L'alumna Francesca Santoro: ‘l’oceano ci riguarda e bisogna averne cura’

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Foto di Lily Chavance

Francesca Santoro è tra le 110 donne protagoniste della mostra ‘Straordinarie’, alla Fabbrica del Vapore di Milano fino al 17 marzo 2024, una raccolta di ritratti e voci di donne italiane provenienti da diversi ambiti della società contemporanea, che con il loro percorso professionale testimoniano la possibilità di affermarsi e realizzare le proprie ambizioni.

Francesca è oceanografa, responsabile delle attività di educazione all'oceano per la Commissione Oceanografica Intergovernativa (IOC) dell'UNESCO. Le abbiamo chiesto di raccontarci il suo percorso iniziato proprio a Ca’ Foscari.

Da bambina volevi fare il medico, poi hai scelto scienze ambientali a Ca’ Foscari. Come mai?

Mio papà era medico e sin da piccola sognavo di diventare come lui e prendermi cura delle persone. Era un uomo molto intelligente, molto moderno. Un giorno, avevo 15 o 16 anni, mi ha preso da parte e mi ha chiesto: “ma tu vuoi veramente fare il medico? Fare il medico è un mestiere molto complesso che devi sentire profondamente di voler fare, è quasi una vocazione”. E così ha messo in crisi le mie certezze di bambina.
Nel frattempo al liceo dove studiavo era tornato, dopo un periodo passato in Toscana per seguire l’associazione Università Verde, un preside che definirei un ambientalista ante litteram, che iniziò a parlare di temi per lui fondamentali. Devo ammettere che credo molto nel potere degli incontri, che spesso hanno determinato le mie scelte di vita e professionali. Per un’assemblea di istituto il preside mi incaricò di redigere la relazione principale sul buco dell’ozono. E da lì ho iniziato ad interessarmi alle tematiche ambientali. Ho scoperto, poi, il corso di laurea in scienze ambientali a Ca’ Foscari grazie ad un articolo su una rivista di mia madre. Mi ha colpito molto la possibilità offerta dal corso di legare le scienze all’impatto sulla società. “È come se tu studiassi per diventare un medico dell’ambiente” mi ha detto, qualche anno più tardi, mio padre.

Cosa ricordi dei tuoi anni cafoscarini?

Sono molto legata alla mia esperienza a Ca’ Foscari e a Venezia, dove ho scelto poi di vivere stabilmente. Quando sono arrivata il corso di laurea era iniziato solo l’anno prima. Noi primi studenti e studentesse abbiamo contribuito alla crescita e allo sviluppo della materia a fianco dei docenti, è stata un’esperienza formativa assai preziosa. Ciò che credo sia stato -a suo tempo- rivoluzionario è senza dubbio l'approccio interdisciplinare con cui si affrontavano le materie scientifiche.

Com’è nata questa tua passione per l’oceano?

Ho sempre avuto un rapporto speciale con il mare: mio padre me ne ha tramandato la consapevolezza del potere curativo, mia madre la sua fascinazione letteraria. Per la mia tesi di laurea ho vissuto un anno e mezzo a Napoli e lavorato per una campagna oceanografica del CNR in un'area marina protetta nel mar Tirreno con un progetto finanziato dal Ministero dell’Ambiente. Dopo la laurea ho seguito un master a Ravenna sulla gestione delle zone costiere che prevedeva uno stage, che ho fatto in Inghilterra per due mesi in un centro di oceanografia.

Quando hai capito cosa volevi fare da grande?

Il mio desiderio era quello di rientrare a Venezia e lavorare nella ricerca. Ho vinto un dottorato sullo sviluppo sostenibile e durante i tre anni di corso sono stata otto mesi in Olanda grazie a una borsa Marie Curie, tre mesi a Parigi per uno stage all’UNESCO, ho lavorato per la tesi ad Ispra in provincia di Varese in un Centro di ricerca della Comunità Europea e ho seguito in Sardegna un progetto di cooperazione internazionale con il Libano sul monitoraggio della qualità delle acque. Tra i partner di questo progetto ho ritrovato i miei supervisor dell’Unesco, che poco dopo mi hanno mandato da Parigi una proposta di lavoro, e ho nuovamente modificato i miei piani.
Ho lasciato Venezia, ho messo da parte la carriera accademica e ho iniziato a lavorare per il Sistema allerta Tsunami dell’UNESCO sia come tecnica tout court, sia con studi per misurare l’impatto sulla società.
Negli anni parigini, poi, la mia responsabile di allora mi aveva chiesto di sviluppare dei progetti educativi a completamento della mission della Commissione Oceanografica Intergovernativa: da una parte il coordinamento della ricerca sulle scienze del mare, dall’altra la divulgazione e l’aumento della consapevolezza mondiale sull’importanza dell’oceano. È nata così la ocean literacy in seno all’UNESCO e sin dagli esordi mi è piaciuto tantissimo occuparmene. Ho capito che questo era il lavoro giusto per me.

Come mai negli ultimi anni l'attenzione per l’ocean literacy è cresciuta così tanto?

Sicuramente la grande svolta è stata la conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano del 2017 a New York. È stato il primo riconoscimento internazionale dell’importanza del tema a cui sono seguiti finanziamenti specifici dagli Stati membri e diversi progetti che seguo hanno preso il volo.

