I canti del paese di mia madre

Dopo il successo ottenuto con Il tempo dei cavalli ubriachi, Qobâdi torna a raccontarci la sua terra, il Kurdistan iraniano, attraverso il viaggio di alcuni musicisti tra campi profughi e paesi bombardati, mentre al dolore e alle bombe chimiche si intrecciano l'energia e la vitalità delle musiche, dei balli e delle canzoni.

I CANTI DEL PAESE DI MIA MADRE

Avazhayé sarzaminé madariyami di Bahman Qobadi

Due anni fa, con Il tempo dei cavalli ubriachi, Bahman Qobadi conquistò la Caméra d'Or come miglior esordiente.Con Avazhayé sarzaminé madariyam, Qobadi racconta di nuovo la sua terra, il Kurdistan iraniano, ancora sorvolato dagli aerei iracheni che continuano a bombardare i villaggi curdi di frontiera nei mesi che seguono la fine della guerra. I caccia in cielo e, sotto, la vita che continua. Il vecchio Mizra viaggia in sidecar di villaggio in villaggio, con occhialoni e bandana, canta le sue canzoni insieme ai figli musicisti Audeh e Barat e vorrebbe anche ritrovare Hanareh, sua compagna e cantante, lei stessa partita per il Kurdistan iracheno. L'itinerario dei musicisti attraversa i campi dei profughi, i paesi bombardati, i posti di frontiera sotto la neve.

Siamo sul versante quasi documentaristico del cinema di Qobadi, già ben presente nei Cavalli ubriachi, con il paesaggio che fa da sfondo necessario, tra montagne brulle, manciate di case, strade fangose o coperte di polvere. Rispetto al primo film dove a fondersi con il reale era una storia tragica, quella dei bambini contrabbandieri, stavolta la scelta del regista è diversa. Sotto le bombe e dentro il paesaggio, non c'è quasi una storia: c'è piuttosto la presenza di un'energia vitale, a tratti comica, che si fa musica, ballo, scherzo, follia, litigio, inseguimento, festa. Il figlio Audeh non vorrebbe seguire il padre per non lasciare sette spose e tredici figlie, un uomo viene sepolto fino al collo per estorcergli informazioni (ed è quasi una gag), dei poliziotti vengono derubati dei vestiti e Mizra della moto. Circola per tutto il film, una persistente vitalità che si esprime soprattutto nella musica e nelle canzoni, come durante la festa di nozze con la gente del villaggio che segue e partecipa. Poi, il film può ripiombare nel dolore nella sequenza del campo delle donne sfigurate dalle bombe chimiche. E dolore e pietà si uniscono in un altro campo, quello dei bambini orfani: Audeh ne adotta due, i maschi che le sue tante mogli non gli hanno dato.

Avazhayé sarzaminé madariyam non ha la stessa compattezza dei Cavalli ubriachi, è frammentato, a tratti quasi picaresco, sospeso tra pace e guerra, tra felici canzoni e apparizioni di morte.

Bruno Fornara