KUTIYATTAM: Ritualità rigorosa e satira feroce
Origini Il Kutiyattam è una delle più importanti forme teatrali indiane tuttora esistenti. Esso contiene alcuni elementi e caratteristiche essenziali del teatro sanscrito, da cui si sviluppa verso il X secolo, all'incirca nel momento in cui il sanscrito cessa di essere la lingua unificante del subcontinente e nasce una nuova letteratura negli idiomi locali. Il Kutiyattam, però, subisce anche l'influsso della cultura tribale della regione in cui nasce, il Kerala, nel sud della penisola indiana. La tradizione attribuisce l'origine di questo teatro al re Kulashekhara Varman, della seconda dinastia dei Chera, vissuto durante il X secolo dell'era cristiana, e al suo consigliere brahmano Tolan. La performance Come accreditato tra gli studiosi, il Kutiyattam è stato tramandato attraverso i secoli da diciotto famiglie Chākyar, di cui oggi ne sono rimaste solamente tre. Esse sono le uniche depositarie della sua tradizione letteraria e teatrale, poiché i loro membri non sono solamente esecutori di questo genere di rappresentazione, ma anche autori. Grazie a loro, inoltre, il Kutiyattam, pur mantenendo un forte contatto con la tradizione antica, non ne è rimasto vincolato: ha mantenuto una salda aderenza alla realtà contemporanea e, in questo modo, è entrato in stretto contatto con il suo pubblico. L'orchestra, chiamata panchavādya, è composta da cinque strumenti musicali: i mizhāvu, due tamburi collocati accanto alle porte che mettono in collegamento palcoscenico e camerino, il kuzhittāla, suonato dalla Nānyār o Nāngyār (una donna che oltre ad essere strumentista è anche cantante), l'idakkā, percosso con un piccolo bastone, e, per finire, il kompa e il kurun-kuzhal, due strumenti a fiato. Una rappresentazione di Kutiyattam è caratterizzata dalla compresenza di caratteristiche anche molto diverse tra di loro: accanto ad una ritualità precisa ed elaborata, si trovano elementi di un teatro fortemente stilizzato, affinate tecniche recitative, gestualità simbolica e satira feroce. La prima parte è costituita dai riti iniziali e si apre con l'accensione della lampada ad olio, in metallo, posizionata in modo che due lucignoli siano rivolti verso l'attore e uno verso il pubblico; vicino alla lampada vengono poste otto offerte propiziatorie. Con l'accompagnamento dei mizhāvu suonati dal Nambyār (così si chiama il suonatore), la Nānyār intona un canto, noto con il nome di goshti o Akitta Kuttuka, in invocazione di Ganesh, Sarasvatī e Shiva. Quindi seguono le sequenze note con il nome di Nambyarute Tamil, in cui il Nambyār riassume brevemente la vicenda, generalmente in lingua malayalam infarcita di parole sanscrite, e l'Arannutali, in cui egli asperge il palco con acqua consacrata e recita un verso propiziatorio. Di seguito la Nānyār canta i versi dhruva relativi alla precedente vita del personaggio che sta per presentarsi sul palco. Due persone entrano in scena reggendo una tenda dietro alla quale si posiziona il protagonista che, accompagnato dal canto, esegue movimenti e passi prestabiliti. La seconda parte della rappresentazione prende il nome di purappadu ed è presente anche nel teatro Kathākali. L'attore esegue i Kriyāchavittaka, movimenti per l'interpretazione delle prime tre righe del primo verso del dramma. Dietro alla tenda egli esegue anche dei particolari movimenti astratti che trovano corrispondenza con altri codificati nel Nātyashāstra, trattato in sanscrito dedicato al teatro in senso lato e attribuito a Bharata (si veda Bharatanātyam). Questi riti preliminari costituiscono un momento importante nell'esecuzione del Kutiyattam: diventati ormai fuori moda nel teatro urbano, basato esclusivamente sulla recitazione verbale, sono ancora parte integrante di tutte le forme teatrali dei villaggi indiani. Il secondo giorno si apre con la terza fase dello spettacolo, il nirvāhana, caratteristica unica del Kutiyattam e considerata ancora un rito preliminare. Può durare anche alcune serate e lascia spazio alla recitazione solitaria dell'attore e al ritratto del suo personaggio. Il protagonista si presenta al pubblico narrando le sue vicende personali precedenti a quelle del dramma: egli sceglie se raccontare gli episodi a ritroso partendo dal tempo presente, il cosiddetto anukrama, oppure in linea temporale progressiva da un punto nel passato, il samkshepa. Non comunica verbalmente ma utilizza la pantomima e la danza, mentre la Nānyār, seguendo la sua recitazione, intona i versi corrispondenti. La parte successiva è quella del nirvāhana del buffone, il Vidūshaka, personaggio caro al teatro classico e a gran parte delle forme teatrali da esso derivate. Egli non recita su un testo prefissato, a differenza degli altri attori, e, pur presentando la storia della sua vita in maniera simile agli altri personaggi, la sua performance risulta alquanto diversa dalla loro. Il Vidūshaka utilizza le armi dell'ironia e del sarcasmo deridendo con scherzi e battute radicate nella contemporaneità qualsiasi situazione e individuo, dai re ai sacerdoti, dai poeti fino ai funzionari dell'amministrazione: è "maestro della parola" o delvāchikābhinaya, la comunicazione con lo spettatore che avviene attraverso la parola. La libertà e l'improvvisazione della quarta fase sono in netto contrasto sia con il carattere estremamente ritualistico ed esoterico dei