La tortura è una delle forme di violenza più praticate dall’essere umano nel corso dei secoli e, fino a non troppo tempo fa, ancora legale in molti stati. Nonostante la tortura sia al giorno d’oggi illegale e un consolidato corpus giuridico internazionale ne bandisca l’uso, la pratica non è affatto scomparsa. Al giorno d’oggi uno degli ambiti in cui si ritrova maggiormente è quello delle migrazioni. La condizione di fragilità a cui gli emigranti in tutto il mondo sono sottoposti li espone maggiormente ad abusi e violenze da parte di due grandi entità: le organizzazioni criminali e gli stati.
Ne parliamo più ampiamente con Fabio Perocco, docente di sociologia delle migrazioni all'Università Ca’ Foscari Venezia.
Perché c’è una così stretta correlazione tra i movimenti migratori e pratiche di tortura?
Se oggi la tortura – non solo in una accezione meramente giuridica, ma anche tortura morale – costituisce un elemento strutturale dell’esperienza migratoria in molte parti del mondo, ciò si deve, tra le varie cause, al peggioramento delle condizioni della migrazione. La cosa è da attribuire, all’inasprimento delle politiche migratorie , che sono sempre più selettive, repressive e punitive, e al triplice processo di precarizzazione, clandestinizzazione e criminalizzazione delle migrazioni, che sono state date in appalto alla criminalità organizzata. Non ultima, la globalizzazione della detenzione amministrativa dei migranti come modello di gestione ordinaria di determinati movimenti migratori. Infine c’è da considerare l’escalation del razzismo istituzionale e sistemico, divenuto ormai un problema di salute pubblica.
Questi elementi – uniti alla pluridecennale diffusione delle politiche e dei discorsi pubblici fondati su sicurezza e paura, all’iper-detenzione e al peggioramento della condizione carceraria, al radicamento delle teorie sul diritto penale del nemico, alla “crisi della tortura” nel mondo e alla espansione dell’industria della tortura – hanno favorito la creazione e la proliferazione di contesti, situazioni e ambienti permeabili o favorevoli al maltrattamento nei confronti degli emigranti.
La tortura viene anche usata come metodo di respingimento nell’ambito delle migrazioni verso l’Europa?
Sì, certo. Prendiamo, ad esempio, il modello di violenza verso gli emigranti presente nei Balcani, basato su push backs illegali e confinamento nei campi. Questo modello disumanizza le persone e fa parte del sistema di controllo e repressione della migrazione lungo la cosiddetta “rotta balcanica” (dicitura non neutra, tra l’altro). Esso costituisce un elemento strutturale della politica migratoria adottata dai singoli paesi balcanici e non balcanici, anche su mandato dell’Ue - con relativa violenza in appalto.
Ma attenzione: tale politica, che ufficialmente intima lo stop alla migrazione, genera una massa di lavoratori a bassissimo prezzo, dislocati in questo caso nei Balcani, in attesa di entrare col contagocce nei mercati del lavoro europei in condizioni di estrema vulnerabilità, ricatto e sfinimento. Questa politica, che non blocca in modo totalmente ermetico l’arrivo degli emigranti, di fatto pone in condizioni di inferiorità masse di lavoratori e lavoratrici che, passando sotto le forche caudine, giungono in Europa in ginocchio, spezzati dentro. Questa politica, che non ferma gli emigranti in assoluto, li seleziona, li umilia, li fa indebitare, li socializza all’inferiorità e alla subordinazione; attraverso questo supplizio, essa “prepara” futuri lavoratori per determinati comparti dei mercati del lavoro.
C’è una relazione tra la tortura sistematica rivolta ai migranti e il razzismo?
La violenza strutturale nei confronti degli emigranti è puntellata dall’ideologia razzista. Restando al contesto balcanico, essa alimenta all’esterno dei Balcani il razzismo anti-slavo nel momento in cui i paesi balcanici vengono dipinti come luoghi in cui vivono popolazioni di trogloditi che per natura o per cultura maltrattano gli emigranti.
È perciò molto importante inquadrare in maniera adeguata i maltrattamenti degli emigranti nei Balcani, maltrattamenti che sono il risultato di un insieme di fattori non esclusivi del contesto balcanico, ma che negli ultimi anni lì hanno avuto un forte sviluppo: securitarizzazione, militarizzazione e criminalizzazione delle migrazioni; canalizzazione in centri e campi gestiti all’insegna del controllo e dell’abbruttimento; acutizzazione del razzismo istituzionale, che ha alimentato il razzismo popolare.
In questa vicenda tutti gli stati interessati dalla cosiddetta “rotta balcanica” hanno le proprie specifiche responsabilità, compresa l’Ue e il resto dei singoli paesi dell’Ue, i quali, ancorché in maniera differenziata, sono corresponsabili. Certo, ad un occhio minimamente attento non dovrebbe sfuggire, sullo sfondo, il carattere neocoloniale di questa vicenda.
Ci sono altri luoghi del mondo in cui queste dinamiche sono presenti?
In America centrale, al confine meridionale del Mexico, al confine Usa-Mexico, la musica è la stessa. Anche qui regna un regime di violenza strutturale contro gli emigranti, che si esplica su tre livelli: la violenza personale, quotidiana, che si verifica sull’intero spazio in questione non solo sui confini, e che molto spesso è ad opera delle organizzazioni criminali; la violenza istituzionale, sistemica, frutto diretto delle politiche e pratiche statali, delle autorità amministrative e di polizia; la violenza storica, propriamente strutturale, embedded, nell’eredità vivente del colonialismo storico.
Queste forme di violenza sono legate tra di loro: la violenza personale e la violenza istituzionale discendono da un sistema storico di rapporti sociali disuguali che è frutto di secoli di imperialismo, nazionalismo, militarismo, e che ha riguardato i paesi e i popoli di questa area geografica, in cui gli emigranti si trovano tra Scilla (la violenza delle organizzazioni criminali o dei singoli del posto che speculano sui migranti in transito) e Cariddi (la violenza di stato).
Questa tematica è trattata nel volume "Migration and Torture in Today’s World", pubblicato nella collana Società e trasformazioni sociali delle Edizioni Ca’ Foscari. Il libro raccoglie 12 saggi che analizzano le cause, le forme, le dimensioni e le conseguenze delle pratiche di tortura, dei trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei migranti nel mondo. E’ disponibile per il download gratuito sul sito di Edizioni Ca’ Foscari.