The Host: la “coreanità” del cinema catastrofico.

Un film che prende i suoi spunti dal cinema hollywoodiano per sovvertirne gli schemi e le aspettative, che coniuga commedia, avventura e fantascienza, con la visione critica di una coscienza d' autore.

Nella sua costante ricerca stilistica Bong Joon-ho affronta, attraverso una tematica fantascientifica, una personale lettura del disaster movie con i  risvolti tipici della sua poetica, grotteschi, comici e di denuncia sociale, che prendono forma nella storia di un mostro mutante che vive nel fiume Han di Seul e che mette sotto assedio la città e le inette autorità competenti. La struttura del genere diviene mezzo per la sperimentazione espressiva e tecnica, con l’impiego dell’animazione e di un articolata composizione formale, che mette in scena un dramma privato e collettivo, catastrofico e attuale con un esplicito riferimento alla recente storia della Corea, alla sua identità. Un film coreano che prende i suoi spunti dal cinema hollywoodiano per sovvertirne gli schemi e le aspettative, che coniuga commedia, avventura e fantascienza, senza escludere tagli melodrammatici, con la visione critica di una coscienza d' autore.

La minaccia che incombe sulla popolazione è resa esplicita nell’esordio  dalla scansione temporale che lo caratterizza che mette in evidenza le dinamiche dell’inquinamento chimico e delle conseguenti mutazioni genetiche quali cause dirette che avviano la narrazione.

Nell’anno 2000 in un obitorio della base statunitense il superiore ordina all’assistente coreano di versare nello scarico numerosi flaconi di formaldeide. Reticente il giovane si vede costretto ad obbedire con la consapevolezza del grave danno ecologico che sta per compiere. Una panoramica lungo i flaconi vuoti si dissolvono nel mare dove due pescatori trovano un piccolo e strano animale con molte code che li sfugge. Siamo nel 2002. Nel 2006 in una giornata di pioggia un uomo corre su un ponte del fiume Han per suicidarsi. Prima i dettagli sul suo corpo, su frammenti del viso, poi angolazioni verticali che si immergono nel fiume, preludono il suo gesto estremo.  Questa sequenza d’apertura, condensata drammaticamente è seguita dalla presentazione umoristica dei caratteristici protagonisti della vicenda. Il racconto procede con una continua e costante alternanza di tensioni emotive, effetti sorpresa, o suspense e gag comiche dall’immediato risvolto tragico che denuncia un fallimento. In Boong Joon-ho  la commedia è strumento che meglio delinea l’assurdità, le deformazioni della società, le sue fragilità, o l’incapacità di comunicare, propria dell'individuo e della collettività. Il padre che affronta il mostro con il fucile scarico, o lo zio sempre ubriaco, memore delle contestazioni in piazza per la lotta a favore della democratizzazione, lancia una bomba molotov contro il mostro, che però cade alle sue spalle. Lo stesso protagonista Gang du che dorme sempre ed ovunque anche nei momenti più tragici, che si inciampa, che erroneamente salva un’altra bambina e lascia sua figlia nelle grinfie del mutante. Tutte figure singolari, come la sorella, campionessa nazionale di tiro con l’arco, che perde il titolo perché troppo lenta: significativa è la gag della fuga dall’ospedale in cui rimane indietro mentre è seguita. L’ humor noir trova la sua piena realizzazione nella scena al municipio, davanti alle fotografie dei defunti e dei dispersi, quando la famiglia si riunisce fra le lacrime, litiga, si azzuffa con l’intervento dei fotografi, il plongè che vede tutti a terra e l’intervento dell’estraneo che cerca il proprietario di un’auto posteggiata male.

Il fallimento non solo è individuale o limitato al gruppo familiare, ma alla società intera governata da una politica neocoloniale. Il potere esercitato dagli USA è innanzitutto causa dell’incidente, manovra l’informazione, fomenta il timore di un virus inesistente attraverso il caricaturale personaggio del medico americano supervisore, decide gli interventi di fronte all’incapacità gestionale del governo coreano. Le forze dell’ordine si fanno da parte, anche all’arrivo dei dimostranti, i protagonisti sono costretti a cavarsela individualmente ostacolati dalle istituzioni nei confronti delle quali si manifesta una insofferente incomprensione e un rapporto sostanzialmente ostile, l’idea di un complotto dal quale, in qualità di vittime, non si può sfuggire.

L’informazione dal taglio propagandistico è filtrata dai notiziari televisivi, e le stesse modalità del racconto riproducono tale tecnica nella costante commistione di generi e sperimentazione che mette in atto la pellicola. E la fluidità e trasparenza classica del genere Bong joon-ho la sovverte attraverso strategie discorsive che giocano sull’ellissi improvvisa che omette dal racconto le immediate conseguenze delle catture del mostro, l’ articolazione spaziale frammentata e disorientante nelle scene di dialogo all’interno del chiosco o la continuità del piano sequenza che riprende la prima incursione del mostro in riva al fiume, l’incombere di scene prettamente soggettive sul piano visivo o tramite l’enfasi del sonoro e del ralenti. Quest’ ultimo insieme ai numerosi plongè diviene una marca stilistica del film. Nell’ inseguimento iniziale una ragazza ascolta la musica tranquilla nel prato ignara di ciò che sta accadendo intorno a lei e il cui isolamento è restituito con un sonoro sordo, ovattato, che non rispecchia i rumori dell’ambiente e il pericolo imminente, quando inaspettatamente viene travolta dalla corsa del mostro. Anche nella fuga di Hyun seo la dinamica è simile poiché il rallentatore e il suono extradiegetico isolano la bambina che non si rende conto dell’ incombente situazione. Giunge il padre la trascina di corsa e la dilatazione temporale dei fotogrammi evidenzia il gesto e la disperazione di Gang du nella drammatica scena del rapimento della figlia che avvia il motivo della ricerca. Il carattere visionario della pellicola emerge quando l’intera famiglia all’interno del chiosco mangia in silenzio: compare Hyun seo e nella totale normalità ognuno dei membri le offre del cibo in una sorta di allucinazione collettiva, messa in risalto dal silenzio dominante e dal piano d’insieme statico e distaccato.

L’ attesa è nuovamente delusa nel finale in cui la ragazza intraprendente e coraggiosa non riesce a sopravvivere, nella constatazione di un novo fallimento. La lunga scena drammatica e dilatata è seguita dallo scioglimento narrativo che rivela nuovamente il carattere umoristico e la visione cinica tipiche della pellicola che intreccia registri e toni differenti, tragici, comici, che procedono attraverso la tensione narrativa, l’effetto sorpresa, l’ estensione temporale e l’incursione antidrammatica.

Davide Morello