Intervista a Giuseppe Caldiera, Direttore Generale di CUOA Business School

Oggi incontriamo Giuseppe Caldiera, Direttore Generale di CUOA Business School. Con lui parleremo naturalmente di narrazione d’impresa, ma da angolazioni differenti. Cercheremo, sulla base della sua esperienza, di capire qual è la sua personale opinione sull’utilizzo di questa metodologia per raccontare un’impresa. Quanto è importante all’interno di una business school come CUOA condividere con i propri corsisti il tema della narrazione e della cultura d’impresa e inoltre ci faremo dire se ha qualche bella storia d’impresa da segnalarci, magari passata proprio dai banchi di scuola del CUOA e infine gli faremo far fare un’attività di narrazione. Buona lettura.

Dottor Caldiera sulla base delle sue esperienze professionali e personali che cosa rappresenta per lei la narrazione d’impresa?

Da appassionato di storia, la narrazione d’impresa è per me la sintesi più bella della vita e del percorso di sviluppo di una organizzazione, colta nella sua dimensione temporale e geografica (il tempo e il luogo dove un’idea imprenditoriale si è trasformata in realtà), umana (la persona e le persone che l’hanno pensata, creata e fatta crescere), economica (la creazione di valore e la distribuzione di ricchezza e di benessere), sociale (occupazione e welfare, sia interno che esterno all’azienda), formativa (creazione e sviluppo di nuove competenze, diffusione delle stesse), culturale (innovazione, creatività e nuovi paradigmi). Ognuna di queste dimensioni, se raccontate nella loro evoluzione, interrelazione e sinergia, ben testimoniano e danno significato al ruolo e all’azione dell’impresa nel suo territorio di riferimento.

Perché oggi più che mai un’impresa deve sapersi ben raccontare?

Viviamo in un mondo pieno di racconti, più o meno veri, più o meno belli. Molti oggi raccontano o sono chiamati a raccontare la propria storia e lo fanno a modo loro, cercando spesso di colpire il pubblico e di dare la propria personale versione e visione. In questo contesto un po’ inflazionato di tante storie, un’azienda che si racconti è un fatto ancora, e purtroppo, raro e può colpire l’attenzione e l’interesse più di quello che si crede. Bisogna, però, essere consapevoli del valore della propria storia e puntare su una buona narrazione. Il ritorno che può dare questa storia, in termini di reputazione e visibilità, è molto alto e può fare la differenza in un contesto competitivo molto agguerrito dove vince chi riesce a differenziarsi e a evidenziare gli aspetti distintivi e unici della propria impresa.

Quali sono secondo lei le caratteristiche di un racconto d’impresa efficace?

La narrazione di una impresa deve essere soprattutto vera. Deve saper raccontare i sogni e le ansie, le speranze e i timori di chi per primo l’ha pensata e, in particolare, trasmettere la passione che ne ha alimentato la crescita e lo sviluppo. Deve raccontare, in particolare, quella somma di fattori (il genius loci) che hanno permesso di realizzare in un determinato momento e in uno specifico luogo quell’idea di business che si è rivelata vincente e si è consolidata nel tempo. Deve dare testimonianza del contributo sia individuale dell’imprenditore che collettivo di tutti coloro che hanno partecipato allo sviluppo e all’affermazione dell’impresa. In un tempo dove sembrano dominare le tecnologie, il fattore umano emerge con ancora più forza e un racconto d’impresa efficace deve saper affiancare alla figura dell’imprenditore, che resta il capitano che guida e indica la rotta, anche il ruolo di tutti coloro che a vari livelli hanno contribuito al successo dell’impresa.

Durante l’MBA Imprenditori ci sono delle sessioni dedicate a sensibilizzare i partecipanti sul tema della narrazione e come iniziare il proprio personale racconto?