riti preliminari, sia con i movimenti rigidamente determinati del protagonista durante la sua presentazione. La tradizione attribuisce a Tolan, brahmano del re Kulashekhara, l'introduzione di un momento molto importante nella recitazione del Vidūshaka, quello cioè dedicato alla parodia dei purushārtha, i quattro fini della vita umana secondo l'ortodossia hindu, e cioè, l'operosità (artha), il piacere sensuale (kāma), il dovere morale (dharma) e la liberazione spirituale (moksha). Trasformati in inganno (vāncana), soddisfacimento dei piaceri del cibo (rāsana) , comportamento lealista verso la corona (rājasevā), e, infine, soddisfacimento del piacere dei sensi (vinoda), essi vengono usati per ironizzare su qualsiasi situazione. È da notare, infine, che il Vidūshaka nel Kutiyattam ha una libertà molto maggiore che nel teatro sanscrito, nel quale, non avendo la possibilità di allontanarsi dal testo prestabilito, non ha molto spazio per l'improvvisazione. Pare quindi che il Kutiyattam, pur distaccandosi dal dramma classico da cui tanto ha attinto, abbia indicato la via verso una tradizione nuova nel teatro indiano, viva tuttora nelle rappresentazioni nei templi e per le strade. Dopo il nirvāhana del buffone, entrano in scena anche gli altri personaggi, che si presentano al pubblico secondo il modo già spiegato e ripetono, in parte, la gestualità del purappadu. La rappresentazione, che fino a questo punto può richiedere dalle tre alle quattordici serate, giunge al suo apice con la messa in scena del dramma vero e proprio. Questa quinta fase è caratterizzata, ovviamente, da una maggiore aderenza al testo letterario e da un'azione drammatica più veloce. Quando la trama giunge alla conclusione e gli attori, escluso il protagonista, escono di scena, inizia la sesta e ultima fase in cui viene elargita la benedizione finale: accompagnato dal canto della Nānyār e dalla musica del Nambyār, il Chākyar termina la sua performance con una sequenza di danza dai movimenti astratti. Quindi si lava i piedi, spegne uno dei lucignoli della lampada accesa all'inizio della rappresentazione e ne riaccende uno diverso. Tecniche recitative del Kutiyattam La recitazione, il cosiddetto abhinaya del teatro sanscrito, insieme alla musica e alla danza rappresenta il nucleo di questo teatro. Essa è costituita dal prodotto di abilità parziali, oggetto di discussione nei testi e, ovviamente, della pratica degli artisti. Due tecniche di estrema importanza e che in questo teatro hanno subito uno straordinario approfondimento sono il vāchikābhinaya, incentrato sull'utilizzo della parola, e l'āngikābhinaya, che cura gestualità e movimenti del corpo. Il vāchikābhinaya viene suddiviso in cinque categorie.
L'āngikābhinaya del Kutiyattam è un elaborato sistema di movimenti la cui conoscenza è essenziale per la comprensione di questa forma teatrale. Alcuni esempi:
Tutte queste tecniche sono in parte condivise dal Kutiyattam con altre forme artistiche, in primis il teatro Kathākali, ma in esso sono più stilizzate ed astratte. Il teatro Il Kuttambalam, costruito secondo precise indicazioni fornite dai testi, fa parte del complesso templare ed è progettato in modo da essere posto di fronte alla divinità consacrata del tempio. La pianta è generalmente rettangolare, con precisi rapporti numerici tra lunghezza e larghezza del teatro entro i quali è possibile qualche variazione. Esso poggia su di uno zoccolo in pietra chiamato adhisthāna e viene costruito in modo da essere ben proporzionato ed in armonia con gli altri mandapa, gli edifici consacrati del complesso. La caratteristica distintiva di questo teatro è il tetto: una struttura rettangolare e piatta che declina in maniera brusca, creando generalmente un angolo di quarantacinque gradi, e termina con bordi decorati a motivi scultorei. Esso è retto da travi che poggiano su file di pilastri, piccoli all'esterno e più grandi all'interno, ed è coperto di rame o di tegole ed è decorato. Il palcoscenico,a pianta quadrata o quasi, è generalmente rialzato rispetto alla platea ed è orientato in modo che gli attori siano rivolti in direzione della divinità del tempio. Su ogni lato ci sono pilastri dipinti o laccati in rosso brillante che reggono un piccolo tetto interno, sovrastante il palco: diversi in misura, forma e colore da quelli della platea, sono posizionati in modo da formare ambienti separati adatti per le varie scene. Dietro al palcoscenico si trova lo spogliatoio o nepathya, una stretta stanza rettangolare posta ad un livello più basso del palco, a cui è collegata tramite due porte. A lato della platea ci sono file di grandi pilastri in pietra o legno che degradano verso l'esterno: l'effetto complessivo di tutto l'interno del teatro è quello di una struttura simile ad una capanna, riccamente adornata e disegnata in modo da delineare più tetti e più timpani. Costumi e trucco Le donne sono vestite come nel Kathākali e anche il simbolismo legato ai colori del trucco è il medesimo: rosso chiaro per eroi e re, nero per aborigeni e demoni, rosso con un pallino sulla punta del naso per personaggi come Rāvana, l'antagonista del re Rāma nel poema epico Rāmāyana. Nel Kutiyattam, come anche in altre forme teatrali quali Kathākali e Yakshagāna, il trucco e le acconciature degli artisiti sono molto elaborate e stilizzate.
Bibliografia essenziale |
A cura di Paola Nicolodi