The new one armed swordsman - Xin Dubi Dao

Zhang Che ritorna al personaggio che gli diede la gloria: lo spadaccino monco. Lancia una nuova star per gli anni settanta, David Chiang. Uno dei primi wuxiapian distribuiti in occidente. Analisi di un film culto.

THE NEW ONE ARMED SWORDSMAN - XIN DUBI DAO

 

HK/1970/90'
Prod: Run Run Shaw
Reg: Zhang Che
Int: David Chiang, Ti Lung, Ku Feng, Chen Hsing, Wang Chung, Cheng Lei

Ritorno di Zhang Che al suo tema preferito (ed al soggetto che gli diede notorietà): l'eroe monco, handicappato, mutilato (One Armed Swordsman/Dubi dao, 1967). L'attore Wang Yu, cui il primo capitolo delle avventure dell'eroe monco diede la gloria, è stato sostituito da David Chiang, che diverrà l'attore feticcio di Zhang Che negli anni settanta (sovente in coppia con Ti Long).

David Chiang incarna Lai Li, spadaccino tanto valente quanto orgoglioso. La sua boria lo fa cadere facile trappola di Long, un potente locale cattivissimo e subdolo che lo induce al duello. Sconfitto, il giovane si taglia da solo un braccio. Anni dopo ritroviamo l'eroe: è in una taverna dove serve ai tavoli. Non ha affatto perduto le sue arti marziali (il suo kung fu) che hanno qualcosa di magico e all'apparenza innato; non avviene dunque come per il primo One Armed Swordsman, che dovette imparare tutto daccapo, poiché menomato del braccio destro. La taverna è frequentata da una bella giovane che vorrebbe vedere tornare in azione il suo protetto Lai Li. Arriva al punto di donargli una spada (il comportamento è contrario rispetto a quello della contadina del primo capitolo, che tentava invece di tenere a casa il soldato menomato). Ella non riesce però a smuovere il carattere testardo del ragazzo, che ha deciso di punirsi rintanadosi nell'anonimato, risolto a mai più impugnare un'arma in vita sua. La bella si fa pure importunare dai cattivi locali, senza successo. Lui non vuole più combattere.

Dove la bella non riesce, riesce il bello: un eroe solitario, spadaccino senza paura, arriva in città per contrastare lo strapotere del clan della tigre, capeggiato in segreto da Long. L'eroe riconosce Lei Li, lo osserva comodamente seduto su una corda tesa all'entrata della taverna, gli fa tornare il sorriso. Se spesso le interpretazioni che vedono dell'omosessualità latente nei film di cappa e spada, facilitati dal fatto che si tratta d'un mondo quasi esclusivamente maschile, ovvero dove le donne si travestono da uomini e nessuno le riconosce (tranne nei delicati film di King Hu), qui i sorrisi che si scambiano i due cavalieri, intervallati da pacche sulle spalle e ammiccamenti, sono difficilmente equivocabili. La povera ragazza è un pretesto. La scena più esplicita (e divertente) è quando i tre, insieme, tornano al villaggio. Lei Li prende sottobraccio (con la mano sinistra) il coraggioso eroe interpretato da Ti Long, e quando si avvicina la ragazza per camminare insieme a loro, non le resta che afferrarsi alla manica destra, vuota. Non è l'unica; i critici si sono divertiti a notare come il cavaliere tenti più volte di smuovere Lei Li dalla sua codarda fuga dal mondo rivolgendogli frasi cariche di sottintesi come, per dirne una "lo so chi sei in realtà. Perché non accetti la tua vera natura?" e via dicendo.

