Crippled Avengers - Can Que

Film d'estrema fantasia, la violenza è declinata nel suo aspetto più farsesco e autoreferenziale. Una lettura critica di uno dei più deliranti film del maestro Zhang Che.

 

CRIPPLED AVENGERS - CAN QUE

 

Hong Kong/1975/103'
Prodotto da Run Run Shaw
Regia: Zhang Che
Interpreti: Ching Li, Yueh Hua, Tsung Hua

Film faro, compendio tematico ed estetico dell'esperienza artistica di Zhang Che, Crippled Avengers è a tutti gli effetti un film culto. Assolutamente selvaggio, volutamente parodico (un secondo grado di lettura è esplicitamente chiamato alla lettura quando altrove, in Zhang Che, regna una serietà sinistra), scatenato compiacimento estetico nelle scene di battaglia, Crippled Avengers è pieno di crudeltà gratuite, di misoginia senza appello, e impernia a fondo l'interesse sui rapporti di amicizia e complicità virile, traboccando di allusioni omoerotiche celate a malapena.

A questo proposito bisogna prendere nota del fatto che, nonostante la maggior parte dei critici, tanto hongkonghesi quanto occidentali, abbiano rilevato l'insistenza delle rappresentazioni falliche e l'ossessionante ripetersi di occhiate languide ed equivoci abbracci tra compagni d'armi, il regista ha ripetuto di non aver mai deliberatamente inserito tematiche omosessuali nei suoi film. Lo ripete anche nel documentario Yang+Yin: Gender in Chinese Cinema, di Stanley Kwan (1996); quest'ultimo pone domande a Zhang relative a questo tema, ed il regista risponde solamente che il suo interesse era togliere tutte quelle femmine dallo schermo, perché non ha senso vedere una donna lottare in un wuxiapian. Questa misoginia accentuata, e l'ossessione per i corpi muscolosi, seminudi che spesso finiscono squartati o trafitti da lame e frecce dei suoi eroi, hanno portato ad alcune freudiane interpretazioni di imbarazzante (e divertente) evidenza.

Le prime scene già introducono i temi favoriti di Zhang, ovvero la crudeltà e le mutilazioni corporali. Tre cavalieri fanno irruzione nella magione dei Lu; il capofamiglia è assente, così i tre se la prendono con moglie e figlio, tagliando le gambe alla prima e le braccia al secondo. La donna muore immediatamente, e sarà la prima e l'ultima donna di tutto il film. Tolto di mezzo l'ingombrante elemento femminile, Zhang si può concentrare su ciò che più lo interessa: i valori cavallereschi di lealtà virile che agiscono spesso anche in conflitto con la società. Si avvera infatti subito un ribaltamento di prospettive: lo spettatore si aspetta infatti di seguire la vendetta del piccolo senza braccia. Invece il film copie un'ellissi forte: sono passati gli anni, il figlio è ora un solido ragazzone con due invincibili mani di metallo; ma soprattutto, è diventato cattivissimo! Non è affatto l'eroe ferito in cerca di vendetta che ci si potrebbe aspettare! (dunque i crudeli cavalieri dell'inizio, viene da pensare, erano forse gli eroi di un altro film che vendicavano a loro volta una passata ingiustizia subita dal crudele Maestro d'arti marziali).

I Lu, padre e figlio, si aggirano per la città indisturbati a petto gonfio: sono i capi locali, possono permettersi qualunque angheria, e tutto il villaggio vive terrorizzato dalle violente rappresaglie della tremenda famiglia. In successione, e in un lasso brevissimo di tempo, si moltiplicano le mutilazioni, una sorta di retribuzione tardiva al male patito da piccolo per il giovane torturatore. Si applica di nuovo il principio (The New One Armed Swordsman/Xin dubi dao, Zhang Che, 1972) del parallelismo delle mutilazioni, per cui se l'eroe è manchevole di un braccio farà di tutto per portare l'avversario alla medesima condizione. La crudeltà è quasi un gioco meccanico, è spietata e senza fine.

