Primi piani

Giulia Rispoli
Storia della scienza e delle tecniche 

Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca.
Mi chiamo Giulia Rispoli e sono nata a Foggia nel Tavoliere delle Puglie, terra di transumanza, sole e grano. Sin dall’infanzia ho avuto la fortuna di trascorrere quattro mesi l’anno alle Isole Tremiti, e dunque in me scorre un po’ il sangue di un’isolana che ben si addice alla mia nuova carriera in laguna.
A partire dal prossimo semestre insegnerò “Ambiente, Scienza e Politiche Globali” e “Storia delle Istituzioni Scientifiche”. Sono approdata a Ca’ Foscari come Storica della scienza e delle tecniche – ambito che non separo dalla filosofia – ma ho sempre cercato l’interdisciplinarietà. I miei ambiti di ricerca si estendono alla storia del pensiero sistemico, alle teorie dell’ambiente globale nel secondo dopoguerra e in particolar agli studi sull’Antropocene, termine che indica l’epoca geologica attuale dove l’impatto antropico che si esercita ormai su tutte le componenti del Sistema-Terra emerge in tutta la sua visibilità.

Qual è stato il suo percorso accademico?
Andavo e venivo da Roma, dove ho svolto i miei studi a La Sapienza, già prima di discutere la tesi di Laurea Magistrale. Il mio primo viaggio fu alla volta di Mosca, alla Facoltà delle Arti della fascinosa e imponente Università Lomonosov dove mi trattenni per diversi mesi per compiere ricerche bibliografiche e di archivio su un filosofo che si chiama Aleksandr Bogdanov. Del mio periodo in Russia ho ricordi indelebili.
Ho lavorato come post-doc in diversi dipartimenti e istituti internazionali (sia scientifici che umanistici) come il Centro studi sui sistemi complessi dell’Università di York in Inghilterra, il Museo di Storia Naturale di Parigi e il Cohn Institute di Tel Aviv. Nel 2016 sono arrivata a Berlino, luogo che ho chiamato casa per sei anni. Ho lavorato come ricercatrice presso il Dipartimento 1 diretto da Juergen Renn del Max Planck Institute for the History of Science. Sono stati anni di grande crescita. È a Berlino che sento di aver appreso i segreti del mestiere.

Le soddisfazioni professionali più grandi?
Ce ne sono diverse e spero che altrettante ce ne saranno. Mi soffermerò su due in particolare. La prima è quando ho terminato un corso sull’Antropocene all’Università dell’Indiana, a Bloomington, negli Stati Uniti. Fu una impresa piuttosto ardua poiché insegnavo presso la Facoltà di scienze atmosferiche e della terra ma ero Visiting professor in un Dipartimento di Storia e Filosofia della Scienza e della Medicina, insegnando a studenti sia triennalisti che del master provenienti dalle più disparate facoltà. Una sfida su tutti i fronti, al termine della quale alcuni di loro mi hanno inviato lettere piene di gratitudine, pregandomi di restare a Bloomington. Mi trovai molto bene in effetti -- complici le chiacchierate con il professor Nico Bertoloni Meli che ringrazio ancora per avermi accolta e fatta sentire a casa.
La seconda soddisfazione risale a quando ho vinto il bando Rita Levi Montalcini che mi ha riportata in Italia, e non c’era altro luogo che desideravo di più di Venezia.

L’ ambito di cui si è sempre voluta occupare ma che non ha ancora avuto occasione di esplorare?
Tematicamente parlando direi l’arte contemporanea. Mi ci sono avvicinata nel mio ultimo progetto Anthropogenic Markers dove ho avuto la possibilità di lavorare con artisti. Mi ripropongo di rafforzare questa direzione, soprattutto in un momento in cui il dialogo con la scienza e l’ecologia è parte integrante della pratica e riflessione artistica e l’Antropocene offre una sponda perfetta per realizzare dialoghi interdisciplinari.
L’arte mi offre anche un modo per riconcentrarmi sulle varie espressioni della cultura umana. Fino adesso avevo piuttosto perseguito lo studio di sistemi più ampi, che comprendono l’umano come una delle sue parti. Potrà sembrare demodé visto che la tendenza è piuttosto inversa, ovvero quella a concentrarsi sul non- e post-umano, ma penso che l’Antropocene rappresenti un’occasione speciale per rifocalizzarci su una prospettiva antropocentrica, l’unica su cui possiamo veramente agire e che abbiamo il dovere di plasmare.

Cosa dice ai giovani che si avvicinano alla ricerca oggi?
Ci sono momenti in cui è facile scoraggiarsi, in cui la competizione è tale che si resta sopraffatti ancor prima di mettersi in gioco. Si sgomita anche in accademia, non solo nelle aziende. Ai giovani che si approcciano alla ricerca in un clima dove ormai l’eccellenza è direttamente proporzionale all’appartenenza ad una élite, dico che è bene coltivare esperienze concrete, di porsi a contatto con realtà diverse, e con linguaggi ibridi. L’immaginazione, l’intuito e la sensibilità si arricchiscono sul campo, e quando si torna tra le mura accademiche si apriranno visioni inaspettate che aiuteranno nel percorso lavorativo.

Last update: 17/04/2024