Hou Hsiao-Hsien: La vita e le opere

La scoperta dell'opera di Hou Hsiao-hsien offre la possibilità da un lato di venire a conoscenza della Storia di Taiwan nel secolo breve, e contemporaneamente di apprezzare un'estetica ostinata e originalissima che pare non voglia concedersi attraverso l'espressione diretta, ma necessiti la mediazione dello sguardo che il regista pone sui suoi personaggi nel loro contesto storico e spaziale.

 

HOU HSIAO-HSIEN: LA VITA E LE OPERE

 

Hou Hsiao-hsien (d'ora innanzi HHH) nasce a Canton l'8 aprile del 1947. Il padre si trasferisce per lavoro nel 1947 a Taiwan, ed un anno dopo si fa seguire dalla famiglia, convinto che si sarebbe trattato di una soluzione temporanea. La guerra ed il seguente ripiegare dell'esercito nazionalista sull'isola impediscono invece di tornare in continente, così che il giovane Hou cresce a Taiwan imparando a considerarla come la sua patria, al contrario dei genitori che si sentiranno sempre in esilio, come accade ad una generazione intera di cinesi emigrati. Rimane presto orfano di padre, stroncato dalla malattia; la madre muore alcuni anni dopo. Tutte queste vicende sono narrate con impressionante sincerità nel suo film autobiografico Tongnian wangshi (1985), così come l'adolescenza scapestrata: HHH si tiene lontano dalla scuola, fa parte delle bande del paese, ha un atteggiamento confusamente ribelle nei confronti delle autorità. Lui stesso confessa come il cinema lo abbia salvato da una fine probabilmente pericolosa: molti dei suoi amici d'infanzia sono entrati in contatto con la mafia locale e sono passati da una microcriminalità in fondo innocua ad un mondo più pericoloso ed organizzato. L'adolescenza si trascina sino al momento di svolgere il servizio militare della durata di tre anni, che costituiva un vero e proprio ponte di passaggio per l'età adulta nonché rito iniziatico. È in questo periodo che HHH scopre l'amore per il cinema: il giovane passa le sue giornate di congedo chiuso in una sala, vedendo di tutto (principalmente film taiwanesi o americani), ed è sempre qui che decide che il cinema sarà il suo lavoro e la sua vita.

Finito il servizio si trasferisce a Taipei dove frequenta l'Accademia Nazionale d'Arte, e si diploma nel 1972. Inizia a svolgere una lunga serie di lavori precari, che non sempre hanno attinenza con le ombre elettriche. Lentamente riesce a farsi strada sino a venire assunto alla Central Motion Picture Company (la casa di produzione più importante dell'epoca, legata a doppio filo con il partito Nazionalista) come assistente sceneggiatore. Collabora con Li Xing, grande regista attivo da vent'anni, padre dei capolavori del sano realismo. Il suo primo lavoro dietro la macchina da presa è Jiu shi liuliu de ta (Cute girl, 1980). Si tratta di una commedia musicale che vede la presenza di una coppia di attori-cantanti celebre all'epoca; il film ottiene un buon successo di pubblico, così che HHH può girare Feng er ti ta cai (Cheerful wind, 1981) ed infine Zai na hepan qing cao qing (Green, green grass of home, 1982). Questi film sono stati importanti per lanciare la carriera di HHH, ma appartengono ad un periodo di apprendistato in cui il regista matura una maestria tecnica e diviene un buon direttore di attori; sono film tuttavia che HHH ha ripudiato una volta abbracciata una concezione di cinema autoriale ed artistica, ed ha sempre rifiutato di mostrare all'estero sino alla retrospettiva completa del suo lavoro, la prima in Europa, svoltasi nel mese di dicembre 1999 alla Cinémathèque Française di Parigi.

