suo volto sino ad essere irriconoscibile per guadagnare i soldi per vivere, oltre ad essere un bel personaggio, malinconico ma in fondo coraggioso, può anche essere letto come grande allegoria, dove K'un Shu (questo il suo nome) rappresenta la Cina intera. Nel suo articolo su questo problema, Robert Hegel scrive, a proposito del racconto e commentando anche le parole del suo maestro, C.T. Hsia, sull' Obsession with China: "While certain Chinese critics obsession with express alarm at the social and political tendentiousness of representative works, I believe far more of the artistry of Regionalist writers can be seen in its exploration of the problems of identity faced by individuals caught in the midst of rapid social change."

Credo dunque che la forza dei film del Nuovo Cinema taiwanese sia proprio nella verginità dei territori che gli scrittori prima, ed i cineasti poi, vanno ad esplorare. Ciò potrebbe sembrare paradossale trattandosi di un movimento che ricerca radici e ragioni d'essere del popolo cinese. Pur partendo da presupposti diversissimi, ed arrivando a conclusioni estetiche e formali opposte, sia Hou Hsiao-hsien sia Yang Dechang, i principali autori del ventennio, non si abbandonano mai ad un cinema di pura espressione personale, di delirio romantico, di esposizione di ossessioni monomaniache. Hou gira addirittura un'autobiografia; ma con che distacco, con che spirito di contemplazione! Nulla di paragonabile alle ossessioni religiose di un Bergman o di uno Scorsese, o al tormento erotico - estetico del tardo Visconti. Se c'è un'ossessione, ebbene è un'ossessione formale: entrambi i registi taiwanesi, intervistati sul loro lavoro, affermano di partire, al momento della stesura del copione, dall'ambiente in cui si trovano. Questo vale tanto per Hou, che costruisce le sue storie attorno ad una casa (Tongnian wangshi/A Time to Live, a Time to Die; Haishang hua/Flowers of Shanghai...) o un villaggio (Dongdong de jiaqi/Summer at Granpa's), quanto per Yang Dechang, che parlando di Qingmei zhuma/Taipei Story dice che non aveva scritto in un primo momento nessun copione, che l'importante era per lui riuscire a descrivere i contrastanti sentimenti che gli suscitava la città, ed i personaggi sono come affiorati spontaneamente dal contesto urbano. Così, per entrambi gli autori, la grande novità è un differente approccio alla realtà, una realtà che al cinema era sino allora sempre stata descritta secondo regole codificate, coperta da un velo, addomesticata. Mentre uno (Yang Dechang) scopre progressivamente un linguaggio cinematografico complesso e autoreferenziale, sommando flashback a montaggi paralleli di vicende di personaggi che non si conoscono (Kongbu fenzi/Terrotizers), raggiungendo alti gradi di astrattezza, l'altro (Hou) vi si accosta con un atteggiamento più realista, ben sapendo naturalmente che il catturare la realtà tale e quale altro non è che un'utopia, ed è una questione di scelte di quadro, di disposizione geometriche di personaggi, di lontananza o vicinanza della telecamera. In entrambi però c'è un forte spirito di scoperta (o di riscoperta), l'emozione di esplorare territori vergini, la freschezza della definizione.

Secondo la terminologia più politica di Roy Armes,file:///C:/Users/User/Desktop/Asiamedia/ASIAMEDIA/Asia%20media%20sito/taiwan/schede/letteratura.html#Anchor-Ro-13146 si tratta di "decolonizzare la cultura".

Dall'inizio degli anni Ottanta si moltiplicano gli adattamenti da opere letterarie, a partire proprio da Erzi de da wan'ou. Huang Chunming vedrà sullo schermo molti dei suoi racconti: Wo ai Mali/I Love Mary (Ke Yizheng, 1984); Kanhai de rizi/A Flower in the Rainy Night (Wang Tong, 1983); ma anche Bai Xianyong vede la sua opera sullo schermo: Yuqing sao/Jade Love (Zhang Yi, 1984); Niezi/The Outcasts (Yu Kang-ping, 1986); vengono adattate opere di Li Ang (Shafu/Woman of Wrath, Zeng Zhuangxiang, 1984), Wang Chen-ho...

Due mondi, quello letterario e quello cinematografico, che erano a lungo rimasti separati (si adattavano i romanzi rosa di Qiong Yao, ma non si trattava di opere discusse sulle principali riviste letterarie dell'epoca) ora trovano un effimero idillio. Siamo in un mondo che non ha conosciuto il dibattito occidentale sulla realtà del cinema, pertanto l'opera letteraria è accolta dal cinema taiwanese (come accade in parallelo in Cina popolare) con benevolenza, essendo un vasto repertorio di storie e personaggi conosciuti che ancora non si era osato filmare, e che hanno in aggiunta il pregio di attirare un vasto pubblico. È ironico il fatto che proprio dalla xiangtu wenxue, la letteratura legata al suolo, più particolare, più provinciale anche in quanto strettamente connessa al dialetto e all'espressione popolare difficilmente traducibile, prenda il via la spinta che rinnoverà il cinema di Taiwan dandogli una sua modernità. Dunque è la letteratura nativista che ispira i cineasti, e non gli scrittori che si autodefiniscono moderni e che scrivono sulla rivista Xiandai wenxue: più tardi il morboso e affascinante Bai Xianyong viene adattato sullo schermo, ma è impossibile (o quantomeno arduo) farlo con i deliri verbali di un Wang Wenxing, che sono di una modernità forzata, decisa a priori e dunque inevitabilmente arida.

