La fiction che non si vede - Dieci

Dieci piccoli racconti morali, dieci storie che si sfiorano e si intrecciano all'interno della stessa automobile con l'essenzialità di uno stile sobrio ed asciutto, che si affida solo a due leggerissime macchine da presa digitali, ad inquadrare ora la donna alla guida dell'auto ora i suoi passeggeri. Attraverso l'alternanza dei P.P. dei diversi interlocutori Kiârostami penetra nella vita dei suoi personaggi e ci offre un saggio della loro condizione e dei loro problemi.

LA FICTION CHE NON SI VEDE: TEN (DIECI)di Abbas Kiarostami

 

Titolo originale: Ten. Regia, sceneggiatura e fotografia: Abbas Kiarostami. Musica: "Walking in the Air", di Howard Blake. Interpreti: Mania Akbari (la guidatrice), Amin Maher (Amin), Roya Arabshahi, Katayoun Taleidzadeh, Mandana Sharbaf, Amene Moradi, Nazamin Joneydi, Mitra Farahani, Bahman Kiarostami, Mastaneh Mohajer, Reza Yazdani, Morteza Tabatabai, Reyman Yazdanian, Christophe Rezai, Mazdak Sepanlou, Mi Boustan, Negar Rayhani, Noushien Agah, Ahmad Ansari, Negin Rahimi, Vahid Ghazi Mirsayid. Produzione: Mann Karmitz, Abbas Kiarostami per Abbas Kiarostami Productions/MK2 Productions. Distribuzione: Bim. Durata: 94'. Origine: Iran/Francia, 2002.

 


Tutto il film è girato all'interno di un'automobile. La macchina da presa, appoggiata sul cruscotto, inquadra di volta in volta la guidatrice, Mania, e i passeggeri. Il film si divide in dieci sequenze.

10. La prima sequenza vede Mania con il figlio Amin. Lo deve portare in piscina. Il rapporto tra i due è teso, soprattutto il bambino è facilmente irascibile. Le rinfaccia il divorzio con il padre e di essersi risposata con un altro uomo. Dice che non vuole vivere con lei. Lei cerca di convincerlo delle sue ragioni, ottenendo solo di renderlo sempre più irascibile. Per quasi tutta la durata della sequenza è inquadrato Amin.

9. Mania accompagna la sorella, Mandana, che, preoccupata per il peggioramento del carattere di Amin, le consiglia di lasciare che Amin vada con il padre.

8. Mania offre un passaggio ad un'anziana signora che si sta recando a pregare ad un santuario. Nel tragitto, la donna confida di dedicare la propria vita alla preghiera.

7. Notte. Casualmente, Mania fa salire una prostituta. Iniziano a parlare. La ragazza inizialmente rifiuta di parlare, vuole scendere, poi gradualmente, la discussione si fa strada. Le dice che questo lavoro le piace, non la lega. Alla fine però parla più di quanto vorrebbe. Infine scende, giunge a un incrocio e viene caricata da un cliente.

6. Mania dà un passaggio a una giovane donna che proviene da un santuario dove è andata a pregare per potere esaudire un proprio desiderio, quello di sposarsi. Anche Mania è stata al santuario. Entrambe dicono che non avrebbero mai pensato di andarci. La passeggera trova che lì riesce ad essere più serena.

5. Passaggio di Amin dall'auto del padre a quella di Mania. Amin ora vive con il padre. I rapporti con la madre sono sempre tesi, Soprattutto da parte del ragazzo, che preferisce farsi accompagnare dalla nonna piuttosto che passare la notte a casa della madre.

4. Notte. Mania è con un'amica disperata perché appena lasciata dal fidanzato. Mania irritata dal pianto e dall'atteggiamento dell'amica la rimprovera. Cerca di convincerla a non pensarci più.

3. Ancora con il figlio, Amin. Il giudice ha affidato Amin al padre, ma il ragazzo vive sempre conflittualmente il rapporto con la madre.

2. La ragazza della quinta sequenza (6) è stata abbandonata dal fidanzato. È addolorata, ma non disperata. Si è rasata i capelli.

