Il Bharatanātyam è considerato uno dei più antichi stili di danza classica indiana. Se ne trovano tracce già nelle sculture templari del II secolo d.C., in cui si riconosce la caratteristica posizione base dello stile, chiamata ardhamandali. Inizialmente praticata nei templi in onore della divinità, questa danza diventa in seguito appannaggio delle grandi corti, come quella di Tanjore. Oggi è un elemento forte di identità culturale per l'intero subcontinente.

BHARATANĀTYAM

 

Origini
Bharatanātyam è uno dei più antichi stili di danza classica indiana. Il nome deriva da Bharata, autore del più importante trattato indiano di drammaturgia, il Nātyashāstra, scritto tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C., e dal termine nātyam, che significa danza. Mentre il nome Bharatanātyam risale agli anni dell'indipendenza dell'India (1947), le origini dello stile possono essere rintracciate già nel II secolo d.C., nelle sculture templari in cui è presente la caratteristica posizione base dello stile, con le gambe semiflesse e le ginocchia rivolte verso l'esterno. Questa posizione prende il nome di ardhamandali. Numerose sono le rappresentazioni scultoree di movimenti di danza nei templi del sud dell'India, in particolare nelle regioni del Tamil Nadu e del Karnataka, governate, in età medievale, dalla dinastia Chola. I templi di Chidambaram, Gangaikondacholapuram, Kumbakonam, Kanchipuram e Tanjore mostrano gli esempi migliori di rappresentazioni scultoree delle posizioni di danza. Nel periodo medievale, la danza vive un momento di grande diffusione e popolarità, soprattutto come pratica devozionale che si svolgeva nei templi in onore della divinità. I sovrani delle grandi dinastie del sud mantenevano alla propria corte anche centinaia di devadāsī, le danzatrici consacrate al tempio, come segno di prestigio personale. Durante il periodo della dominazione inglese, l'attività delle devadāsī è scoraggiata in quanto ritenuta immorale; la difficoltà di rappresentare la danza nei templi costringe le danzatrici a trasferirsi nelle corti. Importante per lo sviluppo moderno dello stile è l'attività presso la corte di Tanjore, dove grazie al contributo di quattro fratelli Chinnaya, Ponnaya, Shivanandam e Vadivel, maestri nell'arte della danza, della musica e del canto, si definisce nel XIX secolo lo stile Dāsiyattam o Sadir nritya, che più tardi prenderà il nome di Bharatanātyam. La campagna di discredito nei confronti delle devadāsī, che vede impegnati in prima linea gli stessi bramani, culmina nel Devadasi Act del 1947, con cui l'attività delle danzatrici di corte è definitivamente messa fuori legge.

Tuttavia, negli anni dell'indipendenza, alcuni intellettuali vedono nella rivalutazione dell'antica e raffinata tradizione della danza un elemento forte di identità culturale per l'intero subcontinente. Il nuovo nome dello stile, proprio per l'assonanza con il nome autoctono dell'India (Bhārata), contribuisce a sottolineare la sua capacità di essere una sintesi dell'arte indiana: Bharatanātyam, la "danza di Bharata" diventa così Bhāratanātyam, la "danza dell'India".

Tra le personalità che hanno contribuito al recupero di questa danza come forma artistica pura, emergono E. Krishna Iyer e Rukmini Devi. Quest'ultima ha creato a Madras (oggi Chennai) la Kalakshetra Foundation, ancora oggi il più importante istituto di riferimento per questo stile.