Come se non bastasse, è proprio il sacrificio dell'amico a fare tornare Lei Li alle armi. Il cavaliere si muove infatti alla volta del castello di Long, dopo aver tentato invano di convincere Lei Li ad accompagnarlo. Combatte strenuamente, ma va incontro ad una fine tragicamente gore: gli sgherri di long lo squartano in due. Si è detto, Zhang Che non tanto per il sottile e non risparmia certo gli eroi da torture e morti terribili, anzi sembra accanirsi specialmente sui corpi muscolosi e madidi di sudore di questi ultimi. Ebbene, lei li viene infine colto da una furia omicida di vendette, incarnando infine l'ideale virile di onore e coraggio (oppure che dir si voglia l'amante stravolto dal dolore). La sua furia è leggendaria, e le sequenze del massacro sono entrate nella storia del cinema: Lei Li combatte sul ponte che porta al castello centinaia di nemici, tra salti acrobatici, mutilazioni efferate, cascate spettacolari, alternanze di campi totali (tutto lo scenario apocalittico del ponte gremito di spade sguainate, l'eroe solitario che piroetta in mezzo), campi medi (il cavaliere affronta un grappolo di nemici sferrando un colpo velocissimo, tutti si immobilizzano, l'eroe resta in posa plastica mentre i cattivi si accasciano al suolo tra urla e strepiti e giravolte), primi piani (degli occhi di David Chiang, spesso inquadrati da uno zoom selvaggio e incorniciati da un giungle elettrico che fa la gioia dei fan dei dorati anni settanta). Per finire, il grande duello contro il cattivissimo Long. Quest'ultimo viene naturalmente fatto fuori, ma in modo rapidissimo e violento. Zhang Che usa il montaggio analitico (come dice Pezzotta, che a sua volta cita Bordwell che a sua volta utilizza una termine di Pudovkin: costruttivista) che permette di rendere i suoi eroi destrissimi giocolieri, dando l'idea dell'azione attraverso un'oculata scelta di frammenti dei movimenti: Lei Li lancia in aria con un piede tre lame, e le lancia una dopo l'altra contro il suo oppositore. Prima lo mutila di un braccio, poi lo finisce squartandolo. È da notare come le mutilazioni che Lei Li infligge a Long siano parallele a quelle che quest'ultimo aveva inflitto a lui (l'amputazione del braccio) e all'amico cavaliere (segato in due). Vi è dunque una sorte di retribuzione, un contrappasso dantesco (mutatis mutandis) che sembra voler suggellare la chiusura del circolo del destino (il karma; si veda anche Crippled Avengers/Can que, Zhang Che, 1978). Senza dimenticare il godimento sadico nella tortura ed il calcolo cinico nella rappresentazione della violenza.

Alla fine arriva di corsa la ragazza; il pubblico scoppia a ridere; Lei Li si allontana disgustato. Zhang Che perfeziona e porta alle estreme conseguenze la sua figura di eroe solitario, misogino e contrariato. L'espressione disgustata con cui David Chiang si allontana dal campo di battaglia è entrata nella leggenda: biancovestito, monco di un braccio, le labbra arricciate in una smorfia disperata, il cavaliere reticente scavalca decine e decine di cadaveri accatastati sul mitico ponte degli studi Shaw, scoparendo lentamente all'orizzonte. Già compaiono i titoli di coda.

Oltre che per la violenza godereccia e per la visione sadomaso del mondo della cavalleria, Zhang Che è amato da pubblico e critica per il suo particolare stile nella rappresentazione della velocità nei combattimenti, mediata dai suoi successori hongkonghesi fino ad essere (insieme e in modo complementare a King Hu) recepita negli Stati Uniti e diventare modo di fare (stile, griffe, procedimento) che si estende a buona parte della produzione di film d'azione americani contemporanei, come l'effetto contagioso di un virus iniettato nei sistemi di rappresentabilità che ha saputo varcare alcune barriere della visibilità (o invisibilità) al cinema.

Note
"Long takes and a panning camera allow us to see the flow of the choreography. This smoothness is difficult to provide on location, but in a studio one can carefully rehears an extended combat sequence. Many of the Shaw films use the long take to display delicate choreography within the Cinemascope frame". Bordwell, David, Planet Hong Kong, Harvard University Press, Cambridge, 2000, p. 210.

Pezzotta, Alberto, Tutto il cinema di Hong Kong, Baldini & Castaldi, Milano, 1999, p. 79.

"By blending martial-arts techniques with the Chinese acrobatic and theatrical tradition, choreographers have created flamboyantly stylised combat." Bordwell, David, Planet Hong Kong, Harvard University Press, Cambridge, 2000, p. 217. 

Corrado Neri