Il nuovo cinema taiwanese

Breve storia del Nuovo Cinema Taiwanese: 1982-1987.

IL NUOVO CINEMA TAIWANESE

 

Il 1982 è l'anno della svolta nella cinematografia taiwanese. Fino ad allora si erano prodotti film commerciali infusi di propaganda, commedie romantiche, film di kung fu spettacolari (come per esempio i film di King Hu), drammi sentimentali. Lo stato ha sempre tenute le briglie della censura ben strette sulla libertà creativa dei registi. Non era stata ancora sdoganata l'idea di cinema come opera d'arte, di un mezzo capace tanto di esprimere della società gli aspetti più pregnanti quanto degli autori le particolari estetiche e tematiche.

Di fronte ad una inarrestabile crisi economica, la CMPC (Central Motion Picture Company, la principale casa di produzione dell'epoca, legata al governo, produttrice di film commerciali o di propaganda anticomunista) attua una politica di rinnovamento. I sistematici fiaschi al botteghino dei film taiwanesi la costringono a mutare i sistemi di produzione, e a rinunciare almeno in parte ai progetti ad alto budget. Comincia così a reclutare nuovi talenti, tra cui gli sceneggiatori Xiao Ye e Wu Nianzhen, all'epoca già scrittori di fama. Sono loro i principali fautori del rinnovamento: propongono infatti al direttore della CMPC di produrre, con un budget molto limitato, un film ad episodi che servisse da trampolino per una nuova generazione di registi. Lo sceneggiatore Xiao Ye scrive: "La mia idea era di mostrare, attraverso la storia di quattro vite in fasi diverse, l'evoluzione dei rapporti tra gli uomini e tra i due sessi, i cambiamenti del modello sociale taiwanese nel corso dell'ultimo trentennio". I registi prescelti avevano quasi tutti basi accademiche, avevano girato qualche telefilm per la televisione o solamente dei cortometraggi sperimentali. Viene così prodotto Guangyin de gushi (In Our Time). I registi coinvolti nell'operazione sono Tao Dechen, Yang Dechang, Ke Yizheng, Zhang Yi. Tutti continueranno la loro attività cinematografica nei decenni successivi, e tuttora sono esponenti di rilievo del Nuovo Cinema. Guanyin de gushi è considerato un film rivoluzionario perché non compaiono attori famosi, i registi sono degli sconosciuti che tentano di affrontare la sceneggiatura con un approccio personale, la post-sincronizzazione è affidata agli stessi interpreti, non è girato con un retorico cinemascope, e a livello tematico si trattano drammi prosaici (vita quotidiana nella grande città, nostalgia della perduta infanzia...) con un atteggiamento realistico e non inteso a commuovere lo spettatore a tutti i costi. Inoltre è il primo film a trattare il passato di Taiwan. Secondo le parole di Yang Dechang: "It was perhaps the first attempt in cinema to recover Taiwan past, one of the first films in which we began to ask ourselves questions ...questions about our origins, our politics, our relation to mainland China, and so on." Soprattutto, questo film fu un (relativo) successo commerciale.

L'anno seguente la piccola compagnia Wannianqing (Evergreen), composta da attori, sceneggiatori e registi, tra i quali Hou Hsiao-hsien e Chen Kun-hou, produce il suo primo film. Tratto da un racconto di Zhu Tianwen, sceneggiato da Hou e con la regia di Chen Kun-hou (anche se la divisione dei ruoli tra i due non è stata, probabilmente, così netta), Xiaobi de gushi (Growing Up, 1983) vince il premio del Cavallo d'oro come miglior film e miglior regia e soprattutto è un enorme successo commerciale. Il film, con uno sguardo obiettivo e distaccato, racconta la storia del piccolo Xiaobi e della sua relazione tormentata con il nuovo marito della madre, che dapprima rifiuta e poi, nel corso della crescita ed in seguito al drammatico suicidio della donna, impara ad accettare. Lontano dai melodrammi retorici, senza un conciliante happy end, con una poetica attenta ai piccoli gesti ed ai drammi del quotidiano, con un utilizzo del linguaggio cinematografico maturo e distaccato, il film riscuote un enorme successo al botteghino.

