La storia dell’Islam in Caucaso settentrionale: l’influenza islamica sull’architettura antica e contemporanea

Quando si parla di architettura islamica è spontaneo per molti pensare alle grandi moschee del Nord-Africa, del vicino e medio-oriente da Gerusalemme a Damasco, da Cairo a Marrakech.

La storia ci insegna tuttavia che fin dalla sua nascita, la religione islamica non è mai stata confinata in una sola regione; ha anzi avuto un’espansione rapidissima che ha investito in pochi secoli vastissime parti di Europa, Asia e Africa. È importante notare che sotto le definizioni di cultura islamica, architettura islamica e così via si raggruppano delle forme appartenenti in realtà a culture assai diverse, eterogenee e a regioni geografiche lontanissime, che vengono legate in qualche modo dall’appartenenza al mondo culturale islamico. La definizione di architettura islamica nasce dall’incontro di varie culture, tra cui quella araba, greco-bizantina, persiana, iberica, italica, turco-mongolica, indo-cinese; vi si potranno inoltre identificare costruzioni risalenti ai tempi di Maometto così come edifici costruiti in epoche successive fino ai giorni nostri.

Le rapide conquiste militari durante la vita di Maometto e i successivi califfati portarono la cultura islamica lontano; non deve essere perciò una sorpresa che comunità islamiche rappresentino oggi la maggior parte di paesi a noi vicini come Turchia, Bosnia e Albania e altri molto più lontani come l’Indonesia, la Somalia e gran parte dello spazio post-sovietico in Asia. D’altro canto, anche paesi come la Russia europea, la Cina, l’India, gli stati dell’Africa occidentale e sud-orientale hanno percentuali di popolazione di religione islamica piuttosto consistenti.

Il Caucaso si divide comunemente in Caucaso settentrionale (Ciscaucasia) e meridionale (Transcaucasia), che condividono una base culturale ma hanno tra loro profonde differenze. La cultura islamica, oggi diffusa a nord e a sud del Caucaso ha necessitato tempi piuttosto lunghi per penetrare all’interno della zona, in maniera maggioritaria o tra minoranze distribuite in alcune aree. La macroregione è considerata politicamente instabile a seguito di vari scontri bellici scoppiati a seguito della disgregazione dell’Unione Sovietica, che comprendeva i territori oggi divisi tra vari stati, tra cui Armenia, Azerbaigian, Georgia e Russia. In particolare, ci soffermiamo oggi sull’area del Caucaso settentrionale; siamo nella Federazione Russa, tra il Mar Nero e il Caspio, alle pendici di una delle catene montuose più alte al mondo. Ai confini tra Europa e Asia dove la cultura islamica esiste da secoli e convive a fianco a quella cristiana, buddhista, all’ebraismo, alle religioni tradizionali e all’ateismo-laicismo di matrice comunista.

Sebbene geograficamente la Ciscaucasia sia comunemente considerata parte del continente europeo in quest’area questo confine artificioso viene meno, con grandi mescolanze di popoli e culture che ne hanno formato l’identità. Vi sono regioni la cui appartenenza politica è dibattuta, alcuni stati non riconosciuti da gran parte della comunità internazionale mentre nel Circondario Federale del Caucaso settentrionale, divisione amministrativa della Federazione Russa vi sono un kraj (regione) e sei repubbliche autonome, rispettivamente il kraj di Stavropol e le repubbliche di Ossezia del nord, Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria, Karachai-Cherkessia e Cecenia; tutte le repubbliche sono abitate da popoli non russi e non slavi con lingue e culture diverse, e tutte tranne la prima hanno una maggioranza di popolazione di religione-cultura musulmana. Comprendere la storia del Caucaso è estremamente importante per capirne lo sviluppo urbano: la storia estremamente turbolenta della regione, sempre nelle mire espansionistiche di popoli vicini e molto lontani, la sua posizione strategica a cavallo tra due continenti, e l’estrema disomogeneità dei popoli che la abitano hanno sicuramente condizionato il suo sviluppo in periodi e tempi molto diversi. 

