VULNER: la 'vulnerabilità' nelle politiche migratorie internazionali

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Nell’attuale dibattito pubblico sull’asilo e sulla migrazione si nota un’enfasi crescente sulla necessità di proteggere le persone più vulnerabili – quali ad esempio minori, donne in gravidanza, persone LGBTQ+ e persone con disabilità. Il concetto di ‘vulnerabilità’ si trova di fatto a giocare un ruolo sempre più centrale nelle politiche migratorie. Tuttavia non vi è un’interpretazione unanime su cosa siano le ‘vulnerabilità’ delle persone migranti, né di come queste debbano essere riconosciute e accolte.

Il progetto di ricerca internazionale VULNER - Vulnerabilities under the Global Protection Regime, finanziato dall’Unione Europea (Horizon 2020) e coordinato dal Max Planck Institute for Social Anthropology, ha approfondito come la questione ‘vulnerabilità’ venga affrontata da diversi sistemi di accoglienza e protezione. 

Il progetto ha coinvolto una rete di ricercatori e ricercatrici di 7 paesi diversi (Belgio, Germania, Italia, Norvegia, Canada, Libano, Uganda) che hanno lavorato sul territorio raccogliendo complessivamente più di 500 interviste, da dove trarre considerazioni comuni circa le critiche mosse ai sistemi di accoglienza e protezione da parte di chi ne usufruisce, quindi le persone migranti, ma anche da chi lavora all’interno di questi sistemi, come decision maker (funzionari/e di Commissioni Territoriali, giudici, avvocati/e) o come operatori/trici dell’accoglienza

Le sociologhe dell’Università Ca’ Foscari Sabrina Marchetti, Letizia Palumbo, e Giulia Garofalo Geymonat, insieme a Dany Carnassale e Alice Morino Baquetto, hanno composto il team che si è focalizzato sulla situazione italiana.  

Dallo studio è emerso che la nozione di ‘vulnerabilità’ è utile per offrire forme di protezione alle persone ritenute appunto ‘vulnerabili’, ma per chi non viene considerata (abbastanza) ‘vulnerabile’ può diventare uno strumento di esclusione.

La rigidità dell’approccio attuale rischia di svantaggiare, a priori, particolari gruppi di persone che non rientrano in un determinato ‘standard’ e che di conseguenza non vengono identificate come ‘vulnerabili’ .

In Italia, Vulner intende contribuire all’elaborazione di strumenti critici per pensare alla ‘vulnerabilità’ e al miglioramento degli interventi normativi, di policy e sociali nel campo delle politiche su asilo e protezione internazionale. Spunti importanti, per rafforzare il dialogo fra le diverse discipline e approcci metodologici nell’attuazione delle politiche sulla protezione internazionale e la migrazione, sono contenuti nel volume “Vulnerabilità in migrazione: sguardi critici su asilo e protezione internazionale in Italia”, recentemente pubblicato da Edizioni Ca’ Foscari, che raccoglie contributi che interrogano i diritti, le politiche, i discorsi pubblici e le pratiche sociali

“Le interviste raccolte durante l'indagine di VULNER suggeriscono come, dal punto di vista delle persone migranti, serva superare un approccio standardizzato, burocratico e ‘categoriale’ alla vulnerabilità, ossia quello basato sull'individuazione fissa e automatica di determinate categorie di persone come più vulnerabili di altre – spiega Sabrina Marchetti, nel capitolo del volume da lei curato ‘Quale vulnerabilità? Il punto di vista di persone in migrazione’. -  In primo luogo, questi approcci spesso mancano nel cogliere quelle che potremmo chiamare ‘vulnerabilità invisibili o nascoste’: così come nel caso della discriminazione a causa della propria religione, o del proprio orientamento sessuale, che non valgono universalmente ma sono legate a un contesto specifico, diversi fattori di vulnerabilità non possono essere compresi appieno se non all’interno delle specificità del contesto di osservazione. Ci sono fattori di vulnerabilità che sembrano essere sistematicamente tralasciati e non trovare soluzioni adeguate”. 

