SATYAJIT RĀY: Chi era costui?
Per sgombrare il campo da malintesi, precisiamo subito che Satyajit Ray è una delle più grandi figure che in oltre un secolo di vita abbiano prodotto le cinematografie indiane. Le cinematografie indiane, poiché non esiste il cinema indiano, almeno non più di quanto esista il cinema europeo, ex-impero sovietico compreso fino a Vladivostok. Quella fantastica invenzione che è l'India non è solo un grande paese, ma è soprattutto una Unione di Stati, storicamente e culturalmente molto diversificati, con 15 lingue letterarie riconosciute e quasi altrettante cinematografie, alla faccia della ‘unità nella diversità'. Per limitarsi al solo dato linguistico, i film di Satyajit Ray, salvo un paio di eccezioni, sono in bengalese, ovvero poco meno che stranieri per molta parte dell'India. Ma anche l'ispirazione bengalese, come la stessa 'indianità' del regista, è stata spesso e continua ad essere (in India) oggetto di dibattiti. Quanto al plauso occidentale, si cita spesso il neorealismo, si fa il nome di De Sica; oppure si allude a Renoir: sembra quasi che la grandezza di Satyajit Ray risieda in una riconoscibile fisionomia occidentale, mentre l'aspetto indiano che si esalta è quel tanto di universale che tutti possono riconoscere. Per coglierne la specificità bisognerebbe non solo considerare il suo cinema nell'ambito del cinema bengalese e quest'ultimo nell'ambito dei cinema indiani, ma soprattutto sarebbe utile conoscere le fascicolatissime radici di quel medium. Si dirà che l'arte non ha confini nazionali. Forse, ma una qualche conoscenza della cultura e della storia del luogo in cui un'opera nasce permetterebbe di contestualizzarla più correttamente nel panorama vasto da cui trae origine. In compenso, Satyajit Ray è anche poco conosciuto: a parte la trilogia di Apu e poco altro, la sua produzione, che assomma complessivamente a una trentina di film e qualche documentario, è in sostanza ignota. Una presentazione, anche semplicemente informativa, su questo misterioso 'chi l'ha visto?' è dunque certamente meritoria, e forse persino necessaria. Cecilia Cossio Questa, la presentazione del regista in occasione dell'Omaggio a Satyajit Ray (3-11 novembre 2003), organizzato, in collaborazione con il Cinit-Cineforum Italiano, presso la Videoteca Pasinetti di Venezia, nell'ambito delle attività cinematografiche del Comune cittadino, di cui è responsabile Roberto Ellero. A chi legge non sfuggirà certo la sottile vena di insofferenza che pervade il tono generale del testo: questo induce chi scrive a limitarsi per ora ai puri dati. Shesh phir ovvero il resto la prossima volta.
Nasce a Calcutta (oggi Kolkata), in una famiglia di grande tradizione culturale. Il nonno, Upendra Kishor Rāy Chaudhrī, è editore, musicista, pittore e illustre scrittore di racconti per bambini. Anche il padre, Sukumār Rāy, scrive: è un noto autore di limericks. Satyajit ha solo due anni, quando Sukumār muore, lasciando la famiglia in precarie condizioni economiche; qualche anno dopo, insieme con la madre, Satyajit si trasferisce a vivere presso uno zio materno. Dopo la laurea in economia all'università di Calcutta, frequenta per oltre due anni (1940-42) il Kalā Bhavan (o Istituto d'arte) di Shantiniketan, l'università fondata da Tagore, con il quale Upendra Kishor aveva un profondo legame di amicizia. È il periodo più fecondo per la formazione culturale e artistica del cineasta, il quale tuttavia non conclude il corso di studi e nel 1943 inizia a lavorare presso un'agenzia pubblicitaria inglese. Appassionato di cinema, nel 1947, insieme con Chidānanda Dās Gupta (poi critico cinematografico e regista), fonda la prima Film Society di Calcutta e comincia a pensare di intraprendere lui stesso quella professione. Nel 1949 ha occasione di incontrare Jean Renoir, che si trova in India per girare Il fiume (1951): è un incontro cruciale per Satyajit Rāy, che lo conferma nella sua decisione. Un'ulteriore spinta gli viene nel 1950, durante un soggiorno di lavoro a Londra, dove ha modo di vedere Ladri di biciclette, rimanendone profondamente impressionato. Comincia così a prendere corpo la sua prima opera e nel 1955, superando molti ostacoli, viene alla luce Pather pānchālī (Il canto del sentiero). Nello stesso anno, il film viene presentato prima a New York, dove è accolto con grande interesse, e due mesi dopo a Calcutta. Ma è nel 1956, a Cannes, che il film ottiene un premio come miglior documento umano, imponendosi definitivamente all'attenzione internazionale. Con Aparājito (L'invitto, 1956), il secondo film – e secondo episodio della cosiddetta 'trilogia di Apu' – Satyajit Rāy vince il Leone d'oro alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia nel 1957. Da allora, salutato come il Maestro del cinema indiano, continua a collezionare plausi e riconoscimenti, fino alla Legion d'onore nel 1992 e nello stesso anno, poco prima della morte, l'Oscar alla carriera.
Filmografia Pather pānchālī (o Song of the Road, 1995) Documentari: Bibliografia essenziale Su Satyajit Rāy: In italiano: Di Satyajit Rāy: |
Cecilia Cossio