Che cosa sono gli NFT (non-fungible token)? In molti se lo sono chiesto quando hanno letto la notizia, che ha destato particolare scalpore, della vendita condotta dalla casa d'asta Christie's per 69 milioni di dollari di un NFT associato all’opera di digital art dell’artista Beeple, al secolo Michael Winkelmann che detiene il record del terzo prezzo più alto raggiunto per un artista vivente ad un’asta. Da diversi mesi i media dedicano molto spazio a questo fenomeno già esistente, ma che adesso sta raggiungendo una dimensione globale ed un business miliardario. Per cercare di capire meglio che cosa sono i certificati di proprietà su opere digitali abbiamo intervistato Alessandra Zanardo e Andrea Minto, docenti di diritto commerciale che hanno presentato qualche giorno fa a Ca’ Foscari" il libro NFT-L’arte e il suo doppio, di Filippo Annunziata e Andrea Conso.
Che cosa sono gli NFT- Non- fungible token- e in che ambiti trovano applicazione?
Piccola premessa: un bene fungibile è un bene inter-scambiale con altri dello stesso tipo. Sono fungibili: il denaro, il grano, il barile di petrolio, un libro pubblicato in grande quantità, etc. Un bene non fungibile è un bene che non può essere sostituito con altri appartenenti allo stesso tipo. Sono non fungibili: una casa, un diamante un libro con firma dell’autore.
Gli oggetti digitali, in generale, sono per loro natura fungibili: ne possono facilmente essere fatte infinite copie. Questo ha limitato l’espansione dell’arte digitale e del collezionismo di oggetti fatti di bit. Autenticazione, certificazione di proprietà, compravendita risultavano incerti e poco affidabili. Dal 2017, Ethereum ha introdotto uno standard specifico e aperto, l’ERC721, che permette di creare token non fungibili ovvero NFT. Possiamo immaginare uno di questi NFT come un contratto, anzi uno smart contract, che implementa un certificato di autenticità e di proprietà associato a un certo bene digitale (o fisico). Con questo sistema si riescono a creare unicità o scarsità anche per gli oggetti puramente digitali, rendendoli collezionabili.
L’NFT è dunque traducibile in «contromarca non fungibile», ovvero un codice digitale prodotto a partire da un bene digitale che viene inserito in un ambiente di verifica, definito catena di blocchi, o blockchain, insieme ai relativi dati. Il codice è quindi una stringa di numeri unica e peculiare del bene a cui si riferisce (ad esempio, un’opera d’arte), creato tramite uno standard condiviso. L’NFT è dunque traducibile come una dichiarazione di proprietà verso una singola persona, supportata da un certificato prodotto dalla blockchain. Nonostante gli NFT siano saliti all’onore delle cronache soprattutto grazie alla digital art, molteplici sono gli ambiti nei quali possono trovare applicazione, come ad esempio gaming, proprietà intellettuale, real estate, self-sovereign identity (verificazione di identità, nascita, ecc..) e documenti finanziari.
Gli NFT hanno amplificato un meccanismo già esistente di intendere la proprietà o ne hanno creato uno completamente nuovo?
Non mi spingerei ad affermare un nuovo modo d’intendere il diritto di proprietà. L’NFT risponde all’esigenza di sviluppare meccanismi che consentono di trasporre il concetto di unicità nel mondo virtuale, conferendo carattere di scarsità, e quindi valore economico, ad una vastissima platea di contenuti digitali che, a differenza delle produzioni artistiche fisiche, sono liberamente accessibili online.
Mentre per le criptovalute di prima generazione, ottenute mediante il mining, il senso di scarsità è trasmesso attraverso l’artificio del meccanismo di validazione proof of work, che richiede sforzi computazionali sempre maggiori, e l’apposizione di un tetto massimo al numero di bitcoin “minabili”, negli NFT è la piattaforma di generazione degli NFT a imprimere un senso di scarsità, concedendo la creazione di un limitato numero di NFT multipli ( serie numerata – è il caso di Rarible) o addirittura, come per Super Rare, a consentire solo la creazione di NFT ad edizione singola, gli unici a poter essere di diritto chiamati così.
Attenzione, chi acquista un NFT relativo ad un’opera d’arte non ha comprato l’opera, non ha comprato i diritti d’autore e non ha comprato l’esclusività della riproduzione o dell’uso. Chi compra un NFT compra il diritto ad affermare che un certo oggetto è di sua proprietà.
Uno dei campi principali in cui gli NFT sono utilizzati è l’arte digitale. Facciamo ovviamente riferimento alla multimilionaria vendita dell’artista digitale Beeple. Da dove deriva il boom, con guadagni enormi, che adesso sta investendo questo mercato? È una bolla di sapone?
Non direi che è una bolla di sapone. È l’evoluzione di un trend che ha radici più profonde, strettamente legato al successo e alla sempre crescente diffusione e utilizzo di blockchain, bitcoin e cryptocurrencies e che, emerso già da tempo negli USA, nel 2021 si è rapidamente diffuso anche in Europa e in Italia, raggiungendo a livello mondiale valori sorprendenti.
È difficile fare previsioni, ma è più probabile che il fenomeno continui a crescere, almeno nel breve-medio periodo. Tutti gli indicatori continuano a mostrare una tendenza al rialzo e la digital art è solo uno dei “mercati” in cui l’uso degli NFT, con le più diverse finalità, spesso legate al collezionismo, si sta velocemente diffondendo.