Il Caucaso Settentrionale e l’Islam

L’area caucasica, abitata fin dall’antichità da popolazioni stanziali e nomadi ha avuto il suo primo incontro con la cultura arabo-islamica già a metà del VII secolo, quando il califfato elettivo penetra nei territori dell’impero sasanide. Sotto il Califfo Omar vengono occupate parti degli odierni Armenia e Azerbaigian, spingendosi fino all’estremità meridionale della Russia. Nonostante le conquiste militari la religione islamica soppiantò solo gradualmente e non senza difficoltà il cristianesimo, lo zoroastrismo, l’ebraismo ed i culti pagani come credo più presente tra la popolazione locale, anche grazie ad un certo livello di sincretismo che adattò le caratteristiche della religione al contesto etnico e alle tradizioni della zona, per cui i popoli di quest’area sono detti “musulmani di spada”.

La diffusione della religione avvenne prima da sud, dalla Persia e Anatolia attraverso la Transcaucasia. Tuttavia, così come le montagne avevano arrestato l’avanzata di grandi imperi come quello di Alessandro Magno prima e di quello romano e sasanide dopo, anche le conquiste arabe ebbero una battuta d’arresto. Il loro passaggio lasciò tracce sulle città azera di Kabala e Shabran e su quella Daghestana di Derbent. Anche la città di Gäncä vede la sua fondazione in questo periodo, come scrisse lo storico persiano Hamdallah Mustawfi dell’odierno Azerbaigian.

Il Caucaso cadde interamente sotto l’influenza dell’impero di Gengis Khan e alla sua morte dell’Ilkhanato in Transcaucasia e dell’Orda d’oro in Ciscaucasia. Nel 1295 Ghazan Khan dell’Ilkhanato si convertì, cosa che fece nel 1312 anche Uzbek Khan dell’Orda d’oro rendendo la religione musulmana de facto dominante nel Caucaso meridionale e settentrionale. Il Caucaso sarà poi riunito durante le conquiste timuridi, tra il XIV ed il XV secolo. Lentamente la cultura islamica continuò a diffondersi verso nord, sincretizzandosi alle tradizioni dei popoli locali e assumendo nel tempo delle caratteristiche peculiari dovute a dei tratti culturali preesistenti nel territorio, spesso più antichi e radicati della cultura monoteista, quali l’adorazione degli antenati o di alcune particolari zone considerate sacre o il rispetto del clan e dei legami familiari. Alla fine del XVI secolo la zona cadde sotto il controllo del regno russo che colonizzò la regione, nonostante la forte resistenza dei popoli del Caucaso che tentarono addirittura di fondersi nell’Imamato del Caucaso, durato tre decenni e soppresso con una sanguinosa guerra. Anche le mire dell’Impero ottomano sul Caucaso non cessarono fino alla sua fine, e cristianesimo e islam convissero per secoli fino ai giorni nostri. Il controllo sovietico continuò la russificazione della Ciscaucasia, tramite l’imposizione dell’ateismo di stato e la deportazione degli abitanti verso remote zone dell’Asia centrale e Siberia nel 1944. Questo evento segnò la memoria delle persone; numerose furono le morti, molti villaggi rimasero per sempre disabitati, la cultura orale si impoverì. I sopravvissuti ottennero il permesso di tornare alle loro terre d’origine solamente nel 1957.

Dal VIII secolo all’Unione Sovietica

Nella maggior parte delle città della Ciscaucasia vi sono chiese e moschee, alcune antichissime e altre di più recente costruzione. Alcuni studi dimostrano come la regione, nella sua estrema diversità culturale abbia sempre presentato caratteristiche piuttosto omogenee nella sua architettura, legata alla forma della torre, alla comune mitologia e all’armonia con la natura; fin dall’antichità e ben oltre la diffusione del monoteismo mantengono qui importanza centrale forme di paganesimo come il culto degli antenati.