Il giovane vendicativo se la prende con un viandante, e lo acceca. Il fabbro del villaggio, una montagna di muscoli che ha osato offenderlo, viene reso sordo e muto (sono interessanti le scene in soggettiva dedicate a lui, senza un suono, calate in un silenzio spettrale ed angoscioso). In seguito un ragazzo innocente viene menomato senza ragione dalla terribile coppia padre figlio: gli fanno tagliare le gambe. Arriva in città un cavaliere che si precipita alla magione dei Lu (sempre la stessa di tutti i film Shaw, perfettamente riconoscibile e spesso filmata con travelling che parte dalla porta d'entrata e sfiora le colonne rosse del primo palazzo) per vendicare i torti. Viene catturato e torturato finché non perde la ragione, e diviene idiota. I quattro si ritrovano, accompagnano a casa il cavaliere, reso una specie di giullare parodico che si fa beffe di tutto e di tutti, con una sfumatura di cattiveria e civetteria. Incontrano un maestro che insegna loro a battersi, e costruisce al monco un paio di fortissime gambe metalliche. Seguono lunghe scene di allenamento, che si ricollegano a tutta la tradizione di film di arti marziali. Il monco apprende a sfruttare le proprie debolezze contro l'avversario, rafforza le parti di sé che può ancora utilizzare in battaglia, mosso dal fuoco inestinguibile del desiderio di vendetta, motore principale di buona parte dei wuxiapian (soprattutto quelli portati in voga da Zhang Che; in King Hu si tratta piuttosto di giochi di potere). Così il monco acquista due nuove, potentissime gambe. Il cieco impara ad aguzzare l'udito: sul modello della saga giapponese del samurai cieco Zato Ichi (interpretato da Katsu Shintarō, protagonista di più di venti film nel corso degli anni sessanta), il cavaliere non vedente riesce nondimeno ad udire il fruscio delle foglie che cadono, e colpirle una dopo l'altra con mortale precisione. Parimenti, il sordo impara ad aguzzare la vista sfruttando le superfici riflettenti per captare i movimenti dietro le spalle. L'idiota non ha affatto perduto il suo kung fu, ma lo usa come un bambino: è la figura più divertente e scatenata di tutto il film, poiché non smette mai di saltare, piroettare, compiere evoluzioni mozzafiato senza sosta, muovendosi con una scioltezza aerea. Ingaggia combattimenti contro gli altri usando anelli di metallo, esattamente come avviene sul palco dell'opera di Pechino. Coreografie strabilianti sono seguite da lunghi carrelli che privilegiano le evoluzioni atletiche dei corpi degli attori piuttosto che i salti con il trampolino ed i loro poteri sovrannaturali. Infatti buona parte dei wuxiapian tende a mostrare gli eroi come supereroi, senza preoccuparsi di rivelare la fonte dei loro strabilianti poteri: è dato per acquisita la nozione che i cavalieri possano volteggiare leggiadri a mezz'aria, e tutto il film tende a separarli dagli esseri umani comuni, saldamente ancorati al suolo terroso. Invece i Crippled Avengers (i vendicatori sciancati!) compiono il percorso opposto, con una straordinaria economia di mezzi: essi devono infatti, da storpi che sono, tornare allo stato di normalità. Il tutto, con parco utilizzo di effetti speciali vista la relativa scarsità di mezzi. Dunque il monco riacquista l'uso delle gambe, coperte dalla soffice tela dei pantaloni; il cieco non ha che tenere lo sguardo abbassato per significare la sua mancanza; il sordomuto è addobbato da collane e braccialetti a specchio, per supplire al suo handicap; il folle si arrotola su se stesso, salta sulle sedie e si inerpica sui soffitti, ma tutto grazie alle sue eccezionali qualità atletiche. Essi appaiono infine normali, nascondono il loro handicap così come nascondono le loro eccezionali virtù guerresche; così come devono nascondere la rabbia funesta che li spinge alla vendetta.

Il gruppo ricostituito può infine partire alla vendetta. Particolare divertente è la contemplazione insistita (zoom selvaggi, accompagnati dalla colonna sonora che mescola fisarmoniche da spaghetti western ai ritmi concitati delle percussioni dell'opera tradizionale di Pechino) degli sguardi dei personaggi che appaiono languidi anche se vogliono significare la sete di rivalsa. Inoltre, lo zoom si attarda sulle mani dei combattenti: il cieco ed il muto formano la coppia più improbabile, e comunicano tracciando caratteri sul palmo della mano, oppure con leggere pressioni che immaginiamo codificate. Così, nel bel mezzo della battaglia, gli intrepidi e muscolosi eroi si stringono la mano affettuosamente, oppure si allontanano dal luogo del massacro (perché, ça va sans dire, il regolamento di conti sarà estremamente efferato) mano nella mano, sorridendo. Un film che vuole essere canto elegiaco dell'amicizia virile, un film di uomini e per uomini, e che vuole altresì veicolare l'immagine della Cina (dei cinesi) virile e possente, combattiva e nerboruta, finisce per essere camp, intriso di immagini omoerotiche, esaltazione misogina dell'amicizia virile non scevra di una complicità carnale implicita a livello di diegesi ma chiarissima nelle immagini (si veda per esempio le scene di devozione dell'allievo al maestro in Water Margin/Shuihe zhuan, Zhang Che, 1972, oppure i due cavalieri che si tengono a braccetto in The New One Armed Swordsman).