1. Amin passa dall'auto del padre a quella della madre. Le dice che preferisce andare dalla nonna. La sequenza è brevissima.

"Se mi chiedessero cosa ho fatto come regista in questo film, risponderei: "Niente, eppure se non fossi esistito, non sarebbe esistito neppure questo film" (Abbas Kiarostami)

 


Esistono senz'altro tanti spunti interessanti per iniziare a parlare di Dieci, ma credo che ci si orienti subito nella maniera giusta, se prendiamo le mosse da una frase di Kiarostami: "Per fare qualcosa di semplice è necessaria una buona dose d'esperienza. E prima di tutto bisogna aver capito che semplicità non è sinonimo di facilità". Questa frase e contenuta nella risposta che il regista iraniano ha dato a uno studente che gli faceva notare che se questo film fosse stato proposto da uno di loro, e non da un regista affermato, non sarebbe mai stato accolto . La replica di Kiarostami sintetizza già due cose, in primo luogo la "facilità che il film sembra mostrare alla visione e i malintesi che può provocare a una visione distratta. Cosa ci vuole, in fondo, per sistemare un mini-dv sul cruscotto di un'automobile e poi limitarsi a filmare i dialoghi tra due personaggi senza preoccuparsi di null'altro! Eh no, Kiarostami non ci sta, nonostante affermi che Dieci sia un film senza regia, ma, vedremo, intendendo nei fatti un intervento registico come atto individuale, demiurgico e manipolatorio, e su questo si può ben concordare con lui. Inoltre, Kiarostami afferma che Dieci sia un film in qualche modo irripetibile, e che la sua caratteristica sia quella di non essere definibile esattamente né come film di finzione né come documentario, eppure di avere al proprio interno caratteristiche che possono appartenere sia all'uno che all'altro.

Non possiamo che tenere conto di quanto detto dall'autore, ma se dobbiamo indicare tra le due opzioni quella che sembra meglio definirne le caratteristiche, tentando un approfondimento critico, non c'è dubbio che in realtà questo sia proprio un film di finzione. Sia pure ammettendo che ha una particolarità notevole, dato che è stato realizzato "eliminando" due operazioni non da poco quali messa in scena e regia. Eppure lo sappiamo, lo intuiamo, lo comprendiamo bene vedendo il film: per quanto queste, come tutte le operazioni legate alle riprese cinematografiche e alla loro resa ottimale, siano prosciugate e si tenti di azzerarle, ciò non è mai possibile al cento per cento perché qualsiasi film vive grazie a un progetto e alla sua elaborazione.

A scanso di equivoci vorrei anche eliminare il campo da errori che pure sono apparsi sulla stampa e (di conseguenza?) gironzolano in internet. Non è vero che il film sia costituito da dieci lunghe inquadrature. Si tratta di dieci sequenze, non necessariamente più lunghe di quelle che si possono trovare anche in altri film, piuttosto la loro peculiarità risiede altrove, nella scelta di inquadrature fisse, e di due speculari angolazioni della macchina da presa che inquadra di volta in volta la guidatrice (sempre Mania), e i passeggeri (uno per volta), casuali o conosciuti dalla protagonista principale.


Dieci
è stato girato in digitale, precisamente Mini-Dv con attori non professionisti, quindi con non-attori. Più che parlare di povertà di mezzi, parlerei di economia della strumentazione necessaria. Inoltre sono dell'idea che sia solo una definizione di comodo dare al film l'etichetta di "esperimento". Fare film al di fuori dei meccanismi dell'industria cinematografica non vuol dire di per sé fare sperimentazione, ma proporre anche (ed è questo il caso) film compiuti. A rigor di termini, Dieci non è un film sperimentale. Certo è un film che si presenta come estremo, più che per le modalità di ripresa, in ciò che vi soggiace: nel pensare un film volendo privarlo il più possibile di una messa in scena e di un intervento registico. E non si può non rilevare come l'oscillazione finzione-documentanio sollecitata dallo stesso regista abbia guidato più del dovuto, forse, l'avvicinamento degli spettatori al film. Il rifiuto della messa in scena, l'azzeramento della regia cinematografica, non dà come frutto un'opera documentaristica, ma nel nostro caso un'opera cinematografica che riesce a eliminare dalla fiction tutto ciò che è l'apparenza della fiction, il suo modo di presentansi, la proliferazione dei ritmi e degli effetti, insomma, l'abitudine a considerare il film di finzione come oggetto costituito da elementi che, per quanto messi in discussione, tendono a non scomparire. Anzi, proprio la messa in discussione tende a sottolinearne la presenza. Niente di tutto ciò in Kiarostami, a cui non interessa fare film per parlare di cinema, quanto parlane di uomini donne e bambini del suo paese, anzi, fare sì che siano soprattutto loro a parlare, grazie anche alla scelta di lavorare con non professionisti.

