L'esperienza della pianificazione dello sviluppo turistico negli anni del Covid 19

TOURISM INSIGHT

Si è conclusa nei mesi scorsi l’attività di supporto tecnico alla redazione del Piano Attuativo del Piano di Sviluppo Turistico Sostenibile della Regione Calabria che ha visto CISET affiancare Invitalia per un anno.

È solo uno dei progetti che, in un periodo complicato come gli ultimi due anni, hanno visto CISET impegnato nel supportare destinazioni di vario livello e dimensioni su diversi aspetti del destination development.

Su questo tema vogliamo proporre alcune riflessioni su cosa significhi fare programmazione strategica per il turismo al tempo della pandemia, considerazioni che riguardano tutti coloro che sono coinvolti nel processo, siano essi consulenti come CISET, amministrazioni pubbliche, privati o loro rappresentanze, tutti egualmente sottoposti a nuove spinte nell’attività di pianificazione.

La prima riflessione riguarda l’orizzonte. Se da sempre c’è una difficoltà a proiettarsi in avanti quando si tratta di pianificare lo sviluppo turistico, mai questa è stata più intensa. La tendenza a considerare permanenti comportamenti dei turisti legati alla congiuntura e ai vincoli attuali, e la difficoltà di distinguere i trend di breve periodo da quelli destinati a durare, sono stati tra i principali problemi per chi progettava lo sviluppo in questo periodo, rendendo ancor più complesso mantenere lo sguardo fisso oltre il guado del Covid -19 e indirizzare gli investimenti dove fossero più utili nel lungo termine.

Una parte di questa difficoltà di proiezione è legata a un’altra problematica endemica del destination planning in molte aree d’Europa, ossia il fatto che si tende a investire nella pianificazione, ma meno nel monitoraggio e nella raccolta di informazioni sul campo, tramite indagini, seguendo le tracce digitali, raccogliendo dati da fonti diverse. Il tutto, con il risultato che spesso ci si ritrova a programmare senza sapere come si è evoluta la situazione o a non riuscire a valutare la fattibilità di percorsi di sviluppo proposti.

In questo campo, sembra esservi l’impressione che l’informazione sia da qualche parte, che qualcuno si premuri di raccoglierla per vocazione nel caso dovesse servire, o che quella che è disponibile tramite varie fonti sia sufficiente ed esaustiva, anche se magari raccolta per altri scopi e incompleta.  A volte il settore pubblico tende a pensare che le imprese abbiano tutte le risposte, e i privati a loro volta che le amministrazioni abbiano o debbano raccogliere tutte le informazioni. La mancanza di cultura non solo del dato, ma dell’informazione a tutti i livelli (dal sito web dell’impresa all’indagine sul brand nazionale) si riflette nella scarsa consapevolezza della necessità di condividere i propri dati per creare conoscenza e di investire soprattutto tempo per raccogliere e studiare il dato stesso.

Questa è una barriera enorme che rischia di rendere cieca la pianificazione o di farle prendere abbagli. E il primo degli abbagli riguarda proprio i turisti: la carenza di informazioni induce a pensare che siano una sorta di riflesso di noi stessi, quando la realtà, una volta analizzata, dimostra spesso l’opposto. L’altro abbaglio, dove i dati ci siano, è che si interpretino e si diano senso da soli, senza che sia necessaria alcuna expertise per ricavare conoscenza dagli stessi (e qui ritornano le assonanze con alcune tendenze rilevate intorno alle notizie legate alla pandemia). La proclività a confondere comportamenti congiunturali con cambiamenti profondi della domanda è anche frutto di questo equivoco.

Il terzo elemento di riflessione è legato al fatto che mantenere l’equilibrio tra digitale e analogico nel planning è un esercizio sempre più difficile. Il digitale e le tecnologie 4.0 sono pervasive di ogni aspetto della gestione di un’azienda, di una destinazione e del customer journey stesso, e ciò induce a pensare che una volta implementate risolveranno i problemi da sole e non ci sarà bisogno di accompagnare la re-ingegnerizzazione sul piano organizzativo, sia che si tratti di imprese che di destinazioni.

Il rischio è anche dimenticare che, soprattutto una volta a destinazione, il turista interagisce anche direttamente e che il rapporto con il digitale può essere variabile nell’arco della stessa giornata. La mancanza di attenzione all’analogico e al come riorganizzare il lavoro a seguito dell’introduzione di nuove soluzioni digitali o 4.0 poi rischia di vanificare anche gli sforzi sul digitale, tramutandolo in un paradosso della produzione, ossia in un’integrazione di tecnologia che invece di rendere più efficiente il lavoro – come dovrebbe essere - lo appesantisce.

Dimostrazione in questo senso sono le problematiche di alcune “città smart”, che stavano emergendo prima della pandemia: prima di replicarle sulle destinazioni, sarebbe importante ricordare che lo “smart” è una questione di governance e organizzazione, prima ancora che di tecnologia.

Sempre su questa linea un’ulteriore considerazione riguarda la difficoltà a tener presente, nel definire le linee di sviluppo, che esiste un’innovazione anche nell’analogico che riguarda il design, l’esperienza del turista, i contenuti, i prodotti consumati, ecc.: tutti, pubblici e privati, tendono a sovrapporre innovazione e digitale e a non concepirne di altro genere, tenendo quindi a concentrare gli investimenti solo in quel capitolo.

Proprio per effetto dell’interazione tra pandemia e pervasività del digitale, l’ultimo ragionamento riguarda la difficoltà nel destination development di non indirizzare e controllare completamente ogni singolo aspetto e potenzialità: diventa spesso difficile mantenere sotto controllo la necessità di coordinare e supportare lo sviluppo, evitando che si tramuti in un’indicazione minuziosa su ogni aspetto. La pianificazione deve, infatti, più segnare un solco che dettare le azioni specifiche per ogni singola entità dei sistemi turistici.

 

Federica Montaguti 

Ricercatrice senior del CISET