Alcuni critici parlano del meccanismo degli NFT come qualcosa il cui primario utilizzo sarà il riciclo di denaro. È effettivamente un rischio concreto? Quali sono altri rischi che potrebbero insorgere?
Il rischio c’è ed è concreto e anzi è il rischio più rilevante, anche alla luce del fatto che il mercato (fisico) dell’arte è esso stesso da tempo terreno di elezione di attività di riciclaggio di denaro. La Commissione europea, nella sua recente proposta di regolamento sui dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e determinate cripto-attività, ha esteso a queste ultime le prescrizioni in materia di tracciabilità per prevenire, individuare e indagare casi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Ci sono anche altre questioni giuridiche che vengono in gioco con riguardo ai non-fungible tokens, le quali derivano dal difficile inquadramento normativo di detto fenomeno e dalla non immediata applicazione allo stesso delle categorie normative tradizionali: si pensi, solo per fare qualche esempio, alla tutela del consumatore (non sempre adeguatamente informato quando acquista NFT), all’assolvimento degli obblighi fiscali (pagamento dell’IVA) nella vendita degli NFT, al problema della contraffazione di (altrui) diritti di proprietà intellettuale sull’opera incorporata. Senza dimenticare, sulla falsariga dell’esperienza dei bitcoins, il rischio di speculazioni. Alcune ragionevoli soluzioni si possono proporre anche in assenza di una legislazione ad hoc, come hanno evidenziato gli autori del libro NFT. L’arte e il suo doppio presentato qualche giorno fa a Ca’ Foscari.
GLI NFT NELL'ARTE DIGITALE
Per capire invece che impatto questo fenomeno abbia avuto sul mercato dell’arte e, più ampiamente, sul concetto di arte, abbiamo intervistato Stefania De Vincentis, ricercatrice in Storia dell'Arte Contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dove insegna Arte Digitale e Iconografia Digitale.
Gli NFT sembrano dire che qualcosa, come un opera di digital art, diventa arte non per un valore estetico ma per un certificato legale. È così?
Premetto che il mio campo di studi è l’arte digitale, non gli NFT in quanto tali. Quindi le mie considerazioni sono relative a come questo fenomeno - di cui è ancora molto difficile avere una chiara comprensione - sta influenzando il mercato dell’arte.
Non penso sia così. Gli NFT si rivolgono a una specifica forma di arte digitale, la CryptoArt che esiste grazie a un mercato di Crypto Valute. Non tutte le creazioni di Crypto Arte hanno una tensione artistica. Sicuramente ci può interessare molto perche’ si sono dimostrati un efficacissimo vettore per gli artisti per mettersi sul mercato, per promuoversi. Ma non vedo un cambiamento così radicale. Non vedo una differenza tra comprare una di queste opere e sapere di avere comprato una foto a tiratura limitata. Gli artisti digitali in questo caso hanno solo sfruttato un meccanismo nuovo, ma esistevano anche prima. Certamente con lo spazio che ora gli viene dedicato la cosa potrebbe apparire così, ma non lo e’. Quello che è interessante ricercare è l'operazione artistica, se esiste, dietro a questi modelli, se esiste una intenzionalità. Di certo le piattaforme NFT che si sono sviluppate per ospitare CryptoArt hanno aperto un nuovo spazio di produzione e confronto, oltre che mercato, per artisti e creativi.
Quindi non c’e’ differenza tra comprare un quadro, una foto, una scultura e un'opera di digital art, che comunque rimane visibile a chiunque su internet? È soltanto la possibiltà di dire 'questo mi appartiene' che attira compratori?
Come ha detto lei l’apparteneNza a me, il token di proprietà o un NFT, criptato in block-chain e' qualcosa che attira compratori oggi, ma lo faceva prima con altre forme di arte. Ovviamente con un’opera d’arte chi lo compra può farci qualsiasi cosa, ma anche un pezzo di arte digitale, che è visibile da tutti su internet, può essere riprodotto con uno screenshot, anche scaricato in bassa risoluzione, porta scritto che appartiene a quella data persona. E questo ha un suo valore.
Dal mio punto di vista il carattere digitale dell’opera é molto interessante, proprio anche nell’aspetto tecnico con cui viene realizzata. Quello per esempio può essere un motivo di interesse per i compratori.
Se mi chiede perche’ ci siano state delle vendite così clamorose io le rispondo che ci possono essere due risposte: moda e interesse reale.
In primo luogo questo fenomeno può inserirsi in una moda, in particolar modo contestualemente al grande clamore mediatico che ne è scaturito. E in secondo luogo per reale interesse di grandi compratori, anche con competenza. Non é inusuale. Mi viene in mente il grande collezionista d’arte John Getty che veniva assistito nei suoi acquisti da eminenti storici dell’arte, per non incappare in raggiri (nonostante sia comunque successo). Un altro collezionista potrebbe invece essere proprio interessato all’esoscheletro digitale con cui queste opere vengono realizzate e il sistema di block-chain che compongono gli NFT.
Quindi gli NFT hanno cambiato il modo in cui definivamo l’arte? O l’hanno solo amplificato?
Lei mi sta sostanzialmente chiedendo che cos’ l’arte, una domanda che affonda le radici nella storia dell'arte e nella teoria estetica, e che è impensabile ridurre ora. Le posso dire questo: la digital art associata a questo vettore che sono gli NFT, sono un fenomeno a se stante nel mondo dell’arte. Ma certamente e’ troppo presto per dire se sono soltanto qualcosa di momentaneo o se sono storia, questo certamente ancora non si può dire.