La vendetta si svolge come un videogioco sadomaso (come tutti i videogiochi, d'altronde). I vendicatori storpi (e complementari: uno supplisce alle carenze dell'altro) prendono alloggio alla taverna della città. Sfidano il braccio destro dei Lu. Questi viene sconfitto in un primo duello; si alternano così gli avversari che vengono a sfidare gli eroi. I malvagi tentano di tenere segreta questa sfida vergognosa al maestro Lu, poiché il suo compleanno è prossimo e non vogliono rovinargli la festa. Così inviano alla taverna frotte di soldati, invano. Poi tentano di sfruttare le debolezze dei vendicatori: si appostano immobili in silenzio nella sala per tendere una trappola al cieco; un cecchino è appostato fuori dalla finestra con il compito di colpirlo appena entrato. Quest'ultimo dispone di un'arma bizzarra, una sorta di arco che spara micidiali proiettili di acciaio (d'altronde le armi fantasiose sono una delle attrazioni di questo cinema circense). L'agguato viene mandato all'aria dal muto, che corre in aiuto del cieco. I campioni che gli iniqui avversari inviano alla taverna sono tutti sconfitti allo stesso modo, opponendo all'inventiva cartoonesca dei malvagi la forza dell'unione, del gruppo, della lealtà cavalleresca. Il superforzuto viene sconfitto dai calci di ferro (letterale!) del monco, che affonda la punta del piede nel petto dell'avversario. I malvagi tentano di confondere i sensi del cieco, provocando con gli scudi e l'impugnatura delle spade un fracasso vibrante; è il sordo a correre in suo aiuto... e così via.

La testa gira, i movimenti sono ipnotici, fino alla conclusiva scena di battaglia, che raggiunge il culmine della farsa romanzesca e della perfezione coreografica dei movimenti. L'ultima scena oppone padre e figlio (quest'ultimo con mani d'acciaio) ai quattro eroi. Il regista non abbandona le tecniche usate finora (soprattutto lo zoom avanti ed indietro, ed il montaggio che compone i diversi movimenti delle cadute e dei balzi sovrannaturali grazie ai quali i protagonisti volano da un lato all'altro della stanza), ma predilige dei travelling laterali che accompagnano gli spostamenti dei combattenti, oppure la telecamera dall'alto che rivela la danza concentrica che ballano gli attori con movimenti di straordinaria agilità. La mdp dall'alto è cara al regista che ne fa ampio uso in tutti i suoi film (Vengenace/Baochou, 1970). La figura dello zoom rivela invece uno dei piaceri quasi infantili con cui sono girati questi film: tecnica grossolana, che permette di evitare tagli in montaggio o un'accurata regia della scena, dà sovente l'impressione che il cameraman tenga per la prima volta in mano una mdp, e si diverta ad esplorarne i differenti e sorprendenti trucchi. Da qui la traccia pionieristica di buona parte dei film di Hong Kong girati d'urgenza, un che di infantile e innocente, puramente filmico.

Eppure, qui, si avvicendano tecniche rudimentali e consapevolezze metafilmiche a ritmo forsennato. Sono la contraddizione feconda, l'apparente illogicità, l'alternanza di crudeltà ardite ed puerili trucchi, il cortocircuito di sapienti montaggi con zoomate artigianali ad attirare il pubblico e la critica verso un cinema che è calderone cannibale di forme e stili. Le ultime scene di Crippled Avengers dimostrano una perizia tecnica ed atletica rimarchevoli: il cieco ed il matto combattono contro il figlio Lu dalle mani meccaniche. Il folle usa come arma (impropria) degli anelli di metallo, gli stessi usati durante l'allenamento e soprattutto durante gli spettacoli d'opera. Ogni verosimiglianza è dimenticata, così come lasciato perdere ogni tentativo di enfasi drammatica: gli attori si divertono, i protagonisti dimostrano la loro elasticità; il regista non fa che seguirli con un carrello. I tre si dimenano, saltano, piroettano, entrano ed escono dagli anelli di metallo, cambiano forma e posizione, non combattono più ma danzano, puramente e semplicemente. Gli scambi sono affettuosi, si aiutano l'un l'altro a saltare, a cadere, a rialzarsi in piedi, accompagnano i movimenti dell'alleato come dell'avversario. Tutto ad una velocità sorprendente, e con un uso limitatissimo del montaggio: le scene, così lunghe ed insistite, sono vere, circensi, spettacolari.

Il matto viene ucciso al termine d'un estenuante scontro; anche il figlio Lu perisce. Restano i tre contro il Maestro. La battaglia si svolge all'interno della stanza, dove i quattro compongono figure virtuose di passi di danza combinati a dimostrazioni d'arti marziali e prodezze acrobatiche (si appendono al soffitto, scivolano a terra, piroettano su se stessi). Il cattivo viene sconfitto, naturalmente, ma quasi non importa più; i tre si allontanano correndo, appena un attimo dopo la vittoria già i titoli cominciano a scorrere. Il film compie una sbalorditiva piroetta finale con uno dei combattimenti più belli mai filmati al cinema, puramente astratto, sanguinosamente violento, atleticamente perfetto. La figura che appare in rilievo è la contraddizione tra un cinema di ingenuità tecnica e diegetica, ed i corpi di attori che posseggono una grande perizia fisica e una coordinazione coreografata alla perfezione, quasi allo stordimento.

L'innocenza burlesca della realizzazione e dei dialoghi, se messa in relazione con gli elementi sanguinosi e crudeli ed il piacere sadico del mostrare il corpo dell'eroe sottostare alle peggiori mutilazioni, crea un contrasto curioso ed inquietante, in buona parte motivo di attrazione e fascino per un cinema istintivo e carnivoro.

Corrado Neri