Si è spento Giuseppe Goisis, già ordinario di Filosofia Politica

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Si è spento nella notte tra il 4 e il 5 aprile Giuseppe Goisis (1944), filosofo e intellettuale, già ordinario di Filosofia politica a Ca’ Foscari.

Laureato in Filosofia presso l’Università di Padova, Goisis ha svolto tutta la sua carriera accademica all'interno dell'Università Ca' Foscari, dove è stato prima assistente incaricato, poi assistente di ruolo presso la Facoltà di Lettere, quindi professore associato dal gennaio 1985, e infine professore ordinario a partire dall’anno 2007 fino al 2015.

Profondo conoscitore del pensiero filosofico-morale e politico dell'Ottocento, Goisis era anche impegnato sul versante dei diritti umani, in particolare con la sua attività nel direttivo del Centro Studi Diritti dell’uomo (CESTUDIR). È autore di monografie su temi e figure del pensiero politico: Sorel e i soreliani (1983), Mounier e il labirinto personalista (1988), Eiréne (2000), Il pensiero politico di Rosmini (2010). Ha curato I volti moderni di Gesù (2013); infine ha pubblicato il saggio Una guerra lungamente attesa, in Nati per morire (2015). 

Intellettuale di spicco nel panorama veneziano e internazionale, Goisis è stato socio di numerose istituzioni culturali, fra cui la SEC (Società Europea di Cultura) e l’Ateneo Veneto; ha fatto parte dei Comitati scientifici di riviste culturali e di associazioni internazionali. Molti amici e colleghi sono intervenuti in suo ricordo nelle pagine dei giornali di oggi, tra i quali il Patriarca mons. Francesco Moraglia, il filosofo Massimo Cacciari, i colleghi cafoscarini Luigi Vero Tarca, Giorgio Cesarale e Davide Spanio.

Ecco come Luigi Vero Tarca ricorda il collega Giuseppe Goisis:

"La scomparsa di Giuseppe Goisis ha provocato, in coloro che lo hanno conosciuto come docente o come collega (a cominciare dal sottoscritto), un dispiacere davvero profondo, quello che si prova quando si perde qualcuno che è importante per la propria vita, come ho potuto constatare di persona anche sulla base delle telefonate e dei messaggi scambiati in questa circostanza. Perché Pino (così lo chiamavano gli amici) era una persona nobile e benevola: sempre comprensivo e accogliente con tutti in ogni contesto e in qualsiasi situazione. Potrebbe sembrare poco appropriato, in ambito accademico, dare tanto rilievo ad aspetti che, per quanto meritevoli, parrebbero riguardare prevalentemente una dimensione fondamentalmente soggettiva (esistenziale e psicologica) piuttosto che oggettiva (professionale e istituzionale), ma se sottolineo tali doti è per evidenziare come esse costituissero il segno visibile di una peculiare esperienza di grande valore culturale e filosofico.

Giuseppe era uno studioso serissimo; ad ogni appuntamento (ne aveva moltissimi, e di vario genere: conferenze e convegni in ambito universitario, attività relative ai diritti umani, iniziative legate al mondo politico, religioso e del volontariato, incontri legati alla filosofia della persona, e così via) arrivava ‘armato’ di una consistente pila di libri, tutti rigorosamente appuntati e disseminati di un grande numero di piccoli segnalibri variamente colorati. Ma questa era l’unica arma alla quale egli faceva ricorso, perché per il resto tutto il suo discorso – sempre rigoroso, puntuale e dotato di ampio respiro – costituiva invece un invito a deporre le armi dialettico-concettuali e a sostituirle con un dialogo che, per quanto franco e senza sconti, restasse comunque sempre amichevole e comprensivo su tutti i temi, anche quelli più spinosi. Ecco, questo stile di lavoro, lungi dall’essere un mero tratto caratteriale di natura soggettiva, costituiva l’esito consapevole di un rigoroso e profondo percorso di natura filosofica. A tale proposito mi limito qui a ricordare il suo libro intitolato “Eiréne” (pace), che affronta con profondità e consapevolezza un tema filosofico e antropologico centrale e decisivo per il destino della civiltà europea; come del resto Pino sapeva bene, essendo egli studioso serissimo delle tematiche politiche e filosofiche (basti pensare ad autori come Machiavelli e Rosmini) con una particolare attenzione per la cultura di matrice francese (da Bergson a Sorel a Péguy). Questa ricca miscela di sapienza spirituale e di conoscenza critico-scientifica delle tematiche filosofico-politiche costituisce un contributo importante che Pino lascia in eredità e che sarà in grado di ispirare anche quanti al suo pensiero avranno modo di accostarsi grazie ai suoi scritti".