Pur se scarsamente interessanti dal punto di vista artistico questi film sono importanti per dare un'idea del cinema taiwanese precedente la rivoluzione del Nuovo Cinema. Inoltre, il fatto di arrivare al cinema "d'autore" attraverso questa pratica nel cinema commerciale influirà enormemente su tutta la produzione di HHH. L'atteggiamento che il regista acquista con questi primi lavori è di forte umiltà nei confronti del girato: il film è un lavoro, è qualche cosa che si fa con una équipe di persone fidate. Nei credits compare regolarmente il nome di Chen Kun-hou, che è collaboratore fisso di HHH (sua la fotografia dei primi cinque lungometraggi) per tutti i primi anni della sua carriera, e per cui HHH scrive la sceneggiatura di Xiao bi de gushi/Growing Up, film che vince nel 1983 il premio "Cavallo d'Oro" come miglior regia e film.

Sarà tipico del regista anche in seguito stringere forti rapporti di collaborazione che durano nel tempo e che marcano profondamente la sua opera.

I suoi film erano in buona parte finanziati dalla CMPC, ma poco importava l'ideologia dei suoi produttori: in fondo ciò che era necessario era il poter maneggiare una macchina da presa, avere a disposizione dei fonici e un banco di montaggio, tutte cose che, nel giro di qualche anno passato a fare un poco di tutto sui set di altri registi, HHH riesce ad ottenere, insieme alla collaborazione di un gruppo di colleghi–amici, che rendono vitale il lavoro e proficuo lo scambio di idee che si mantiene, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, ancora a livello squisitamente tecnico. Si impara a fare, a riprendere, a costruire una storia. Al contrario di HHH, Yang Dechang (Edward Yang) e gli altri giovani registi del Nuovo Cinema tornano a Taipei dagli Stati Uniti pieni di conoscenze, consapevoli del dibattito teorico che in Occidente costituiva la base dello studio della cinematografia. Hanno visto (e faranno vedere agli inizi degli anni Ottanta a HHH e ad uno sparuto gruppo di cinefili) i film neorealisti italiani, Rossellini e De Sica; hanno visto Pasolini e Antonioni, la Nouvelle Vague francese nascere e ramificarsi nelle carriere solitarie dei singoli autori. La storia della Nouvelle Vague taiwanese avrà molti punti in comune, nel suo sviluppo storico ed artistico, con la Nouvelle Vague francese: l'entusiasmo rivoluzionario iniziale, la collaborazione tra amici che si scambiano favori e ruoli, una divisione poi sempre più netta tra un approccio intellettuale al film ed il suo contrario, la massima semplicità, il dividersi degli amici che prenderanno, nel corso di due decenni, strade diverse e carriere solitarie. HHH, parlando dei progetti per il prossimo futuro, cita anche l'intenzione di creare qualcosa di simile a ciò che ha rappresentato per lui la CMPC (ma senza costrizioni ideologiche) all'inizio degli anni Ottanta: un organo che possa produrre film di giovani registi, consigliare loro soprattutto a livello tecnico, fornire loro équipe specializzate di montatori, fonici, elettricisti, creare inoltre un polo d'attrazione e discussione in cui si possano forgiare collaborazioni preziose. Questo nobile intento (gli anni a venire diranno in che misura la 3H, questo il nome della compagnia creata da HHH, riuscirà a diventare il nucleo di una "Nouvelle nouvelle vague") dimostra quanto siano stati importanti gli anni di apprendistato presso la CMPC, quanto sia stato vitale un approccio pratico al film, un lavoro su più livelli (sceneggiatura, regia, suono, luci, direzione di attori) e con più persone.

HHH sviluppa uno sguardo intransigente e fortemente personale, un'estetica coerente che avrà enorme influenza su tutta la cinematografia cinese, ma resta anche fortemente legato ad un approccio artigianale: dimostra d'essere autore estremamente fertile, pronto a lavorare su tutte le fasi della creazione di un film, e d'essere interessato allo sviluppo delle strutture produttive e distributive nel loro complesso. Sono l'intensa versatilità e pragmatismo che derivano dalle esperienze sui primi set a permettergli di dirigere tuttora film, e soprattutto di farli come vuole, in totale indipendenza creativa. Essi indicano, infatti, un regista coscienzioso e meticoloso. Naturalmente il suo atteggiamento verso i film cambierà radicalmente, diventerà consapevole e più intellettuale, ma non lo abbandona mai il senso della storia, delle atmosfere del racconto cui bisogna essere fedeli. Il suo stile rimane costante, ma senza impedirgli di cambiarne tratti anche molto vistosi per restare fedele alla storia che deve raccontare.