Questo incoraggia la CMPC a proseguire sulla strada aperta con Guangyin de gushi producendo Erzi de da wan'ou (The Sandwich Man, 1983). Il film adatta per lo schermo tre novelle dei primi anni Sessanta del celebre scrittore Huang Chunming (Hwang Chun-ming); la regia del primo episodio è affidata a Hou, il secondo ed il terzo portano la firma rispettivamente di Zeng Zhuangxiang e Wan Ren: si narrano le vicende, ambientate perlopiù in campagna, di poveri personaggi che si trovano ad affrontare il lato oscuro, e finora mai descritto al cinema, della modernizzazione e del boom economico. Descrivendo con realismo le tensioni di un mondo ancora arretrato che è costretto a procedere a passi forzati verso un mercato capitalistico, con personaggi che non si capiscono perché non parlano la stessa lingua, il film attira su di sé le ire della critica e le forbici della censura. Questo film dunque non solo anticipa quelle che saranno le caratteristiche principali, formali e tematiche, del Nuovo Cinema, ma dà inizio anche al dibattito critico che ne accompagna la nascita e la crescita: introduce i temi che saranno le ossessioni della produzione taiwanese (la critica all'occidentalizzazione, il dramma economico, la ricerca d'identità personale e nazionale, il processo della crescita ...) e contemporaneamente mostra la possibilità di un cinema diverso rispetto a quello che era sempre stato fatto, in altre parole con una consapevolezza formale inedita, e indica la strada per un necessario, cartesiano ripensamento di tutta la produzione cinematografica, sì che diventi effettivamente nazionale (cioè non solo prodotta dai finanziamenti dello stato e che parli il mandarino, ma che rispecchi effettivamente e con onestà lo spirito le caratteristiche e le contraddizioni della nazionalità taiwanese) e contemporaneamente d'autore (vale a dire che possa esprimere sentimenti personali ed universali, in modo che possa varcare i confini dell'isola per presentarsi al mondo intero).

Tradizionalmente il primo lungometraggio del Nuovo Cinema è considerato Haitanshang de yi tian/That Day On The Beach (Yang Dechang, 1983). Si tratta di un'opera lunga e complessa, che, con numerosi flashback ad incastro ed altre tecniche moderne che dimostrano una consapevolezza ed una ricerca formale inedita, descrive la vita di una donna nella società contemporanea. Nel corso del decennio, oltre alle opere di Hou che rappresentano spesso i maggiori successi del Nuovo Cinema, continuano con esiti alterni ad uscire le opere di Yang Dechang, che si fanno sempre più sperimentali e impegnative, ed inoltre numerosi adattamenti da romanzi e racconti. Il Nuovo Cinema entra presto in crisi: si sommano problemi con la censura e con la produzione, si succedono numerosi insuccessi commerciali, portando spesso alla paradossale situazione per cui film con forti connotazioni nazionali, che descrivono situazioni socio-politiche dell'isola, o che trattano della pesante eredità della cultura classica cinese, o ancora che raccontano la vita di poveri contadini nelle campagne, debbono cercare fondi all'estero, ed è all'estero che sono apprezzati e premiati dalla critica. Pur se ancora mentre scrivo film taiwanesi continuano a passare per il circuito dei festival internazionali e opere notevoli appassionano i cinefili, alcuni storici hanno già fissato la data della morte del Nuovo Cinema: si tratterebbe del 1987, anno in cui viene firmato dai principali cineasti il manifesto del Nuovo Cinema, che rivendica libertà e rispetto per l'indipendenza della creazione artistica, ed in cui è abolita la legge marziale sotto cui l'isola ha vissuto per quasi quarant'anni.

Come tutte le Nouvelles Vagues, quella francese in testa, anche il Taiwan xin dianying ha avuto, almeno come movimento organizzato e coerente, vita breve. Le cause di questa rapida decadenza sono molteplici.