Il ricordo redatto dal dott. Carlo Crosato, PhD, che ha raccolto la adesione e la sottoscrizione di numerosi altri colleghi, collaboratori e allievi del prof. Goisis:

"Non è mai facile lasciar andare chi ha accompagnato, per breve o lungo tratto, il proprio cammino di vita. Ma, a ben pensarci, la tristezza si trasforma presto in una consapevolezza: chi se ne va non lascia un vuoto, ma apre uno spazio accogliente in cui ciò che ha seminato in noi può fiorire ed esprimersi appieno. Se il prof. Giuseppe Goisis, per i suoi colleghi “Pino”, se n’è andato, grazie ai suoi insegnamenti, umani prima ancora che scientifici, noi non ci sentiamo soli, ma carichi della responsabilità di far camminare sulle nostre gambe le sue riflessioni, il suo lavoro, la sua sterminata conoscenza. Una conoscenza davvero inesauribile, che Giuseppe Goisis spogliava di ogni forma di pedanteria cattedratica: Goisis si offriva al dialogo con i suoi interlocutori, all’ascolto generoso prima ancora che all’insegnamento, per la ferma convinzione che nell’incontro, aperto ma non per questo meno franco, può sempre nascere qualche cosa di nuovo, di inaudito, di assolutamente irriducibile alla mera somma delle posizioni. Questo era il campo che il nostro professore saggiamente predisponeva per i suoi confronti, mai quello di un fronteggiamento millimetrico, strategico, mai quello della tensione alla sopraffazione dell’altro, ma sempre un terreno di accrescimento reciproco, di paziente costruzione delle condizioni in cui l’altrui libertà potesse maturare e affermarsi, e in cui il dialogo potesse dar vita a una sincera e autentica comunanza.

Infaticabile studioso, l’ampiezza dei suoi interessi è stata incredibilmente vasta, facendo di lui un interlocutore disponibile all’umile per quanto capace attraversamento di ogni argomento dell’ambito morale e politico. Ne sono testimonianza le sue collaborazioni con la Fondazione Stefanini di Treviso, con l’Istituto Rezzara di Vicenza, con la Fondazione Toniolo di Verona, con l’Ateneo Veneto, la Società europea della cultura, il Centro studi diritti dell’uomo e il Comitato regionale per la Bioetica della Regione Veneto, in cui la sua presenza ha garantito un apporto filosofico impareggiabile. La sua attività di formatore e conferenziere ha saputo coniugare l’appassionata attenzione per ogni dimensione dell’umano con la curiosa e mai quieta ricerca di una dimensione ulteriore, in cui l’umano potesse trovare vero compimento. E se tale afflato trascendente si è manifestato in una lunga e poliedrica collaborazione con la Pastorale universitaria e nell’insegnamento presso lo Studio Teologico del Seminario Patriarcale, esso contrassegnava profondamente l’intera vita di Goisis, caratterizzando ogni suo incontro.

Ha insegnato la Filosofia politica a generazioni di studenti dell’Università Ca’ Foscari. Potremmo raccogliere le testimonianze dei giovani studenti che hanno incrociato il suo lavoro universitario, e non ci basterebbe il tempo per ripercorrerle. Qualcuno ricorderà una o due sue lezioni, altri ricorderanno la tensione nervosa prima di un esame sciogliersi man mano che il professore produceva uno spazio di agio come solo lui sapeva fare; altri ricorderanno un incontro fuori dall’università, i più fortunati, avendo prolungato i loro rapporti con Goisis anche dopo il suo pensionamento, racconteranno di infinite conversazioni sui temi che stavano a cuore, o magari di uno scritto a quattro mani o di una generosa prefazione. C’è chi custodisce qualche libro donatogli come simbolo della fortuna di aver conosciuto una persona nobile d’animo oltre che una mente brillante. Possiamo scommettere che a consegnarci un proprio ricordo sarebbero per lo più giovani studiosi, le cui capacità e la cui passione Goisis non si stancava di incoraggiare, di promuovere. 