Non in maniera strutturata, ma abbiamo organizzato degli eventi sui temi della narrazione d’impresa rivolti agli imprenditori e li abbiamo coinvolti anche in pillole video di narrazione di sé stessi e della propria azienda. Nel percorso specialistico del corso executive di marketing c’è una specifica lezione sullo storytelling d’impresa. Stiamo realizzando, inoltre, dei progetti sui temi dell’Heritage Marketing proprio sulla valorizzazione della storia e del patrimonio anche immateriale delle imprese. Di questi è un esempio il Progetto "Le mani raccontano - Atelier e botteghe artigiane negli itinerari del turismo slow veneto" realizzato con il contributo della Regione del Veneto tramite il Fondo Sociale Europeo e finalizzato a sostenere imprese artigiane nel recupero, valorizzazione e comunicazione del proprio patrimonio storico culturale e del proprio "saper fare con le mani".

C’è qualche bella storia di impresa, che magari è passata proprio dalla vostra business school, che le piacerebbe condividere?

Non posso citarne una, perchè sono molte. Quando le imprese scelgono di investire nel capitale umano e lo fanno in modo costante, sono per noi imprese che meritano di essere raccontate. Di solito la scelta di lavorare sullo sviluppo delle competenze delle persone passa attraverso un percorso di consapevolezza, di riconoscimento del proprio valore, ma anche delle proprie aree di miglioramento, di tensione al cambiamento. Chi investe in formazione guarda al futuro, con positività. Già solo questo può essere spunto per una bella narrazione d'impresa. E, nel nostro caso, parliamo di centinaia di aziende. 

Un’ultima domanda, anzi una prova di narrazione. Se dovesse in poche righe raccontare CUOA Business School che storia ci racconterebbe?

Ci provo. La storia del CUOA ci riporta agli anni ’50, un periodo di grandi trasformazioni e di grandi sfide. I nostri territori, che allora venivano chiamati Triveneto e andavano da Trento e Bolzano a Udine e Trieste, stavano passando da un’economia agricola, che aveva costretto decine di migliaia di persone a emigrare nel mondo per cercare il loro futuro, a un’economia manifatturiera rappresentata da alcune grandi aziende, anche storiche, e dalla nascita e dallo sviluppo di migliaia di piccole e medie imprese. Nel 1957, per la lungimiranza dell’allora Rettore dell’Università di Padova prof. Guido Ferro e di alcuni imprenditori tra cui Lino Zanussi, e lo stimolo e il contributo di Associazioni Industriali, Camere di Commercio e Province di questi territori, fu costituito il CUOA, Centro Universitario di Organizzazione Aziendale. L’obiettivo dato era contribuire, attraverso attività formative post laurea e post experience, alla creazione di una classe dirigente che potesse contribuire allo sviluppo del nascente sistema manifatturiero, caratterizzato da una diffusa imprenditorialità.

Dopo oltre sessant’anni, il CUOA è la business school di più lunga tradizione oggi attiva in Italia e continua a contribuire con le proprie attività alla formazione, all’aggiornamento e al potenziamento di quella classe dirigente di cui tutto il nostro Paese ha sempre grande bisogno.

Nato in un momento di grandi trasformazioni, il CUOA si trova oggi a dovere affrontare un’altra grande trasformazione, quella digitale che sta profondamento incidendo non solo nel modo di fare impresa e di lavorare ma anche di vivere la nostra dimensione personale e di cittadini. E’ un’altra sfida che il CUOA raccoglie, sapendo, come allora, di avere con sé ancora una volta le imprese più aperte ed evolute (e sono più di cento le aziende che hanno aderito come Soci Sostenitori al CUOA) e le università che, da quella originale di Padova, sono oggi diventate dodici, espandendo la rete di progettualità, collaborazioni e interventi a tutto il territorio nazionale.

La presenza di tutte e nove le università del Nordest, alle quali si sono recentemente affiancate il Politecnico di Torino, la Sapienza Università di Roma e l’Università di Palermo, rappresenta un modello unico e originale di sinergia e collaborazione tra mondo accademico e sistema imprenditoriale di cui il nostro Paese ha grande bisogno e di cui il CUOA può andare fiero. Possiamo, con più consapevolezza e forza, affrontare il futuro.