Nella regione del Caucaso settentrionale vi sono alcune moschee di grandissima importanza storica e culturale; quella unanimemente ritenuta la più antica si trova nella repubblica autonoma del Daghestan, a Derbent. La moschea risale alla prima metà dell’VIII secolo, probabilmente costruita su un tempio pagano preesistente. Era al tempo della sua fondazione era il più grande edificio della città e fu costruita in stile arabo-persiano, completamente diverso dalle forme tradizionali locali. Misura 68 m da ovest a est, 28 da sud a nord e l'altezza della cupola è di 17 m. Nel cortile crescono quattro alberi di platano che la tradizione vuole essere stati piantanti dal mistico persiano Junaid al-Bagdadi per proteggere il santuario con le loro grandi radici. L’antica moschea è considerata dai locali un posto sacro e perfino i sunniti – in maggioranza nella multietnica repubblica del Daghestan, dove convivono decine di popolazioni diverse tra cui una consistente comunità ebraica - vi si recano nonostante sia un luogo di tradizione sciita.

Nei pressi di essa si trova un’antica muraglia di epoca sasanide e la fortezza di Naryn-Kala, costruita tra il VI e l’VIII secolo. Dal 2003 l’intera cittadella è inserita nella lista dei patrimoni dell’Unesco. La moschea e la cittadella per la loro antichità e il loro ottimo stato di conservazione rappresentano un caso estremamente raro, in Russia e in Ciscaucasia, area segnata da continui conflitti nel corso della storia e dove i fenomeni di urbanizzazione si sono diffusi molto tardi nel tempo. Secondo la storiografia, la religione islamica iniziò molto lentamente la sua diffusione nel Caucaso settentrionale proprio a partire da Derbent.

Nei territori delle repubbliche limitrofe, Inguscezia, Cecenia, Kabardino-Balkaria, Karačaj-Circassia ed Ossezia, vi è oggi una grande presenza di architettura non religiosa influenzata dalla cultura tartara, turca e vicino-orientale, a seguito di intensi contatti militari e commerciali con l’Asia Centrale. Un esempio molto importante viene rappresentato dalle torri che si trovano nella riserva statale naturale di Ezri, in Inguscezia. Secondo lo storico inguscio Shah Ahriev il sito, oggi diroccato, in origine comprendeva 16 torri di controllo e veniva usato dall’antichità per mantenere il controllo sulla valle del fiume Terek.

La religione islamica sarebbe giunta nella regione attraverso gli odierni Cecenia e Daghestan nel XV secolo l’Islam. Il sito già esistente sarebbe stato maggiormente fortificato e ampliato in questo periodo da un proprietario terriero probabilmente di origine siriana, con la costruzione di decine di altre torri alte fino a 30 metri. Vi venne rinvenuta una statua di bronzo di 38 cm raffigurante un’aquila, conosciuta come Aquila di Solimano, datata dagli storici come risalente all’VIII secolo e di produzione abbaside. Sul collo della statua una scritta in arabo dice “Nel nome di Allah, il compassionevole, il misericordioso”.

Le torri mostrano affinità a simili fortezze militari mesopotamiche e del regno Urartu ma, nonostante la particolare storia del sito, il loro stile era già tipico nell’area caucasica prima dell’islamizzazione: segue infatti la tipologia di torri Vainakh, di cui nelle montagne del Caucaso settentrionale e meridionale vi sono tantissimi esempi, sebbene non sempre in buono stato di conservazione. 

In Cecenia un tipo di costruzioni simili si trova nel piccolo paese di Tazbiči, dove si trova una moschea in pietra, costruita probabilmente su un avamposto militare di torri di controllo. Se la nota moschea di Derbent venne edificata secondo l’influenza dello stile stile arabo levantino e persiano, è proprio in Cecenia che si ha traccia delle prime moschee “rurali” del Caucaso, costruite dalle comunità locali secondo forme semplici, in pietra, e che concepite probabilmente per una doppia funzione religiosa e civile.

