Anna Di Bartolomeo per #ricercaèdonna: verso una nuova narrativa della migrazione

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Questa intervista fa parte della serie #ricercaèdonna, ideata per dare voce alle studiose di Ca' Foscari e valorizzare il loro ruolo e il loro lavoro. Commenta, condividi sui social e segui l'hashtag #ricercaèdonna.

 

Anna Di Bartolomeo è una ricercatrice all’Università Ca’ Foscari, e docente in Indagini statistiche e Metodi di analisi e di ricerca sociale. Precedentemente ha lavorato al Migration Policy Centre dell’Istituto Universitario Europeo. I suoi progetti di ricerca comprendono studi sul lavoro domestico, studi di genere, migrazioni ed integrazione. Attualmente è parte del team di ricercatori del progetto DomEqual, e “Senior Reaearch Fellow” dell’Ateneo.

 

Qual è stato il suo percorso accademico, e su come è arrivata ad occuparsi di migrazioni e studi di genere?

Ho conseguito un dottorato in demografia all’università di Roma, con una tesi sulle migrazioni internazionali, in particolare sulla performance scolastica delle seconde generazioni di immigrati. Già ero orientata verso quello che sarebbe diventato il mio interesse principale, avendo collaborato sul campo alla ricerca “ItaGen2”, la prima indagine italiana orientata sulle seconde generazioni di immigrati. Ho proseguito i miei studi all’estero, presso il Max Planck Institute for Demographic Research a Rostock e l’ Institute National d’Etudes Démographiques di Parigi.In seguito ho lavorato come ricercatrice al Migration Policy Center dell’Istituto Universitario Europeo, dove mi sono occupata per la prima volta del mondo del lavoro, e di integrazione degli immigrati nel percorso lavorativo in Italia e in Europa. In seguito della notevole femminilizzazione dei flussi migratori negli ultimi 15 anni, la mia attenzione si è cominciata a rivolgere verso la componente femminile dell’immigrazione, soprattutto in Italia; così sono arrivata ad occuparmi di aspetti di genere, e non solo di questioni generazionali, rispetto alle migrazioni internazionali.Il progetto di ricerca DomEqual, a cui sto attualmente collaborando, si occupa proprio di questo: l’obiettivo è l’analisi dell’intersezione tra due identità, l’essere donna e l’essere migrante, e il monitoraggio  dell’evoluzione del lavoro domestico, essendo questo il principale lavoro in cui sono inserite le donne migranti che arrivano in Italia.

Ci sono state particolari svolte, momenti significativi nel corso dei suoi studi?

Il mio è stato un percorso piuttosto lineare, sempre motivato da una fortissima passione; sicuramente l’esperienza all’estero mi ha aiutato ad acquisire delle competenze metodologiche estremamente utili, che mi hanno permesso di entrare nell’Istituto Universitario Europeo, dove ho potuto svolgere una esperienza di ricerca significativa e fondamentale per il mio futuro.

E’ possibile creare una nuova narrativa sul fenomeno della migrazione, grazie agli studi portati avanti da ricercatrici e professoresse?

Penso che una nuova narrativa sulla migrazione sia fondamentale: ciò che mi ha spinto a proseguire i miei studi riguardo alla mobilità internazionale, in un periodo in cui il tema delle migrazioni non era considerato rilevante e attuale come oggi, è stata proprio la necessità di analizzare questo fenomeno in modo diverso; durante gli anni all’istituto europeo ho infatti notato, con rammarico, la tendenza del personale accademico e universitario a focalizzarsi sul lato negativo delle migrazioni, su come i migranti faticassero a inserirsi nella società. L’obiettivo di questo nuovo progetto è invece dimostrare come le migrazioni abbiano un impatto positivo, e come contribuiscano attivamente allo sviluppo economico e sociale del paese ricevente; recentemente ho condotto una ricerca con la professoressa Sabrina Marchetti, ed abbiamo dimostrato empiricamente che nel corso degli anni, anche dopo la crisi, le donne migranti inserite nei lavori domestici hanno contribuito in maniera significativa alla partecipazione e all’inserimento nel mondo del lavoro delle donne italiane. In sostanza avere più donne immigrate nel nostro paese, impiegate in attività di cura e lavori domestici, permette alle donne italiane di lavorare e rendersi indipendenti: è una narrativa di complementarietà, non di competizione.

Secondo lei in Italia ricercatori e ricercatrici hanno le stesse possibilità? Il trattamento e le possibilità di carriera sono le stesse?

Personalmente non mi sono mai sentita discriminata o sminuita rispetto ai miei colleghi uomini: nel mio team siamo tutte donne, e in generale ci sono molte ricercatrici impegnate in studi relativi al nostro campo; penso che in Italia e in Europa ci sia stato un enorme miglioramento su questo fronte, ma credo anche che l’università sia, purtroppo, ancora difficilmente accessibile per i giovani ricercatori e ricercatrici: il problema è generazionale, e sarebbe necessario che gli atenei si concentrassero anche su questa questione.

 

A cura di Teresa Trallori