E allora non è certo un caso che uno degli ultimi lavori di cui il nostro professore ci ha fatto dono sia uno studio del concetto della speranza. Sarebbe letteralmente impossibile elencare gli argomenti toccati dalla produzione scientifica di Goisis. Da Mounier a Rosmini, da Sorel a Péguy, da Bernanos a Bergson, dalla laicità come postura critica e inclusiva alla pace come fondamento dello spirito europeo, muovendosi fra il panorama politico di Otto e Novecento e la filosofia del personalismo. Ma forse è proprio nelle sue pagine sulla speranza che risiede il testamento umano e intellettuale più profondo di Goisis. Il suo discorso sulla speranza si qualifica, già nelle sue premesse, come un discorso che incontra la persona nella sua essenziale relazionalità. E se l’esperienza da cui Goisis prende le mosse è quella del mistero e della trascendenza, essa risulta comprensibile anche da chi rivolge la propria ricerca verso una trascendentalità orizzontale, interumana, che trae le proprie motivazioni da altre sfere, ma tesa a convergere in maniera dialogica e armonica sull’invito ad aprire una zona sovraindividuale di incontro. Il suo pensiero della speranza, pur originando da un movente spirituale, rivolge forte l’invito a chi condivide quel cammino di ricerca spirituale a non chiudersi in un’appagante conservazione della propria esperienza, degli articoli che la sostengono e dei dogmi che la tutelano, e quindi ad aprirsi alla discreta e modesta offerta, a quel lavoro che rende accessibile e plastico anche il sentire più profondo: la spiritualità che animava Goisis era quella che fa dell’esperienza di fede un dono, un’occasione, un esempio e non un ostacolo, per l’arricchimento di una dimensione pubblica oggi sempre più asfitticamente rinchiusa entro i limiti dell’interesse privato. Con questo spirito laico, che coltiva la relatività ben lungi dallo scadere a mero relativismo, Goisis ha incardinato il proprio concetto di speranza su una dinamica che non può che essere quella della collettività. Con l’intento di evadere i limiti ristretti di chi escogita scenari futuri non condivisi e, anzi, a spese di altri, Goisis ha definito la speranza come un concetto intrinsecamente plurale, che non può che esorbitare rispetto alla dimensione individuale in cui la speranza non solo si trasforma in illusione, desiderio, inquietudine, ansia, vano ottimismo, ma viene meno anche alla propria tensione più intima. 

L’essere umano di cui ci ha parlato Goisis è intrinsecamente relazionale, per la sua capacità trascendentale che lo colloca, sempre disorientato, in un mondo tutto da costruire, in un presente teso fra la fugacità del passato e l’attesa del futuro. L’umano di cui ci ha parlato Goisis è un essere sempre impegnato in un autotrascendimento. Ed è di tale trascendimento del reale che la speranza assume l’urgenza. È l’esigenza di ridare possibilità al presente nel futuro, ma riabilitando e redimendo perfino il passato. Un trascendimento del reale che, dunque, non è volgare slancio vitalistico o attesa ingenua, essendo piuttosto l’urgenza di aderire al reale per meglio trasformarlo, in maniera responsabile e cosciente. Impresa che non può essere ristretta al solo foro interno dell’individuo. Compressa nella sola dimensione del sogno privato, infatti, la speranza perde contatto con la realtà e, gonfiandosi di aspettative, si ribalta in un incubo da realizzare a detrimento della collettività. Quanti progetti politici luminosi e promettenti si sono persi nella conservazione di principi incrollabili e incompatibili con il benessere dell’uomo; in quante occasioni la speranza ha perso il proprio slancio, la propria tensione, trasformandosi in violenta conservazione. Questo rischio può essere evitato solo grazie alla declinazione relazionale della speranza, entro cui sola essa permane nella propria tensione progressiva e non si impasta in nocive contraddizioni. L’ultimo insegnamento consegnatoci da Goisis è una missione: di speranza si potrà parlare se, con un serrato rapporto con la realtà, si verrà a sorprendere una singolare corrispondenza tra la tensione trascendentale dell’uomo e l’urgenza del possibile che preme nell’attualità del mondo. Se si riscopre, cioè, anche negli angoli più reconditi e polverosi della realtà un varco da cui la storia possa tornare a sgorgare, ricaricandosi di possibilità e promesse.

Caro professore, non se la prenda se le diciamo che ci mancherà, ma che proprio grazie al suo affettuoso insegnamento ci mancherà un po’ meno: la porteremo sempre nel cuore e nella mente, non come un ricordo destinato ad appassirsi nel tempo, ma come un appello vivo e costante diretto alla nostra intelligenza e alla nostra sensibilità. Non ci mancherà: continuerà a vivere attraverso noi. Semineremo con impegno inestinguibile il suo invito non tanto a nutrire speranza, quanto a farci speranza per gli altri.

Alla moglie Monica e ai suoi figli, ai suoi cari vanno le nostre più sincere condoglianze."