Oggi, quella che gli storici ritengono essere una delle più antiche si trova nel piccolo paese di Belgatoe, a 900 metri di altezza ed è datata intorno alla metà del XVII secolo. L’edificio è estremamente semplice, in legno e pietra locale, ma la narrazione orale locale la ritiene un regalo divino.

Anche nella vicina Repubblica di Kabardino-Balkaria le prime moschee si trovano in alta quota in antichi villaggi montani spesso in stato di abbandono a causa delle deportazioni e la successiva urbanizzazione della popolazione. In tempi più recenti questi villaggi abbandonati ed i resti delle loro moschee sono divenute meta di pseudo-pellegrinaggi da parte dei locali, che hanno intrapreso vari sforzi per restaurare e ricostruire alcuni edifici religiosi. Secondo lo studioso balcaro Aslan Atabiev (1961), le prime moschee della zona vennero costruite nell’area montana chiamata Balkaria superiore nel XVIII secolo ed avevano un ruolo sia religioso che politico, e vi si raccoglievano le assemblee popolari per discutere dell’amministrazione delle comunità. Prima delle deportazioni staliniane del ‘44 probabilmente vi erano almeno 18 moschee in pietra costruite tra il XIX ed il XX secolo, oggi quasi tutte in rovina a seguito dell’abbandono. Con gli aiuti delle comunità, studi condotti negli archivi di Russia e Georgia hanno permesso la riapertura di due moschee della Balkaria superiore, riportate allo stato religioso e utilizzate per le funzioni e festività locali. Operano inoltre come museo di quella che era la vita delle comunità montane prima delle deportazioni, seguite dall’abbandono dei villaggi verso le città. 

Anche nell’Ossezia del nord, a maggioranza cristiana, vi sono diverse moschee. Degne di note due edifici della capitale Vladikavkaz. La prima, risalente alla fine del XIX secolo è conosciuta per la sua particolare storia; fu infatti trasformata in un planetario durante l’epoca sovietica e poi caduto in disuso e negli ultimi anni c’è stato un grande sforzo da parte della comunità musulmana locale per ripulirla, restaurarla e riportarla allo stato religioso. Molto nota è la moschea, finanziata dal magnate azero Mukhtarov, a cui è intitolata, e costruita tra il 1900 ed il 1908 sulla riva del fiume Tarek. La costruzione ha uno stile egiziano, principale ispirazione del progetto è infatti la moschea al-Azhar del Cairo.

Dalla fine dell’Unione Sovietica ai giorni nostri

Durante gli anni dell’Unione Sovietica tantissimi edifici di culto vennero trasformati in magazzini e depositi, o comunque persero il loro ruolo di luoghi di culto. La religione perse importanza ma non svanì totalmente e venne relegata ad un aspetto più privato della vita dei cittadini. Essendovi stato un ruolo così predominante dell’ateismo di stato sulla cultura è oggi difficile avere delle cifre precise sulla popolazione della Russia e del Caucaso che si identifica nell’islam. Parte della popolazione che si professa atea o agnostica ha comunque un’educazione religiosa, osserva alcuni precetti o comunque ha dei legami culturali con una o più religioni. Quel che risulta evidente, tuttavia, è che dalla fine dell’Unione Sovietica c’è stato un enorme incremento delle persone che si professano credenti. L’interesse per le religioni è aumentato, così come anche per le tradizioni pre-monoteiste. Un evento che ha fortemente segnato questa rinascita religiosa, dandole una spinta è stata la guerra cecena.