La svolta avviene con Erzi de da wan'ou (The Sandwich Man, 1983), film a episodi di cui HHH firma il primo; è l'occasione per cimentarsi con un cinema neorealista, affrontare la ricostruzione storica (il film è ambientato negli anni '60) e lavorare con attori non professionisti. Il divorzio di HHH dalla produzione commerciale è definitivo.

L'inizio degli anni Ottanta è particolarmente fecondo per HHH: il cinema di Taiwan è in ebollizione ed il giovane regista ne diviene presto uno dei protagonisti, anche se profondamente diverso rispetto ai suoi colleghi imbevuti di teorie cinematografiche. In questi anni incontra anche la scrittrice Zhu Tianwen che diviene la sua fedele sceneggiatrice, senza per questo abbandonare il suo mestiere di romanziere: la loro prima collaborazione è il film Fenggui lai de ren (Boys from Fenggui, 1983), che racconta la storia di un gruppo di amici in attesa del loro servizio militare, le loro prime esperienze, amicizie ed amori. Lo stile è ancora acerbo ma contiene in grembo le caratteristiche essenziali che saranno sviluppate in seguito: macchina da presa fissa, campi lunghi e panoramici, interesse naturalistico per il popolo e le storie minime, silenzi naturali, attenzione ai piccoli dettagli, descrizione impressionista dei sentimenti della gioventù. Ciò che interessa il regista non è una storia drammatica ma un'atmosfera, è dare descrizione, e ancor più sensazione, di un periodo della vita dei suoi giovani protagonisti. In seguito alle discussioni che ha con Zhu Tianwen e ai suoi amici scrittori ed intellettuali finalmente HHH si inizia a chiedere non solo come girare una scena ma anche perché girarla in quel modo, si inizia a porre questioni sul quadro e sul tempo, interviene nel suo lavoro una certa pensosità che influisce sulla scansione del filmato, sul montaggio che si farà sempre più rarefatto, sull'analisi degli oggetti e delle architetture che si faranno sempre più profonde, reiterate, significanti oltre che significati.

Gli anni Ottanta vedono il compiersi della trilogia biografica: HHH traccia un percorso della memoria, raccoglie i ricordi dei suoi sceneggiatori Zhu Tianwen e Wu Nianzhen, nonché i propri, per dare un ritratto del processo di crescita di una generazione e per descrivere un'epoca mai trattata prima al cinema. Dongdong de jiaqi (Summer at Granpa's, 1984), Tongnian wangshi (A Time to Live, a Time to Die, 1985), Lianlian fengchen (Dust in the Wind, 1986) confermano definitivamente l'importanza di HHH nel panorama del Nuovo Cinema ed iniziano a farlo conoscere all'estero.

L'operazione che compie il regista è rivoluzionaria sia da un punto di vista estetico (il cinema è finalmente espressione artistica e luogo di ricerca esistenziale) sia sociale (non erano mai state mostrate scene così pessimiste come gli aspetti negativi del boom economico).

Conseguentemente HHH, dopo un'incursione nella Taipei contemporanea con un film (Niluohe de nü'er/Daughter of the Nile, 1987) che è una cocente delusione sia al botteghino sia per il regista stesso che non riesce ad ottenere quello che spera dal punto di vista formale, compone una maestosa trilogia su Taiwan, scavando nella Storia e raccontando ciò che mai era stato possibile mostrare. La prima opera è Beiqing chengshi (A City of Sadness, 1989), che vince il Leone d'Oro alla mostra di Venezia e consacra definitivamente il suo autore. L'opera è intransigente, HHH non rinuncia a nessuna delle sue ossessioni formali: la telecamera è ostinatamente fissa, lontanissima dall'azione, la storia procede per ellissi temporali fortissime, così da dare l'impressione di un certo ermetismo. L'epoca presa in considerazione è il periodo dal 1945 al 1949, cioè la transizione dal dominio giapponese alla presa di potere definitiva del Guomindang. Era un periodo che era stato cancellato dai libri di storia, caduto sotto un tabù che solo ora si infrange. Grazie al film, che pure non mostra i massacri e le violenze che macchiano di sangue la nascita della nazione taiwanese ma preferisce concentrarsi sulle conseguenze che queste portano alla popolazione, inizia un dibattito che leva la cortina di silenzio dopo 50 anni. Il Nuovo Cinema, che iniziava come percorso di ricerca personale e rievocazione della propria adolescenza, arriva così a sviluppare compiutamente le sue premesse, descrivendo il passato di tutta l'isola per definire lo sfuggente concetto d'identità nazionale.

