J.S.A.- Joint Security Area

Panmunjǒm, confine fra la Corea del Sud e la Corea del Nord. Sedici spari nella notte lasciano due guardie di confine nord-coreane morte e una sud-coreana ferita. Le due nazioni presentano rapporti sull'incidente contrastanti, e per risolvere il conflitto, che potrebbe degenerare in una guerra, viene invitata ad investigare sull'incidente la Commissione Neutrale di Vigilanza...

 

J.S.A. - JOINT SECURITY AREAKongdong kyǒngbi kuyǒk JSAdi Park Chan-wook

 

 

 

Regia: Park Chan-wook. Soggetto: dal romanzo DMZ (1997), di Pak Sangyǒn. Sceneggiatura: Kim Hyun-seok, Park Chan-wook. Fotografia: Kim Sung-bok. Scenografia: Oh Sang-man. Montaggio: Park Sang-yeon. Musica: Cho Young-wook. Interpreti: Lee Young-ae (Sophie E. Lang), Lee Byung-heon (Lee Soo-hyuk), Song Kang-ho (sergente Oh Kyung-pil), Shin Ha-kyun (soldato Jeong U-jin), Kim T'ae-woo (Nam Seong-shik), Herbert Ulrich (capitano svedese). Produttore: Lee Eun-soo. Produzione: Myung Film Company, Ltd. Distribuzione: CJ Entertainment. Corea del Sud, 2000, 35 mm, colore, 145'.

 

Panmunjǒm, confine fra la Corea del Sud e la Corea del Nord. Sedici spari nella notte lasciano due guardie di confine nord-coreane morte e una sud-coreana ferita. Le due nazioni presentano rapporti sull'incidente contrastanti, e per risolvere il conflitto, che potrebbe degenerare in una guerra, viene invitata ad investigare sull'incidente la Commissione Neutrale di Vigilanza. Approda così alla Zona Demilitarizzata Comune il maggiore svizzero (di padre coreano) Sophie Lang. Il maggiore inizia le indagini formali, ma presto si renderà conto che nessuna delle due parti è interessata a conoscere la verità sull'accaduto; nessuno dei soldati coinvolti vuole parlare dei fatti, anzi, sembrano tutti nascondere un inspiegabile segreto...

 

A solo un anno dal successo di Shwiri, J.S.A. è un altro film sul rapporto fra le due Coree, un giallo militare che ha subito surclassato gli incassi del precedente.

Alla base di Joint Security Area non è però una storia romantica. Si tratta piuttosto di un film sull'amicizia, sulle contraddizioni di un popolo diviso in due, sul desiderio dei singoli individui (uniti da radici comuni e dagli stessi sentimenti) di abbandonare le divisioni politiche ed ideologiche, che per quanto difficili da accettare e lontane dal loro modo di pensare, influiscono gravemente sulle loro vite e condizionano i loro comportamenti. Un film critico delle politiche di entrambi i Paesi, e al tempo stesso un grido di speranza verso un futuro in cui i singoli non saranno più marionette di giochi di potere troppo grandi per loro, e i popoli delle due Coree saranno nuovamente riuniti in uno solo.

La storia di J.S.A. si spiega su due piste, quella dell'investigazione del maggiore svizzero e dei flashback che si incastrano con questa. Indubbiamente il punto forte del film sono proprio i flashback, che spiegano passo per passo le svolgimento della vicenda che 'non deve' venire alla luce, e lo fanno sotto i punti di vista dei vari personaggi. Tutti i personaggi danno infatti una propria interpretazione alla storia; tutti si trovano in una situazione ambigua e lacerante, e hanno tutti un loro segreto da difendere, compreso il maggiore, che non è mai venuto a patti con la vera storia del padre. È solo grazie a questa indagine che il maggiore verrà a sapere che suo padre era un nord-coreano, e di come a termine della guerra civile rifiutò di sottostare sia al governo comunista del Nord che a quello di destra del Sud, vedendosi conseguentemente costretto ad emigrare verso l'unico Paese che lo accettò, l'Argentina.

La parte dei flashback in particolare mostra, oltre alle esemplari recitazioni di Lee Byung-heon e Song Kang-ho, anche una splendida fotografia dei paesaggi al confine fra le due nazioni. Tramite i diversi racconti induce inoltre lo spettatore ad immedesimarsi volta per volta con tutti i personaggi narranti, fino a rimanere con poche certezze sul reale svolgimento dei fatti, e con parecchi punti interrogativi sulle sovrastrutture politico-ideologiche che li condizionano, a perdersi in un puzzle che invece di comporsi sembra frammentarsi continuamente.

Ciò nonostante, poco alla volta insieme ai racconti dei protagonisti affioreranno bugie e verità, il mistero lentamente si svolgerà, ma a questo punto non sarà più importante sapere che cosa è successo, quanto il come e soprattuto il perché è successo...

In questo ottimo lavoro Park si serve in maniera maestrale anche degli ambienti (sempre al chiuso durante le indagini, e all'aperto nei momenti di avvicinamento fra i personaggi) per dipingere con chiarezza (e al tempo stesso con cautela) i sentimenti più profondi dei protagonisti, le loro paure, le loro speranze, la profonda amicizia che li lega e il dolore della separazione, che li rende vulnerabili ed insicuri, fino a mettere in discussione tutto ciò che li aveva in precedenza accomunati. Una storia sugli affetti, sulle debolezze umane e sulla lealtà, e che si conclude con un finale estremamente intenso e difficile da dimenticare.

 

 

Il vero Panmunjǒm

 

Per permettere le riprese (che ovviamente non hanno potuto essere realizzate nella vera zona demilitarizzata), la produzione ha proceduto ad una fedele ricostruzione del set, tutt'ora visitabile presso il Seoul Cinema Complex. Ciò ha per i coreani (ai quali non è permesso visitare Panmunjǒm, contrariamente agli stranieri) un particolare significato, e ha in qualche modo indubbiamente contribuito alla popolarità del film.

Nonostante in Corea gli incidenti avvenuti nella zona demilitarizzata (come l'omicidio a colpi di  accetta di due soldati americani da parte di alcuni soldati del Nord, avvenuto il 18 agosto 1976) siano ben conosciuti da tutti i coreani, il film è stato duramente criticato dall'esercito. Al punto che pochi giorni dopo l'inizio della programmazione di J.S.A. alcuni fra i più vecchi veterani della zona demilitarizzata hanno fatto irruzione negli stabili della Myung Film Co., esigendo scuse pubbliche all'esercito da parte della produzione, e che ad inizio e fine del film sia specificato che la storia è un mero frutto di fantasia (vedi l'articolo di Darcy Paquet)

J.S.A. è anche il primo film coreano che ha utilizzato una pellicola Super 35mm, uno speciale formato che permette ottima definizione dell'immagine anche su schermi particolarmente grandi.

Silvia Tartarini