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Dalla revoca delle sanzioni alle sfide per la ricostruzione: come sarà la Siria del futuro? Una lettura multidimensionale della ‘Marie-Curie’ Antea Enna

Foto di Ahmed Akacha_Pexels

Il 14 maggio Donald Trump ha annunciato la possibile revoca delle sanzioni economiche verso la Siria, seguito dall’analoga decisione dell’Unione Europea. Subito dopo, ha incontrato in Arabia Saudita Ahmad al-Sharaa (Al-Jolani), leader siriano del dopo-Assad, dal militante passato jihadista. 

La svolta della politica estera statunitense verso la Siria è avvenuta dopo quasi quattordici anni di guerra civile cinquant’anni di dominio della famiglia Assad. L’ultimo della dinastia, Bashar Al-Assad, ha lasciato il Paese nel dicembre scorso, a bordo dell’aereo presidenziale, dopo pochi giorni di offensiva guidata dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham, attualmente al potere a Damasco.

Ma la guerra civile, in Siria, è davvero finita? Il cambio al vertice e tutto quello che è successo in poco tempo, dopo anni di guerra e sanzioni, è il frutto di una rivoluzione interna o è il risultato di un disegno politico ed economico progettato altrove?

Ne abbiamo parlato con Antea Enna, studiosa delle dinamiche di conflitto nel Levante e vincitrice di una borsa Marie Curie all’Università Ca’ Foscari e il Center for Strategic Studies (CSS) dell’Università della Giordania con il progetto AMIN_MENA, supervisionato dal Prof. Matteo Legrenzi.

“L’incontro di Trump e il presidente ad-interim Ahmad al-Sharaa è un incontro molto importante, da leggere, come il conflitto in Siria, in maniera multidimensionale. Le sanzioni economiche contro la Siria di Assad, in vigore già da prima ma inaspritesi nel 2019 con il Caesar Act, hanno pesato gravemente sulla popolazione e sul Paese, riducendo al minimo gli investimenti esteri. Queste misure restrittive rappresentavano, fino a pochi giorni fa, il maggior ostacolo per la ricostruzione della ‘nuova’ Siria. La sospensione è un messaggio forte, politico, nei confronti della nuova amministrazione, ed è anche un messaggio economico verso i donatori non solo europei o statunitensi, ma anche dei Paesi del Golfo. Non è un caso che Trump abbia incontrato Ahmad al-Sharaa a Riad, la capitale dell'Arabia Saudita. 

Per capire il contesto, bisogna partire da una lettura storica della crisi siriana, che è stata molto più che una guerra civile interna e che ha coinvolto interessi geopolitici, sia regionali che internazionali, molto forti. La caduta degli Assad, avvenuta in maniera repentina, è stata accolta con grande entusiasmo sia all’interno che all’esterno della Siria, ma questo entusiasmo si è gia smorzato. Di sicuro abbiamo assistito a un cambiamento epocale, che ha generato uno squilibrio regionale considerevole, e adesso è importante porsi alcune domande. Chi trae vantaggio dal nuovo corso politico siriano? Che tipo di scenari si possono aprire nel futuro? Una prima risposta risiede proprio nella revoca da parte di Trump delle sanzioni e come l’autorpoclamato governo siriano gestirà la situazione visto l’allegerimento delle pressioni economiche. La situazione nella regione ed in Siria è ancora molto instabile, e si deve analizzare attraverso una lente territoriale e multidimensionale. Aspetti fondamentali da osservare  sono,  nel caso della Siria, sicuramente  la ricostruzione e il  rientro dei rifugiati, entrambi con implicazioni nazionali e regionali”.

Come si sta evolvendo il contesto regionale?