HHH si occupa della prima metà del secolo tracciando la biografia dell'ottuagenario attore Li Tianlu con Ximeng rensheng (The Puppetmaster, 1993); poi arriva Hao nan, hao nü (Good men, good woman, 1995), il suo film più complesso, che, fondendo tre livelli temporali diversi, attua una implicita comparazione tra il passato ed il presente, ed ancor più descrive la compenetrazione e presenza simultanea tra l'eredità della Storia e le impurità del presente.

Liberato dalla gogna dei ricordi, come lui stesso si esprime, HHH si dedica alla fine degli anni Novanta a due progetti apparentemente distanti dalla inflessibile ricerca condotta sino ad ora. Si tratta di due film di genere. Il primo, Nanguo zaijian, nanguo (Goodbye South, Goodbye, 1996), è un film di gangster che racconta la vita sbandata di tre amici che si spostano per tutta Taipei.

Il secondo, Haishang hua (Flowers of Shanghai, 1998), è ambientato nelle concessioni straniere a Shanghai alla fine del diciannovesimo secolo. Pur se abbandona un tipo di cinema fortemente caratterizzato da un impegno sociale e da una ricerca storica e culturale, HHH rimane fondamentalmente fedele a se stesso e alla sua idea di cinema: la realtà è colta con un rispetto estremo per le sue sfumature e le sue ombre, la telecamera lascia agli attori la massima libertà per familiarizzare con la scena, e allo stesso tempo le fortissime ellissi temporali che HHH attua in montaggio danno un andamento sempre più astratto alle sue opere. Si sviluppa così la dialettica tra controllo e libertà, tra illusione utopica del cinema di mimesi della realtà contrapposta all'istanza poetica del regista di posare il suo sguardo personale sulle cose.

L'ultima opera del regista è Millenium Mambo (Qianxi mambo, 2001). Il regista mette in scena la dirompente Shu Qi nelle discoteche più rinomate di Taipei (il Texound, il Milk...); la ragazza è contesa tra due uomini, e affonda inesorabilmente in un circolo sintetico di alcool, droghe e musica techno. Affresco generazionale, canto estetizzante sul vuoto di valori, poema acido e ipnotico, Millenium Mambo è, nelle intenzioni del regista, il primo capitolo di una nuova trilogia centrata sulla vita contemporanea a Taipei, sulla sua ridondanza e il suo fascino caotico, la sua impurità e la sua leggerezza, la sua innocenza e la sua perversione, tutto al tempo stesso compresente, stratificato in un meccanismo che a tratti, proprio come accade qui a Shu Qi, si inceppa.

La scoperta dell'opera di HHH offre la possibilità da un lato di venire a conoscenza della Storia di Taiwan nel secolo breve, e contemporaneamente di apprezzare un'estetica ostinata e originalissima che pare non voglia concedersi attraverso l'espressione diretta, ma necessiti la mediazione dello sguardo che il regista pone sui suoi personaggi nel loro contesto storico e spaziale.

Note
La divisione Godard/Truffaut è speculare al biforcarsi delle carriere Yang/Hou; senza voler paragonare i singoli autori, tuttavia i diversi modi di fare cinema (in linea generale: decostruzionista l'uno, legato alla storia e al suo "calore" interno l'altro) permettono una sommaria classificazione di questo tipo.

Si veda il capitolo dedicato a Fenggui lai de ren per una più ampia trattazione della figura di Zhu.

L'opera ha "goduto" di una distribuzione italiana; si tratta del primo film dopo Città dolente ad ottenere questo onore. Ma, siccome gli italiani sono pigri e poco intelligenti, il distributore (Istituto Luce) ha ben pensato di tagliare arbitrariamente una mezz'oretta, così il film dai 119' originali è snellito ai più canonici 90'.

Corrado Neri