I casi di minori, persone in situazione di disabilità visibile, gravidanza o puerperio, sono situazioni di vulnerabilità considerate ‘standard’, e per questo facilmente identificabili, per le quali sono attivate azioni specifiche. Accanto a queste, esiste una serie di situazioni di vulnerabilità meno o per nulla ‘visibili’, che coinvolgono per esempio le vittime di tortura, violenza sessuale, tratta, che rischiano di essere indirizzate verso canali in cui non troveranno un sostegno adeguato.

“Un esempio di queste vulnerabilità ‘nascoste’ sono - spiega Marchetti - quelle non intrinseche alla persona, ma determinate dal suo rapporto con altri. Ad esempio, il caso di madri che hanno figli/e malati/e o con disabilità: si tratta di una vulnerabilità creata dalla condizione dei propri famigliari e che in qualche modo si riflette su di loro, condizionando scelte e traiettorie, nonché determinando l’insorgere di ulteriori fattori di vulnerabilità”.

Altre vulnerabilità che sfuggono al sistema di accoglienza, sempre da quanto è emerso dall’indagine internazionale, sono direttamente collegate al procedimento di richiesta d’asilo: spesso le persone vivono come scioccante il colloquio con gli organismi competenti (in Italia le Commissioni Territoriali), oppure si sentono in competizione tra loro, o anche, spesso, percepiscono il sistema come arbitrario o addirittura corrotto, perché non sono chiari i motivi delle scelte che rendono alcuni iter più brevi di altri.

La ricerca sul campo. Tra i risultati, una mappa interattiva e un podcast

Il lavoro di ricerca attraverso la mappa interattiva di VULNER
Speaking Refugees: il podcast

Il contesto italiano

In Italia, nello specifico, la lentezza della procedura è segnalata come uno degli aspetti più critici che possono contribuire al peggioramento o all’insorgere di situazioni di vulnerabilità. L’incertezza pesa dal punto di vista psicologico, rende instabili le scelte di vita, l’inclusione sociale e la possibilità di inserimento socio-lavorativo, favorendo così situazioni di precariato sfruttamento lavorativo.

Contano anche negativamente la mancanza di accesso all’informazione da parte delle persone richiedenti protezione, e in modo centrale, la difficoltà nel comunicare le proprie ‘vulnerabilità’. Inoltre, sono stati messi in luce i problemi profondi e strutturali dei centri di accoglienza, soprattutto CAS, spesso sovraffollati, isolati, con operatori/trici in condizioni lavorative precarie, e un sistema che non offre sufficienti misure di integrazione, come anche situazioni di post‑accoglienza caratterizzate da abbandono istituzionale, esclusione sociale, abitativa e lavorativa, con conseguenti rischi, anche in questo caso, di grave sfruttamento nei settori lavorativi meno protetti.

Nonostante ciò, la ricerca VULNER ha anche sottolineato alcune esperienze positive del contesto italiano, e nel paragone con altri contesti nazionali coinvolti nella ricerca. Innanzitutto nel sistema di accoglienza sono stati riportati modelli considerati come ‘virtuosi’, in particolare all’interno di centri SAI di piccole dimensioni e, per quanto riguarda le decisioni di protezione, sono state riconosciute situazioni di ‘vulnerabilità’ meno visibili e ‘intersezionali’, in particolare, ma non solo, grazie all’uso della ‘protezione umanitaria’ (fin quando è stata in vigore) o grazie ai meccanismi di referral tra il sistema asilo e il sistema anti‑tratta. Questi casi rappresentano punti di forza, ci dice VULNER, perché permettono di offrire una migliore protezione alle persone più vulnerabili, per esempio donne con bambini, persone disabili, eccetera, senza con ciò erodere il diritto di asilo delle altre persone richiedenti asilo che non vengono considerate come ‘vulnerabili’.

Qui è possibile leggere il report completo sulla situazione italiana.

Guarda il video con le 10 raccomandazioni per migliorare le politiche migratorie, sulla base delle ricerche progetto VULNER

Federica Scotellaro