La prima è che il pubblico, che pure aveva riservato un'accoglienza calorosa ai primi film, presto si stanca di questo tipo di vicende deprimenti e tormentate per tornare a rifugiarsi nella sicurezza distensiva dei film d'intrattenimento nazionali e, soprattutto, americani.

Così l'ossessione per la Cina (the Obsession With China di cui parla C.T. Hsia) se per alcuni grandi autori continua ad essere il motore di opere ispirate e fondamentali (primo tra tutti Hou) per il pubblico diviene spesso fonte di noia e disturbo: bisogna pur svagarsi e divertirsi, bisogna pur elaborare il lutto per un mondo perduto e lanciarsi alla conquista di mondo nuovo. Che poi tutto ciò porti all'alienazione dell'uomo moderno, all'incomunicabilità, alla mancanza di un senso che regoli l'esistenza, all'uniformità grigia e meccanica delle città, questo sarà presto chiaro e sarà narrato dagli autori e dai registi che si trovano ad operare a cavallo tra due decenni. Ecco quindi che, se per Hou Niluohe de nü'er/Daughter of the Nile (il film di ambientazione contemporanea che gira appunto nel 1987) è momento di transizione verso un universo cui non aderisce immediatamente (si dovrà attendere il 2001 con Millenium Mambo), e dunque è un relativo fallimento, poiché l'autore torna subito dopo ad occuparsi del passato dell'isola e delle storie personali che tanto gli stanno a cuore, tuttavia l'ambiente della città, con i suoi piccoli e grandi gangster, con la delinquenza e la modernità che avanza, con i suoi telefonini e le sue vetture che tagliano le distanze e mutano per sempre il modo di viaggiare è sicuramente un mondo che gli interessa e lo affascina. Prima, però, deve averne una conoscenza approfondita, e deve anche liberasi dal peso dei ricordi e dall'ossessione per la Nazione.

Manca, innanzi tutto, il sostegno del pubblico che trova i film noiosi e vuoti in rapporto alle grandi produzioni hollywoodiane e di Hong Kong. Le case di produzione così investono sempre meno capitali in imprese rischiose, in opere di registi che si curano "solo" del lato artistico del cinema e non dei gusti del pubblico. Sono noti gli aneddoti che riguardano, per esempio, Qingmei zhuma/Taipei Story (1985) di Yang Dechang, per finanziare il quale Hou ha ipotecato la sua casa. Non bisogna poi scordare che all'epoca i film taiwanesi, ma anche cinesi in generale, avevano appena cominciato ad uscire dai territori nazionali, ed erano dunque ben lontani i tempi in cui potevano usufruire di un aiuto (seppur limitato) da parte di paesi stranieri, sotto forma di coproduzioni.

Altri importanti elementi da non sottovalutare sono da un lato la mancanza di una cultura cinematografica sull'isola, e dall'altro la forte pressione governativa sulla produzione culturale. I registi e gli autori si debbono battere per ottenere un riconoscimento ufficiale, e per far considerare il cinema come un'arte a tutti gli effetti, e non un puro prodotto commerciale.

Per quanto riguarda il secondo punto, cioè la censura governativa, anch'essa è da tenere ben presente nello studio delle opere taiwanesi. Alla fine degli anni Ottanta la situazione si scioglie notevolmente, grazie alla dichiarazione della fine della legge marziale (1987), in vigore per quasi quarant'anni. Sino ad allora, sotto la maschera della moralità e della pubblica utilità dei film e dei prodotti culturali in generale, lo stato censurava ogni espressione di malcontento o di critica sociale, per quanto velata.