Il locale, pare di poter concludere, riesce, condensando valori, estetiche, ritmi di una cultura, ad essere più moderno di tutti gli esperimenti che si vogliono innovativi. Tanto più una cultura riflette su se stessa e sulle proprie peculiarità, tanto più riesce a farsi udire anche al di fuori dei suoi confini nazionali. In questo senso non vi è contraddizione nel fatto che il Nuovo Cinema raggiunga la maturità artistica e si faccia portavoce internazionale delle cultura taiwanese proprio attingendo a quelle novelle accusate dai (post)modernisti d'essere troppo locali, di vedute ristrette, tradizionali. Il bacino di storie e personaggi è ampio, e ancora poco sfruttato. Usando le tracce narrative di scrittori già affermati, sovente il cinema riesce a livello contenutistico ad andare dove non era mai andato prima, a infrangere alcune barriere censorie, e può infine sperimentare anche a livello formale le sue specificità: il ritmo, le inquadrature, la lingua risonante e viva.

Note
Nato nel 1947 ha compiuto studi a Taipei ed in America, dove si specializza in Film Studies. Tra gli altri film come regista ricordo Wuli de disheng (The Flute Sounds in the Mist; 1984); Shafu (Woman of Wrath, 1984).

Anche lui, come molti cineasti del Nuovo Cinema ha frequentato l'università a Taipei per poi specializzarsi negli Stati Uniti, dove riceve un MA in Film Studies. Realizza un paio di film in 16mm prima di partecipare al progetto di Erzi de da wan'ou, che lo consacra come riconosciuto cineasta. Dall'inizio degli anni Ottanta comincia a girare a Taiwan. Tra i suoi film più importanti ricordo Youma caizi (Ah Fei/Rapeseed woman, 1983), Chaoji shimin (Super Citizen, 1985).

Tradotto in Lau (a cura di), Chinese Stories from Taiwan, pp. 195-241.

La novella più rappresentativa è forse Ni si yi zhi lao mao/The Drownig of an Old Cat (1987) di Huang Chunming, che apre la raccolta The Drawning of an Old Cat and Other Stories (a cura di Howard Goldblatt) in cui un vecchio non accetta la costruzione della piscina che sfregia l'architettura del villaggio natale, immutata da secoli, e si suicida come estremo gesto di protesta, senza tra l'altro che questo suo gesto disperato possa fermare il progresso che avanza.

Alla fine degli anni Ottanta questo equilibrio è cambiato ed ora i taiwanesi sono anzi invitati dalle autorità cinesi a visitare i propri parenti sul continente (e ad investire nelle imprese cinesi).

C.T.Hsia, "Obsession with China: the Moral Burden of Modern Chinese Literature", in A History of Modern Chinese Fiction, New Haven, Yale University Press, 1961, pp. 533-554.

Ibid. p. 533-34.

In Jiuguo di Mo Yan (1998), è inserito un romanzo nel romanzo. Un personaggio invia ad uno scrittore di nome Mo Yan dei racconti. Parlando di uno di questi lo definisce "Il diario di un pazzo degli anni novanta", facendo riferimento all'opera più celebre di Lu Xun, e dimostrando così come le categorie di cui stiamo discutendo non siano affatto sorpassate, anzi ancora i testi sono presentati come allegorie, come specchi della società, come le tradizionali raccolte di racconti e poesie (lo Shijing in primis) raccolte dall'imperatore per conoscere i sentimenti del popolo.

Hegel, Expression of Self in Chinese Literature, Columbia University Press, New York, 1985, p. 343.

Roy Armes, Third World Film Making and the West, Berkely. California University Press, 1987.

Si pensi alle discussioni teoriche di Siegfried Kracauer o André Bazin sulla realtà al cinema, la rivendicazione per la settima arte di uno spazio autonomo assolutamente indipendente dalla letteratura, i tentativi di affrancare un mezzo nato sotto la schiavitù del teatro (i primi film di fiction sono testi teatrali ripresi frontalmente, così come le prime fotografie per nobilitarsi assomigliano a dei dipinti barocchi), i problemi sull'eccessiva importanza della parola sullo schermo che portano negli anni Sessanta alla nascita della Nouvelle Vague, e ancor prima agli esperimenti del cinema espressionista tedesco. 

Corrado Neri