Tecnica

La tecnica di questo stile fa riferimento a tre opere fondamentali: Nātyashāstra di Bharata (scritto nel periodo compreso tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C.), Sangīta Ratnākara di Sārngadeva (scritto durante il XIII secolo) e Abhinaya Darpana di Nandikeshvara (tra il V e il XIII secolo d.C.). I testi trattano il tema della danza e delle possibilità di movimento delle diverse parti del corpo umano. Nella trattazione del movimento la prima importante distinzione è quella tra nritta e abhinaya (o nritya). Mentre nritta fa riferimento al movimento puro, abhinaya (letteralmente "portare verso", dalla radice sanscrita ni, portare, e dal prefisso abhi, verso) è il movimento che esprime un significato, che evoca delle emozioni e comunica delle idee allo spettatore. Tipicamente una performance di Bharatanātyam è composta sia di nritta che di abhinaya; le parti in cui si articola attualmente sono quelle stabilite nel XIX secolo presso la corte di Tanjore. Le prime due parti, alārippu e jatīsvaram, e l'ultima, tillānā, sono costituite da danza pura (nritta), mentre la terza e la quinta parte, rispettivamente shabdam e padam, sono costituite dalla danza espressiva, nritya o abhinaya. La sesta parte, varnam, che costituisce il fulcro dell'intera performance, combina l'elemento espressivo, rappresentato qui da un lungo poema cantato, con l'elemento nritta, che consiste nell'esecuzione di una serie di adavu (si veda oltre), accompagnata dalla recitazione di particolari sillabe (tīrmānam) da parte del maestro (nāttuvanar). Durante l'esecuzione di varnam, la parte della danza pura e quella dell'espressione e della narrazione si alternano in un ritmo crescente. Secondo i testi, la comunicazione con lo spettatore, abhinaya, avviene in quattro modi: 1) attraverso la gestualità del corpo (āngika abhinaya), 2) attraverso le parole (vāchika abhinaya), 3) attraverso i costumi, gli ornamenti e il trucco (āhārya abhinaya), 4) attraverso la rappresentazione di emozioni e sentimenti (sāttvika abhinaya).

1) Āngika abhinaya fa riferimento ad una preliminare distinzione delle parti del corpo in anga, "membra" maggiori (testa, mani, busto, fianchi, anche, piedi) e upānga, "membra minori" (occhi, sopracciglia, naso, labbro inferiore, mento, bocca, guance) ed è composto da movimenti semplici (che prevedono il movimento di una parte alla volta) e movimenti complessi (che coinvolgono più parti contemporaneamente).

Movimenti semplici: il Nātyashāstra conta 13 tipi di movimento per la testa (gli altri testi ne contano da un minimo di 9 fino ad un massimo di 24), 5 tipi di movimento per il busto, 5 per i fianchi, 5 per la vita, 3 per l'ombelico, 5 per le cosce, 5 per gli stinchi, 5 per i piedi (gli altri testi ne enumerano fino a 13), 10 per le braccia (gli altri testi da 8 a 16). Il testo non analizza i movimenti delle spalle, delle ginocchia, delle dita e delle palme dei piedi, delle caviglie, dei talloni e dei polsi che sono invece classificati in altri testi. Le mani (hasta) hanno un ruolo importante nell'āngika abhinaya. I movimenti delle mani sono classificati in 24 asamyuta hasta, cioè compiuti con una sola mano, e 13 samyuta hasta che coinvolgono entrambe le mani. Una terza categoria è quella di nritta hasta (30), movimenti combinati che si inseriscono nel movimento generale del corpo. La direzione del movimento, la direzione del palmo, il punto di contatto con il corpo sono ulteriori aspetti del movimento delle mani che vengono analizzati. Un'altra categoria dell'āngika abhinaya riguarda i movimenti del viso e delle sue parti. Questi sono: 6 per il naso, 6 per le guance, 7 per il mento e i denti, 6 per il labbro inferiore, 6 per la bocca, 9 per il collo. Il Nātyashāstra non contempla i movimenti della lingua e del respiro, presenti in altri testi. Gli occhi meritano particolare attenzione. Lo sguardo (drishti), inteso come movimento combinato delle parti che costituiscono l'occhio (pupilla, ciglia, sopracciglia) è considerato come facente parte della categoria di espressione del sentimento (rasa) e quindi è analizzato nel sāttvika abhinaya; esiste però anche una classificazione dei movimenti singoli delle sopracciglia (7), delle ciglia (9) e delle pupille (9). Anche il tipo di colorito è analizzato all'interno delle espressioni del viso (mukhaja abhinaya).

Movimenti complessi: questi movimenti prevedono l'uso simultaneo di più parti del corpo. I principali sono:

Chāri: indica il primo spostamento del piede che comporta la rottura dell'equilibrio rispetto alla posizione di partenza samapāda (posizione eretta e piedi rivolti di fronte) e di conseguenza indica l'intera sequenza di movimento che segue.

Sthāna: indica le posizioni statiche che formano le cari (sequenze di movimenti). Gli sthāna sono classificati in maschili (per gli uomini) e femminili (per le donne).