Trovo interessante rilevare, tra le altre cose, che, se in anni ormai lontani, la leggerezza di macchine da presa (semiprofessionali o "familiari") con minore ingombro aveva liberato la possibilità di muoversi meglio, a mano, per Kiarostami, tutto questo, da un cento punto di vista, tende invece a rovesciarsi. La maneggevolezza non è data per scoprine angoli di mondo impossibili da filmare altrimenti, ma per installansi in un microcosmo, e registrare da lì, i rapporti nel gruppo ristretto di persone, magari tra famigliari, e dare l'immagine, se non del mondo, almeno di una società.

Come dicevo, la caratteristica principale del film, che gli dà anche il titolo, è di essere suddiviso in dieci sequenze. La mia impressione è che le sequenze, oltre a essere numerate al contrario (si parte dalla 10 per arrivare alla 1, che è l'ultima) siano sempre più brevi man mano che il film procede, anche se è più una tendenza che non una precisa pianificazione dei tempi e dello sviluppo dei dialoghi. La quarta sequenza, 7, è più lunga della terza, 8, ma direi che è l'unico caso, in cui la sequenza che segue si presenta più lunga della precedente. Comunque sia, senz'altro la prima sequenza, 10, è la più lunga, e l'ultima, 1, la più breve, al punto che, estrapolata dal contesto di presentazione di dieci sequenze, si farebbe fatica a considerarla effettivamente come una sequenza.

Le sequenze sono presentate senza un collegamento temporale preciso, e il film si "sviluppa" giustapponendo sequenze in cui il rapporto tra l'una e l'altra non è causale. L'una non segue l'altra, e le ellissi temporali tra le sequenze fanno si che ognuna possa presentarne effettivamente una propria autonomia, senza essere troppo legata a quella che precede o segue.

I rapporti tra le sequenze, sono mai di ribaltamento e di confronto. In fondo, tutti i film che si basano su una serie di variazioni su una struttura data, hanno insito un aspetto ludico. Pensiamo al Decalogo di Kieslowski, ovviamente, ma anche a certi film di Peter Greenaway (The Falls, A Walk through H, più di altri), per cui anche in Kiarostami possiamo ritrovarlo filtrato attraverso la sua poetica. Per esempio nella terza, 8, e la quarta, 7, sequenza la protagonista, Mania, dà un passaggio rispettivamente a un'anziana signora che deve andare a pregane al santuario, e ad una prostituta. I personaggi non potrebbero essere più diversi: totalmente devota la prima, al punto da privarsi di qualsiasi cosa che non sia il proprio rosario, fortemente cinica la seconda. Eppure le due sequenze sono poste una dopo l'altra, e soprattutto sono le uniche in cui le passeggere non vengono mai inquadrate. Personaggi opposti fanno la loro comparsa in sequenze affini, quanto a modalità. La sequenza 7 è l'unica in cui un personaggio (la prostituta) è inquadrata al di fuori della vettura di Mania: la vediamo mentre si allontana e sale su una macchina. Alla quanta, 7, sequenza, si oppone peraltro la settima, 4, dove un'amica di Mania piange in continuazione perché è stata abbandonata dal fidanzato, ribaltando completamente quell'atmosfera cinica e disillusa. In questo caso, la videocamera inquadra solo la donna, presentando la scelta completamente diversa rispetto alle sequenze terza, 8, e quarta, 7. La quinta, 6, è legata alla nona, 2, in quanto ripropone lo stesso personaggio. La prima, 10, la sesta, 5, l'ottava, 3, e la decima, 1, vedono come passeggero il figlio Amin, e rappresentano più delle altre lo sviluppo narrativo di fondo che vede il progressivo distacco del figlio dalla madre. Gli sforzi di Mania, nella prima sequenza, di convincere Amin delle proprie ragioni per aver divorziato, si spengono completamente di fronte al rifiuto di Amin, sequenza dopo sequenza, fino alla decisione del tribunale di affidare Amin al padre, e nel ripetuto desiderio di Amin di dormire a casa della nonna piuttosto che da lei, e all'accettazione del fatto da parte di Mania, che alla fine rinuncia a dire al figlio le proprie ragioni sul divorzio e infine a convincerlo a trascorrere la notte con lei, invece che dal padre o dalla nonna.