Considerando la conclusione di Lianlian fengchen/Dust in the Wind (Hou Hsiao-hsien, 1987) troppo pessimista e suscettibile di creare una brutta impressione all'estero, il governo blocca i fondi per la produzione del film. Per non parlare dell'ostracismo che incontrano film che affrontano chiaramente dei soggetti scabrosi come la sessualità femminile (Shafu/Woman of Wrath di Zeng Zhuangxiang, 1984) o l'omosessualità (Niezi/The Outcasts di Yu Kanping, 1986). Ci si muove spesso sul filo del rasoio, in condizioni di estrema precarietà per quanto riguarda il budget dei film, le indecisioni produttive, l'impotenza di fronte alle monolitiche leggi di produzione che non lasciano possibilità al Nuovo Cinema di trovare un pubblico (poca pubblicità, permanenza brevissime nelle sale, imposizione di elementi commerciali nelle sceneggiature), la spada di Damocle della censura, l'ostilità dei media. Eppure, un gruppo di registi e sceneggiatori agguerriti e sinceramente amanti del cinema sono riusciti a creare una cinematografia seria dal nulla, a dispetto delle innumerevoli difficoltà, ed a volte anche a contribuire allo sviluppo del discorso democratico.

Il 1987, dunque, è un anno cruciale. Il 22 Gennaio viene pubblicato sul Zhongguo Shibao il Manifesto del cinema taiwanese (Mingguo qishiliu nian Taiwan dianying xuanyuan).

Il documento, che porta la firma di tutti gli esponenti di spicco della Nouvelle Vague (cineasti, scrittori, sceneggiatori, operatori; tra gli altri: Hou, Zhu Tianwen, Wu Nianzhen, Christopher Doyle, Huang Chunming, Yang Dechang, Chen Kun-hou) appare, agli smaliziati occhi occidentali, piuttosto ingenuo, in quanto non rivendica rivoluzioni stilistiche (come fa il Dogma 95), ma piuttosto fa presente dei concetti basilari. Il Manifesto è diviso in due parti, una in cui viene criticato il sistema e l'altra dove invece sono raccolte le speranze dei firmatari; i due blocchi sono a loro volta suddivisi in tre parti, che si rispecchiano. In breve, i cineasti rivendicano come primo punto la libertà d'espressione e la fine dell'ingerenza governativa nei progetti, ingerenza che porta lo stato a produrre con enormi budget film di pura propaganda politica e a censurare senza ritegno opere meritorie. Come secondo punto gli autori attaccano i media che trattano ancora il cinema come prodotto commerciale senza riconoscere il suo valore artistico. Il terzo punto affronta una critica che consiglia ai cineasti di prendere esempio da Hong Kong e dagli Stati Uniti e smettere di girare film così noiosi. Quello che rivendicano è una nuova idea di cinema ma anche di società, che sappia apprezzare il valore culturale dell'espressione artistica per svincolarsi dall'ottusa mentalità affaristica e provinciale. Siamo agli albori di un discorso teorico ed estetico sul cinema, ma quello che più importa è evidentemente conquistare la libertà d'espressione ed il rispetto per un'arte sottovalutata e disprezzata. Il manifesto riflette anche la frustrazione di chi, nonostante i successi ottenuti ed i consensi raccolti si vede impotente di fronte ad un'industria impermeabile al cambiamento, dove le strutture produttive rimangono immutate macchine commerciali.

Ma allora perché si situa d'abitudine la fine dell'esperienza del Nuovo Cinema proprio in quest'anno, così prolifico d'idee e così combattivo? I problemi economici e lo scarso successo di pubblico possono solo in parte spiegare questa fine prematura, soprattutto contando che si continuano a produrre film, e che proprio dagli anni Novanta il cinema taiwanese è esportato all'estero e vince premi importanti.

La prima considerazione è che in questo modo si intende delimitare un periodo di rinnovamento avvenuto sotto il giogo della legge marziale. Dopo il 1987 le cose non potranno più essere le stesse. Non muore il cinema taiwanese, ma il Nuovo Cinema, che non può restare nuovo per sempre; è il momento di consolidare delle tecniche, delle tematiche, delle formule produttive. Il periodo pionieristico è finito.

