Exit: il concetto di “left-behind places” nelle diseguaglianze territoriali

condividi
condividi
Via Wikimedia Commons, (CC BY 2.5), Marianna - Clichy sous Bois Chemin des poste

Il significato di “left-behind places” (“luoghi lasciati indietro”) è diventato sempre più importante nei dibattiti accademici di lingua inglese sulle disuguaglianze territoriali e nei discorsi sulle politiche pubbliche dell’Unione Europea. Questo concetto ha acquisito particolare attenzione dopo il voto per la Brexit e l’elezione di Donald Trump nel 2016. Oggi, il consorzio universitario che realizza il progetto EXIT, a cui partecipa l’Università Ca’ Foscari Venezia, è in grado di presentare i primi risultati della prima fase della ricerca, la quale ha avuto come obiettivo quello di problematizzare il concetto di left-behindness (“l’essere o il sentirsi lasciati indietro”, in riferimento sia a un territorio sia a una fascia popolazione).

EXIT è un progetto di ricerca europeo, finanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del Programma Quadro per la Ricerca e l'Innovazione Horizon Europe, che mira a esplorare le cause, le forme e le conseguenze delle disuguaglianze territoriali, in particolare delle disuguaglianze socioeconomiche all’interno e tra le aree definite “left-behind”. Il progetto – che coinvolge sette università e quattro organizzazioni della società civile di otto Paesi – intende individuare modi per affrontare le disuguaglianze territoriali attraverso un rigoroso programma di ricerca-azione interdisciplinare e multi-situato con le comunità. Exit propone un metodo di ricerca bottom up, interdisciplinare e multiaproccio.

Lo studio iniziale ha preso in esame l’uso del concetto di “left-behind” nella ricerca, nelle politiche pubbliche, nel discorso politico, per definire aree specifiche che affrontano la disuguaglianza territoriale. Esaminando criticamente la letteratura esistente, la ricerca offre spunti preziosi e presenta un’analisi completa di otto contesti nazionali e dei rispettivi dibattiti relativamente ai territori considerati marginali o periferici. I risultati contribuiscono a una valutazione critica del concetto di “left-behind” e aprono la strada a ulteriori piste di studio nell’ambito del progetto EXIT.

In questa prima fase la ricerca ha messo in luce che, sebbene esista in Europa un’ampia varietà di concetti utilizzati per descrivere le aree marginalizzate nel contesto delle disuguaglianze territoriali, il termine “left-behind” non è di uso comune al di fuori del Regno Unito. Piuttosto, serve come etichetta per le diverse forme di disuguaglianza territoriale identificate in altri contesti nazionali. La ricerca utilizza questo termine per indicare vari processi di periferizzazione e la costruzione di luoghi come marginali nel contesto della disuguaglianza territoriale. Per quanto le terminologie e le concettualizzazioni differiscano tra i vari Paesi, è possibile individuare criteri simili, che assegnano la “left-behindness” (l’essere lasciati indietro) a luoghi specifici all’interno di ciascun contesto nazionale.

Inoltre, la ricerca EXIT mette in luce che nei vari Paesi i discorsi pubblici seguono generalmente schemi simili, seppur con delle variazioni. Queste differenze possono essere attribuite a fattori quali i diversi livelli di disuguaglianza territoriale, le dimensioni del Paese, la topografia e le strutture governative. Le politiche nazionali che affrontano la disuguaglianza territoriale mostrano connessioni con i discorsi politici e gli schemi di finanziamento dell’UE, con alcuni Paesi che abbracciano un paradigma di crescita neoliberale, mentre altri hanno provato ad adottare un approccio basato sul luogo, incentrato sulla riduzione delle disparità regionali e sul rafforzamento delle regioni più deboli. È stato così, ad esempio, per quanto riguarda i tentativi di attuazione in Italia della “Strategia Nazionale Aree Interne”.

Un dato cruciale è l’esistenza in ciascun Paese di "dispositivi nazionali", che comprendono narrazioni, impostazioni istituzionali e termini che si riferiscono a regioni, aree o luoghi specifici. Tali dispositivi plasmano le connotazioni, gli indicatori e indirizzano le soluzioni proposte per analizzare questi luoghi, spesso incarnando forti immaginari e stigmatizzazioni che possono oscurare le reali sfide da affrontare.

Ad esempio, la Grecia inquadra le aree strutturalmente svantaggiate in termini di lontananza, isolamento e fattori economici. La Serbia pone l’accento sia sulle aree sottosviluppate che su quelle “devastate”. L’Austria caratterizza le aree remote in base alla topografia montuosa o alla loro vicinanza ai confini di Stato, che storicamente facevano parte della “cortina di ferro”. La Spagna evoca l’immagine di una Spagna “svuotata”, con terre spopolate e disabitate. In Italia il dibattito sulle disuguaglianze territoriali ha una lunga tradizione e presenta un florilegio terminologico frutto della complessità della questione. Ad ogni modo, nell’ultima decade vi è stata una convergenza verso l’uso del termine “aree interne”, le quali rappresentano circa il 60% del territorio nazionale e il 23% della popolazione. La Danimarca utilizza l’espressione “the Rotten banana” per descrivere alcune aree rurali che assomigliano alla forma di una banana che corre lungo il paese. In Belgio la nozione di disuguaglianza territoriale è meno sviluppata, ma si concentra sulle linee di conflitto tra le regioni, spesso stereotipando la Vallonia povera. Nel Regno Unito, il concetto di “luoghi lasciati indietro” inquadra principalmente le ex aree industriali con una popolazione operaia bianca disoccupata.

La seconda fase del progetto riguardante l’Italia, si focalizzerà su due casi di studio, uno riguardante un’”area interna” in Sardegna, il territorio di Mandrolisai, l’altro sull’isola di Murano a Venezia, un’area di crisi industriale caratterizzata dalla sofferenza del settore del vetro.

Per maggiori informazioni sul progetto EXIT, scrivere a fabio.perocco@unive.it e giorgio.pirina@unive.it

Per saperne di più visita il sito del Progetto EXIT: https://www.exit-project.eu/

Federica Ferrarin