L’importanza dell’oceano per il pianeta e per il nostro benessere è molto più chiara negli ultimi anni. Sono entrata in contatto con chi fa politica, chi insegna, chi segue progetti educativi, o aziende private: il tema della sostenibilità ambientale è molto più centrale nella vita di tutti i giorni.

Ogni percorso è costellato di salite e difficoltà. Ne hai incontrate tante nella tua vita?

Durante gli studi ho avuto quella che definisco una crisi di crescita: mi sono laureata tardi, ma è stata una fase necessaria per capire che studiare scienze ambientali era veramente quello che volevo fare. È stato un momento di svolta, da allora non mi sono più fermata. ‘Sei l’unica che ti può fermare, nessun altro’, diceva spesso mio padre, che ho perso proprio in quel periodo.

Poi nella vita professionale ho incontrato non poche difficoltà soprattutto con capi -uomini- che mal sopportavano una giovane donna intraprendente che diceva quello che pensava. In alcuni casi, quando capivo che non sarei stata in grado di cambiare la situazione, sono stata costretta a lasciare il lavoro, altre volte, invece, sono riuscita a portare avanti le mie idee e i miei progetti.
Ho invece trovato grandissimo sostegno da donne a capo di altre situazioni. Non voglio di certo generalizzare, questa è stata la mia esperienza. Ma ho trovato molto più pragmatismo nelle donne che negli uomini. E io sono determinata a fare, concretizzare i progetti che ho in mano.

Foto di Ilo da Pixabay

Quando devi rilassarti vai comunque verso l’acqua?

Certo, per me il mare è vita, non c’è niente che mi faccia star meglio. Mi basta anche solo guardarlo da una spiaggia.

Che consiglio ti sentiresti di dare a chi studia o a chi sta per intraprendere un percorso universitario?

Mettersi in gioco, in primo luogo, senza risparmiarsi. Sono anni in cui si studia, ma ci si forma come persone, si cerca un proprio posto nella società. Credo sia fondamentale essere curiosi, curare le relazioni e accoglierle come possibilità di crescita personale; e, ancora, avere voglia di scoprire il mondo, pensando sempre a come preservarlo.

Parliamo di futuro. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Cosa ambisci a realizzare?

Mi piacerebbe molto che si potesse parlare di oceano in maniera strutturale nelle scuole, inserendo l’ocean literacy nei programmi scolastici; al momento l’attenzione al tema è lasciata alla volontà di singoli insegnanti. Quello che noi chiamiamo il curriculum blu non  è solo sapere più nozioni scientifiche sul mare, ma sviluppa anche competenze di collaborazione. Non vogliamo che gli studenti e le studentesse conoscano a memoria le specie marine, ma che sappiano perché l’oceano è così importante nella nostra vita e che cosa ognuno di noi può fare. Competenze  e consapevolezze trasversali che servono per tutte le professioni che vorranno fare in futuro.

Cito spesso Neruda: “ho bisogno del mare perchè mi insegna”. E io credo fortemente che il mare ci insegni tantissime cose: che non ci sono confini, ad esempio; molte specie viaggiano lungo percorsi molto più lunghi di quello che pensavamo. L’oceano è esempio di libertà di movimento e interconnessione, è un grande unificatore, e dà una grande lezione di vita a noi esseri umani. Dal mare c’è tanto da imparare anche sulla gestione della società: con i bambini e le bambine parliamo spesso del cavalluccio marino, e del fatto che è l’esemplare maschio a portare in grembo i figli.
Anche la recente questione del granchio blu è di grande insegnamento: noi umani pensiamo di poter controllare tutto e di entrare nei processi naturali, ma non sempre ci è possibile. Penso alle soluzioni ingegneristiche per contrastare la crisi climatica di cui si sente parlare: sono dubbiosa sul fatto che gli esseri umani debbano entrare nel ciclo naturale a gamba tesa. I modelli matematici che sviluppiamo non potranno mai descrivere tutto ciò che succede in natura, ci sono troppe variabili. 

Sono più favorevole a soluzioni basate sulla natura, sulla sua osservazione e sull’assecondarne i processi, come ad esempio facciamo con il progetto Save the wave per la salvaguardia della posidonia, attraverso due azioni pilota a Palermo e sulle Isole Tremiti. La posidonia oceanica ha tante  funzioni fondamentali: riduce l’impatto delle mareggiate, protegge le coste dall’erosione, assorbe il biossido di carbonio dall’atmosfera ed è una sorta di ‘asilo nido’ di molte specie, che in essa trovano cibo e riparo. Lavoriamo con le comunità locali e con le scuole, ri-posizioniamo le piante sulle spiagge, nei fondali e ne seminiamo di nuove; facciamo formazione e sensibilizzazione al tema. Aiutiamo dei processi naturali che fanno bene al mare, all’ambiente e a noi.

Foto di Foto di Benjamin L. Jones su Unsplash

Il Corso di laurea in Scienze Ambientali di Ca' Foscari offre gli strumenti necessari per prevenire, riconoscere e risolvere i problemi ambientali, fornendo una ricchezza formativa e professionale spendibile nei molteplici aspetti della transizione ecologica.

Sara Moscatelli