Karana: indicano le unità base della danza che si uniscono a formare sequenze più complesse. Tutte le parti del corpo sono coinvolte. Sono codificati dal Nātyashāstra in numero di 108 e normalmente non vengono rappresentati.

Adavu: sono sequenze di movimenti coordinati che derivano dai karana ma che, a differenza di questi, sono la base della componente nritta nelle rappresentazioni contemporanee di Bharatanātyam. Un adavu comincia sempre con una posizione statica da cui hanno origine diverse sequenze di movimento che contemplano tutti i modi di interagire del corpo con lo spazio circostante (per esempio attraverso il modo di mettere i piedi a terra, la direzione delle mani, delle braccia, della testa, l'iterazione del movimento, ecc.). Gli adavu sono in genere classificati in 9 gruppi a seconda del tipo di movimento compiuto dalle gambe. Ogni gruppo comprende a sua volta diverse unità. La classificazione degli adavu può variare molto a seconda delle scuole.

2) Vāchika abhinaya indica la recitazione fatta dall'artista stesso durante la rappresentazione che in Bharatanātyam è stata sostituita da un accompagnamento musicale. Il contenuto letterario delle composizioni che accompagnano Bharatanātyam è generalmente opera di poeti devozionali del sud dell'India. La composizione di queste opere risale al XIV-XVII secolo.

3) Āhārya abhinaya comprende indicazioni sull'uso dei costumi, degli ornamenti e del trucco. Questi aspetti sono una parte essenziale della rappresentazione e pur avendo subito delle modifiche nel tempo sono di tipo tradizionale. Il costume attualmente comprende: una blusa, dei pantaloni tipo salvār kamīz (abito composto da una casacca lunga fino al ginocchio con spacchi laterali e degli ampi pantaloni che si restringono alla caviglia) e un ventaglio di stoffa applicato alla cintura che si apre tra le ginocchia quando si assume la posizione semi-piegata, un' ulteriore mezza luna di stoffa che copre la parte bassa della schiena e uno scialle sopra la blusa, appoggiato alla spalla e riportato sul petto detto melakku.

Gli ornamenti comprendono: diversi tipi di collane e catene con e senza pendenti, orecchini con pendente e catenelle che collegano naso e orecchio, orecchini per il naso, una fascia-gioiello che segue l'attaccatura e la scriminatura dei capelli e che termina con un pendente sulla fronte, diversi bracciali ai polsi e anelli alle mani e ai piedi. L'acconciatura prevede una lunga treccia posticcia fissata alla cintura perché non si muova durante la danza e composizioni di fiori di colore bianco o arancio applicati alla treccia in tutta la sua lunghezza (questi possono essere freschi ma di solito sono di carta). Nella parte finale della treccia è applicata una decorazione con perle, campanelli o altro. Completano il costume una cintura gioiello, le cavigliere con i campanelli e il trucco. Questo richiede una spessa linea di kājal nero sugli occhi che vengono disegnati e prolungati verso l'esterno in modo che risultino più grandi e visibili, un segno sulla fronte tra gli occhi, detto tilak, di forma variabile e labbra colorate di rosso. Le mani e i piedi sono decorati con un colore liquido rosso chiamato alakta o altā.

Āhārya abhinaya include anche tutte le indicazioni per l'allestimento della rappresentazione, la preparazione delle scene, le caratteristiche del teatro, ecc..

4) Sāttvika abhinaya indica il modo con cui esprimere sentimenti ed emozioni. Attraverso questo tipo di abhinaya si manifesta rasa (esperienza del sentimento). Le situazioni in cui si articola sāttvika abhinaya sono 8: immobilità, sudorazione, orrore, cambiamenti della voce, tremore, cambiamenti del colorito, lacrime, svenimento. Lo scopo di ogni processo creativo è di evocare un rasa; secondo la teoria del sāttvika abhinaya, il rasa emerge dalla combinazione di cause (vibhāva), effetti (anubhāva) e stati emozionali transitori (vyabhichārībhāva). I tipi di rasa codificati nel Nātyashāstra sono 8 (mentre altri testi ne indicano generalmente nove), erotico, comico, compassionevole, irato, eroico, terribile, odioso, meravigliato, e a ognuno corrisponde un sentimento dominante (sthāyī bhāva) da cui deriva il rasa stesso.

Bibliografia essenziale
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Anna Tosato