Un'altra considerazione d'ordine meno generale è che, con un'impressionante parallelismo con la Nouvelle Vague francese degli anni Sessanta, cambiano sensibilmente i rapporti all'interno del gruppo d'artisti. Per meglio dire: da quello che era un gruppo unito si stagliano pian piano delle singole personalità, abbastanza forti da aver bisogno di uno spazio tutto loro per potersi esprimere. Questo è vero per entrambi movimenti, e a maggior ragione per il Nuovo Cinema, che era iniziato con dei film collettivi che riunivano cortometraggi di diversi artisti. La loro collaborazione non termina con Erzi de da wan'ou e Guangyin de gushi. Hou produce e recita in un film di Yang Dechang (Qingmei zhuma/Taipei Story, 1985), mentre Yang Dechang compare nelle opere di Hou (è, per esempio, il padre di Dongdong in Dongdong de jiaqi/Summer at Granpa's, 1984), Wu Nianzhen è sceneggiatore per Hou e Yang, e attore per quest'ultimo (per esempio in Yiyi/E uno... e due, 2000), Chen Kun-hou collabora con Hou... il Nuovo Cinema si presenta agli inizi degli anni Ottanta come composto da un gruppo omogeneo di persone che insieme, pur mantenendo le proprie specificità e caratteristiche, nondimeno è unito e porta avanti un progetto in comune. Come è naturale, con il corso del tempo le cose cambiano. I singoli artisti prendono cammini differenti, seguono percorsi più solitari per definire ognuno a suo modo la propria identità di cineasta e la propria idea di cinema.

Particolarmente interessante a questo proposito, e chiaro ed esplicativo di questa svolta (che se non è una rottura segnata da litigi drammatici è quantomeno movimento centrifugo), è l'atteggiamento dei principali esponenti del Nuovo Cinema nei confronti della Storia: se, in un primo tempo, è Hou che si muove nell'ambito dei ricordi biografici e della rievocazione del passato (Dongdong de jiaqi; Tongnian wangshi/A Time To Live, A Time To Die, 1985...), lasciando ad altri, soprattutto Yang Dechang, il compito di descrivere il mondo moderno con le sue contraddizioni e schizofrenie (Qingmei zhuma; Kongbu fenzi/Terrorizers, 1986...), in un secondo tempo i ruoli si invertono. Ma più che per Hou, che fa una breve incursione nella contemporaneità con Niluohe de nü'er, senza peraltro trovarsi a suo agio, sono gli altri che avvertono il bisogno di raccontare a loro modo il passato dell'isola e la Storia di Taiwan (sempre a proposito di quell'ossessione per la Cina che è motore potente ed a cui non si sfugge). Il primo è Yang Dechang che firma nel 1991 Guling jie shaonian sharen shijian (A Brighter Summer Day): il film costa tre anni di lavorazione, ha una durata fiume (185'; ma gira a Taiwan una versione di 237') ed è una vera e propria epopea nella Taiwan degli anni Sessanta, con bande rivali, storie d'amore, omicidi e passioni e la Storia che filtra tra le vicende personali e familiari. Il film presenta molti punti in comune con le prime opere di Hou (soprattutto Tongnian wangshi) ma ha indiscutibilmente una propria originalità , sia dal punto di vista tematico sia da quello formale: si moltiplicano i personaggi e la costruzione della trama è labirintica e ad incastri. Il film riflette la necessità del regista di riguardare un pezzo di storia usando i propri mezzi ed il proprio sguardo.

Poi è interessante un ulteriore film storico, filmato da Wu Nianzhen. Lo sceneggiatore di Lianlian fengchen si ritiene insoddisfatto del lavoro svolto da HHH, soprattutto lamenta il mancato approfondimento da parte di quest'ultimo del rapporto del giovane protagonista con il padre: si è già notato come la figura del padre in Hou, forse perché il suo genitore è morto lasciandolo orfano in tenera età, sia nei suoi film sempre assente, ferito o malato; la cosa era diversa per Wu Nianzhen, che vede così la sua biografia distorta e poco fedele. Per colmare la lacuna decide di mettersi dietro la macchina da presa riscrivendo la sua storia nell'opera che porta il titolo di Duo sang (A Borrowed Life, 1993).

Il rapporto con la Storia, punto focale e nodo gordiano della grande maggioranza degli artisti cinesi necessita per ognuno dei principali esponenti del gruppo un trattamento solitario e personale. Ognuno sente, affinando le proprie tecniche ed ambizioni di creazione, il bisogno di far sentire la propria voce non tanto come esponente di un gruppo quanto come autore, il che porta necessariamente all'indebolirsi di legami così stretti come quelli degli inizi.

