Granchio blu: uno studio di Ca' Foscari nelle lagune di Venezia e Chioggia

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Di wpopp - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/

Originario della costa orientale degli Stati Uniti, a partire dal confine con il Canada, ma diffuso fino a Uruguay e Argentina, il granchio blu (Callinectes sapidus) è arrivato già dalla metà del secolo scorso nel Sud del Mediterraneo, si è esteso all’ Egeo e infine ha risalito l’Adriatico, dove nelle zone a Nord ha trovato un ambiente estremamente favorevole ricco di aree lagunari. 

Negli ultimi anni, ma soprattutto negli ultimi mesi, la sua presenza è letteralmente ‘esplosa’ nelle lagune del Delta del Po e nel litorale marino da Ravenna a Caorle.  

È per ora meno diffuso, ma comunque presente, nelle lagune di Venezia e di Chioggia, dove la Regione Veneto ha approvato un accordo di collaborazione con l’Università Ca’ Foscari e la Fondazione per la Pesca di Chioggia, con l’obiettivo di arrivare ad un monitoraggio scientifico della specie, che ad oggi ancora non c’è.

“Stiamo lavorando insieme ai pescatori nella laguna di Chioggia. Al momento dobbiamo studiare un piano di emergenza per il controllo della specie – spiega il docente di ecologia Piero Franzoi, del dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica – e in prospettiva capire se la pesca del granchio blu possa diventare una risorsa economica e anche una misura efficace a contenere il numero di esemplari la cui proliferazione ha effetti negativi sull’ecosistema lagunare e sul settore economico della pesca tradizionale”.

La presenza del granchio blu, per quanto in forte espansione, non è una novità nel Mediterraneo, dove è arrivato già alla metà del secolo scorso. L’ipotesi al momento più accreditata è che la specie sia stata introdotta accidentalmente nei nostri mari con le acque di stiva delle navi, probabilmente anche a più riprese. Nella laguna di Venezia i primi esemplari sono stati rilevati attorno al 1950, ma le presenze sono diventate più frequenti solo a partire dagli anni 2000.  

“E’ un granchio nuotatore, di grandi dimensioni. Il carapace di un maschio adulto può superare i 20 cm, molto più grande del suo diretto ‘competitor’ locale, il granchio verde.  Ha chele potenti, non è manipolabile a mani nude ed è estremamente adattabile all’ambiente dal momento che tollera anche temperature elevate e variazioni di salinità. Popola fiumi, aree marine costiere  e lagune, e nel suo habitat originario, la costa atlantica degli Stati Uniti, reagisce al cambiamento climatico ampliando il suo areale di distribuzione  verso Nord. Nonostante abbia un ciclo di vita abbastanza breve, al massimo 3 o 4 anni, ha una crescita molto rapida e presenta ‘picchi’ demografici dovuti alla grandissima quantità di uova deposte dalle femmine. Come altri crostacei, l’accoppiamento con il maschio non coincide con la deposizione delle uova. La femmina si accoppia quando non è ancora matura e depone le uova nei mesi successivi, fecondandole con gli spermatozoi che ha mantenuto vitali. Nell’areale originario di distribuzione della specie, ogni femmina può deporre in una stagione alcuni milioni di uova, distribuiti in 2 o 3 eventi successivi di deposizione. L’accoppiamento avviene all’interno degli estuari, ma le femmine si spostano in mare per procreare. È un predatore versatile e vorace, aggressivo e curioso. Mangia soprattutto molluschi bivalvi, altri invertebrati  e pesci, ed è molto veloce negli spostamenti potendo nuotare nella colonna d’acqua”.

Proprio a questa sua voracità si deve il primo motivo di frizione con i pescatori e i molluschicoltori locali. Il suo potenziale impatto su alcune specie autoctone, come ad esempio il granchio verde (“moeche” e “mazanete”), potrebbe infatti incidere negativamente su alcune delle maggiori fonti di reddito della pesca tradizionale.

Il danno più grave, che ha fatto sedere allo stesso tavolo amministratori, politici, pescatori e ricercatori universitari, è stato comunque quello recato agli allevamenti di vongole. “Nelle nostre lagune ci sono i più grandi allevamenti europei di vongole filippine - spiega Franzoi -. Il granchio blu riesce ad aprire le vongole piccole, appena seminate, e anche quelle “mezzane”. L’impatto economico è estremamente elevato, se consideriamo che, per un vivaio di vongole del Delta del Po, le semine rappresentano un investimento di alcune decine di migliaia di euro. Per quest’anno, la raccolta prevista nei mesi invernali risulta già fortemente compromessa, come conseguenza della proliferazione del granchio blu, e i molluschicoltori non sono nelle condizioni di procedere con nuove semine. A questo, si aggiunge un altro grosso danno provocato alle reti da pesca, soprattutto alle nasse per le seppie, che i granchi blu sistematicamente tagliano facendo perdere ai pescatori il loro pescato e danneggiando l’attrezzatura.

La nostra è un’attività di ricerca applicata che ha come obiettivo lo studio della biologia e della pesca del granchio blu nell’area lagunare e marina di Chioggia. Sarà necessario rivedere i regolamenti regionali sulla pesca e approvare l’utilizzo di attrezzi di pesca specifici per la cattura del granchio blu, che stiamo testando, come le nasse da granchi con esca. Essendo una specie aliena, di norma andrebbe rimossa e smaltita secondo la legge, ma non è un’impresa facile. Questa specie può invece essere una risorsa commerciale importante, a patto che si costituisca a una intera filiera dedicata, dagli strumenti da pesca fino alla tavola. Nel contingente, il granchio blu è visto dai pescatori esclusivamente come un problema ed è necessario autorizzare e incentivare misure per il controllo demografico della specie attraverso la  cattura degli esemplari al di sotto della taglia commerciale. Alcune cooperative di pesca del Delta del Po stanno sperimentando questi metodi, incentivando la pesca degli esemplari sottotaglia.

Abbiamo previsto di continuare la nostra ricerca fino a fine ottobre. Diffonderemo i risultati attraverso un report e alcuni incontri di divulgazione, in accordo con gli amministratori locali. Si tratta di uno studio mirato sulla zona di Chioggia, ma si potrebbe estendere a tutte le lagune venete, da Caorle a Scardovari, in previsione della proliferazione della specie negli habitat lagunari della costa nord adriatica."

Federica Scotellaro