[...]

La scelta dell'inquadratura fissa vanifica il mistero e la funzione del fuori campo. Tutto è concentrato sulla parola. L'invariabilità dell'inquadratura, l'impossibilità dell'azione limitano tutto ciò che può accadere all'interno delle parole che vengono dette. Lo scambio (di parole) tra conducente e passeggero avviene al di fuori della rappresentazione spaziale variabile legata alla giustapposizione di inquadrature differenti che danno luogo alla molteplicità dei punti di vista. È la macchina da presa, punto di vista mobile, a rendere incerto e inquietante il fuori campo, e, cosi facendo, anche ciò che è inquadrato. Attraverso le modalità assunte, Kiarostami può avvicinare il fuori campo a ciò che è in campo, vanificandone il potere all'interno della rappresentazione. Nulla può entrare in campo di imprevisto, di sconosciuto, e allo stesso tempo ciò che è inquadrato non è necessariamente più importante di ciò che è contiguo, ma non inquadrato, e viceversa. Kiarostami, adottando sistematicamente un'unica modalità di ripresa, riesce a dare eguale importanza a ciò che vediamo come a ciò che non vediamo (ma ascoltiamo). Come abbiamo ricordato in apertura, possiamo anche dire che Dieci è un film basato prevalentemente su piani sequenza, ma bisogna poi precisare che Kiarostami utilizza il piano sequenza in maniera involontaria. Lo utilizza perché gli è utile al fine che abbiamo sopra indicato, per togliere il più possibile elementi di rappresentazione drammatica dalle immagini. Non si può dire che scelga la forma del piano sequenza, proprio perché non gli interessa sfruttarne le possibilità espressive che sono quasi sempre legate a movimenti della macchina da presa e perciò a una continua riorganizzazione del campo visivo.

La lente della piccola videocamera di Kiarostami si sofferma su personaggi femminili (a esclusione del figlio di Mania), che vivono in una società che si rivela chiusa, e che tuttavia, agli occhi di uno spettatore occidentale, fa trasparire anche caratteristiche inaspettate. In fondo questi personaggi e i loro problemi, non sembrano cosi distanti da noi. I sei personaggi femminili che qui compaiono, possiamo considerarli come caratteri di una società lontana da noi come cultura, situazione religiosa e politica, ma ciò che denunciano, attraverso desideri, illusioni e disillusioni, scelte e costrizioni, ci riporta a discorsi non legati unicamente alla società iraniana, che pure rimane il contesto, l'ambiente reale al cui interno si muovono questi personaggi più che credibili.

Note
Si può trovare la citazione all'interno del sito web della casa distributrice.

Insomma, dieci sequenze che non corrispondono ad altrettanti piani sequenza. Andrebbe verificata meglio, ma ne sono convinto. 

Ma anche in questo caso non è applicata una logica ferrea: Ia seconda, 9, sequenza può rifarsi alla prima, 10 — in particolare quando Mandana (sorella di Mania) esprime le preoccupazioni sull'atteggiamento di Amin (che abbiamo avuto modo di conoscere nella sequenza precedente) — ma senza che vi sia un intreccio che le collega.

Per accenno a questo tipo di film dal punto di vista della sceneggiatura vedi Francis Vanoye, La sceneggiatura. Forme, dispositivi, modelli, Lindau, Torino 1998, p. 47