Sommando dunque i problemi economici e la nevrosi della produzione al naturale maturare degli autori che prendono direzioni diverse, senza dimenticare la sospensione della legge marziale, che dà un poco di respiro agli artisti (e a tutta la popolazione, d'altronde) in termini di libertà di espressione, possiamo tracciare un quadro sufficientemente chiaro della fine degli anni Ottanta, ed anche accettare come data della fine del movimento il 1987. Un'epoca è terminata.

.Note
In Müller, Nuove ombre elettriche, p. 94. Xiao Ye si dilunga poi in una spassosa descrizione di tutte le vicende che hanno portato alla realizzazione del film, con alcuni pettegolezzi particolarmente curiosi, ma qui di scarso rilievo.

Nato nel 1952 a Taipei studia cinema negli Stati Uniti. È regista ed attore. Tra i film che realizza ricordo Danche yu wo (La bici ed io, 1984).

Figura centrale del Nuovo Cinema. Nato nel 1947, compie studi in America per poi tornare a Taipei. Qui realizza opere capitali, che per la prima volta vedono una consapevolezza formale matura nella descrizione della città come megalopoli vivente, moderna, che fagocita i suoi abitanti. Cantore della disperazione esistenziale della nuova borghesia, ricordo tra le sue opere Haitanshang de yitian (That Day On the Beach, 1983), Qingmei zhuma (Taipei Story, 1984), Kongbu fenzi (Terrorizer, 1986).

Regista, sceneggiatore ed attore. Nato nel 1946 studia in America. Recita, tra l'altro, in Qingmei zhuma. Come regista ricordo Wo ai mali (I Love Mary, 1984), Women de tienkong (Our Sky, 1986).

Regista, sceneggiatore. Nato nel 1951, è inizialmente romanziere. Come regista è autore di Yuqing sao (Jade Love, 1984) tratto dal romanzo di Bai Xianyong, e di Wo zhe yang huo le yi sheng (Kuei Mei, a Woman, 1985) che vince il premio Cavallo d'oro come miglior film.

In Yingjin Zehang, Encyclopaedia of Chinese Films, Routledge, London, 1998, p. 57.

Nata nel 1956 è scrittrice e sceneggiatrice. Nata in una famiglia di letterati, diventerà, senza rinunciare alla sua attività di romanziere, collaboratrice fissa di Hou per cui scriverà tutte le sceneggiature, spesso coadiuvata da Wu Nianzhen, da Fenggui lai de ren in poi.

Già collaboratore storico di Hou; cura la fotografia dei suoi primi film prima di intraprendere una carriera di regista che inizia appunto con Xiao bi de gushi.

Nato nel 1947 ha compiuto studi a Taipei ed in America, dove si specializza in Film Studies. Tra gli altri film come regista ricordo Wuli de disheng (The Flute Sounds in the Mist; 1984); Shafu (Woman of Wrath, 1984).

Anche lui, come molti cineasti del Nuovo Cinema ha frequentato l'università a Taipei per poi specializzarsi negli Stati Uniti, dove riceve un MA in Film Studies. Realizza un paio di film in 16mm prima di partecipare al progetto di Erzi de da wan'ou, che lo consacra come riconosciuto cineasta. Dall'inizio degli anni Ottanta comincia a girare a Taiwan. Tra i suoi film più importanti ricordo Youma caizi (Ah Fei/Rapeseed Woman, 1983), Chaoji shimin (Super Citizen, 1985).

Yang inserisce prepotentemente la storia politica (la vicenda del padre) nella narrazione, che si rivela costruita come un puzzle, con incastri precisi e ricorrenze determinate; al contrario del film di HHH poi ha una fine (l'omicidio), un punto d'arresto in cui vengono tirate le fila di tutti discorsi, le azioni ed i gesti dei giovani protagonisti, un momento in cui la vicenda si conclude drammaticamente, mentre in HHH il fiume della vita scorre lento ed il film potrebbe continuare ad oltranza.

Corrado Neri