Se è vero che le moschee più antiche avevano un proprio stile tipicamente caucasico che le rendeva simili agli edifici non religiosi costruiti nella zona, sobrie, di piccole dimensioni e realizzate in legno e pietra, le nuove moschee costruite in Daghestan e Cecenia sono di tutt’altro tipo. La moschea centrale Djuma di Machačkala, costruita nel 1998 vanta il record di essere la moschea che può accogliere più fedeli tra tutte le moschee d’Europa, essendo pensata per accogliere più di 15 mila persone.

La moschea Cuore della Cecenia, costruita nel 2008 in un gigantesco parco annesso ad un’università islamica ha minareti alti 63 metri. Intitolata al primo presidente della repubblica, padre dell’attuale, imita nello stile la grande moschea blu di Istanbul. Inoltre la moschea trasmette per 24 ore al giorno, essendo collegata con un vasto sistema di telecamere su tutto il suo perimetro, che rendono accessibile il luogo anche alle persone che non vi si trovano fisicamente. Questi sono solo alcuni esempi di grandi moschee, che negli ultimi anni vengono costruite in gran parte della Russia, spesso inaugurate alla presenza del presidente Vladimir Putin, che varie volte ha parlato a favore dell’Islam come parte integrante della cultura russa, mettendo però in guardia i cittadini dalla minaccia dell’integralismo.

Conclusioni

Per concludere, possiamo affermare con un certo grado di sicurezza che gli insediamenti urbani del Caucaso settentrionale sono state costruite mescolando tra loro vari stili diversi che sono maturati negli anni. In questa ricerca sono stati analizzati alcuni esempi del lascito della cultura islamica, presente fin dall’antichità ma, con rare eccezioni, mai dominante fino ai giorni nostri. Le città ed i paesaggi sono stati plasmati secondo canoni della cultura pagana-politeista nella loro base, cui si è venuta a mescolare una componente cristiana prima e musulmana poi. La sorprendente rarità di edifici religiosi islamici con più di tre secoli di storia in una regione estremamente ricca di monasteri cristiani ben più antichi, di siti archeologici monumentali e di grandi lavori di architettura civile si spiega probabilmente con l’instabilità politica dovuta alle varie guerre combattute nel corso dei secoli che non resero mai la cultura islamica parte centrale della vita delle persone, almeno fino alla nascita dell’Imamato del Caucaso, che ebbe però breve vita. Le moschee costruite fino al primo XX secolo seguivano uno stile estremamente sobrio, in pietra e legno, di piccole dimensioni e con poca capienza. Il potere sovietico interruppe il processo di coscienza religiosa ed impose i canoni del socialismo. Il vuoto lasciato dalla sua fine è stato parzialmente colmato da una riscoperta della religione, in Caucaso come in altre parti dell’ex blocco sovietico.

La riscoperta della religione in senso nazionalistico, come “tratto identitario” di culture minoritarie è associata alla rinascita delle lingue locali e delle tradizioni e ha portato, come abbiamo già visto, a restauri degli edifici religiosi caduti in disgrazia e delle città antiche, ad una nuova sensibilità verso la riscoperta di stili passati e un’attenzione ai siti in decadenza ma, come nel caso della Cecenia e Daghestan, anche ad una tendenza a costruire da zero edifici monumentali. È molto interessante sottolineare questa doppia tendenza a voler curare il vecchio ma parallelamente creare il nuovo, ricercare la propria identità valorizzando il proprio passato ma anche arricchendola di tratti non endemici. Bisogna sempre ricordare che le culture vive per definizione mutano integrando esperienze esterne. La cultura viva attira inoltre persone interessate, e infatti regioni come il Daghestan e la Cecenia, sebbene considerate “zone pericolose” hanno visto negli ultimi anni un enorme incremento del turismo, collegato soprattutto a grandi investimenti nelle infrastrutture per dare un aspetto nuovo alle loro città, mentre le altre regioni stanno puntando di più sul turismo intorno alla natura, le montagne e i laghi, che continuano ad avere un ruolo di primo piano nella vita delle comunità insediatesi a nord e a sud del Caucaso.

Enrico Pittalis

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