Per comprendere la situazione siriana bisogna considerare il quadro territoriale più ampio. I Paesi vicini alla Siria stanno vivendo profondi cambiamenti che influenzano direttamente la stabilità regionale. Molte delle "coincidenze" che osserviamo non sono casuali, ma riflettono dinamiche geopolitiche in evoluzione.
Il Libano vive un periodo di ri-assestamento complesso dovuto alla fine del  conflitto tra Israele ed Hezbollah, le continue violazioni da parte di Israele del cessate il fuoco, e l’insediamento del nuovo presidente e del nuovo governo. Il ritiro di Assad coincide con un momento di cambiamento e adattamento di Hezbollah, soprattutto sul piano militare, un fattore cruciale per gli equilibri di potere e per l‘asse della resistenza. Gli scontri al confine Siro-Libanese avvenuti a marzo e le recenti intercettazioni e sequestri da parte delle autorità siriane di carichi di armi provenienti dalla Siria e diretti in Libano fanno pensare ad un'inversione di rotta della politica Siriana nei confronti dell’asse della resistenza ma non solo. Infatti questo atteggiamento potrebbe avere un significato più profondo circa la posizione della nuova amministrazione siriana nei confronti della causa Palestinese. La Giordania mantiene un approccio cauto e osservatore nei confronti della Siria, riflettendo la sua tradizionale politica regionale equilibrata. In Turchia, attore storicamente influente nelle vicende siriane e con interessi notevoli nel nord del paese, si è appena sciolto il Partito dei Lavoratori del Kurdistan  (PKK), la cui conrtroparte siriana rimane invece attiva e potenzialmente rafforzata, soprattutto nell'Est del Paese. Il ruolo di questo movimento nel futuro della Siria  è una questione aperta e di grande rilevanza da tenere sicuramente sotto osservazione. Il nuovo governo Siriano non si è ancora espresso pubblicamente circa le dichiarazioni di israele sulle Alture del Golan - occupato dal 1967, - o il monte Hermon, e neanche sulle operazioni dell’esercito israeliano nel sud del paese. Nonostante si cominciasse a parlare informalmente di un accordo di non-agressione tra i due paesi, negli ultimi giorni. l’IDF ha condotto un attacco aereo sulla città costiera di Latakia, a cui sono seguite dichiarazioni da parte Israeliana di voler mantenere una libertà d’azione per  rimuovere ogni potenziale minaccia allo stato di Israele. 

Ci saranno elezioni in Siria?

Al momento la promessa è che saranno indette delle elezioni tra cinque anni.  Ad oggi Ahmed al-Sharaa è il nuovo leader de facto e ha formato un governo, ma resterei molto cauta nell’affermare che in Siria il conflitto è cessato. La sicurezza interna è ancora precaria come dimostrato dalle violenze che hanno avuto luogo in molte aree del paese contro alawiti, cristiani e sciiti, e questo è uno dei motivi principali per cui molti rifugiati ancora non tornano e non pianificano il loro rientro nel paese. 

La Siria è un paese interessante dal punto di vista politico ed economico. Considerando la sua posizione geostrategica, i cambiamenti interni non rimangono isolati, ma si propagano e influenzano inevitabilmente anche i Paesi confinanti. Per capire la Siria di oggi e i potenziali sviluppi futuri è necessario adottare la prospettiva che ci forniscono gli area studies, che non si concentra unicamente su una dimensione ma su molteplici aspetti, inclusa l’analisi delle realtà e delle dinamiche storiche e quelle attuali, ma anche gli aspetti socio-economici nazionali e regionali.

La Siria di Assad, prima della guerra, rappresentava un caso unico nella regione, ed era osservato sia con interesse che con sospetto dai suoi vicini. Era un paese stabile e baluardo di una certa politica regionale a sostegno dalla causa palestinese, avanzato, con un sistema socialista di organizzazione statale che prevedeva scuola e sanità gratuite e accessibili a tutti. Nella mia esperienza di ricerca sul campo con i rifugiati Siriani, questi hanno sempre descritto il loro paese con entusiasmo rispetto alla possibilità di accedere ai servizi gratuitamente, menzionando però anche i limiti di un sistema politico come quello portato avanti dagli Assad. 

Le domande che dobbiamo porci, come ricercatori, studiosi e non solo, per capire esattamente come si configurerà la Siria nei prossimi anni sono molteplici. Come si muoverà la Siria in uno scacchiere complesso e in continua evoluzione come quello Medioreintale, dove gli interessi sono numerosi e la posta in gioco è altissima? La Siria del futuro rispecchierà parzialmente o si distanzierà completamente dalle politiche Ba’thiste portate avanti dagli Assad? Sarà adottato un modello capitalista? Quali politiche sociali verranno promosse (istruzione, sanità, servizi)? Come sarà gestita la ricostruzione e organizzato/supportato il ritorno dei rifugiati? Ci sarà un processo di riconciliazione?  

Cosa faranno ora i milioni di siriani che si trovano all’estero?

Anche questo è un argomento da affrontare in maniera più ampia. Nei paesi ospitanti - Turchia, Giordania e Libano - gli aiuti internazionali sono diminuiti considerevolmente negli ultimi anni a causa dello spostamento di fondi dovuti alla guerra in Ucraina e alla fatica da parte dei vari donatori di continuare a sostenere una crisi che ormai si protrae da anni. Questi paesi non riescono a sostenere il peso economico dell’alto numero di rifugiati che “ospitano”, e non facendo parte della Convenzione di Ginevra, non hanno politiche di accoglienza vere e proprie ma si appoggiano nella gestione della crisi all’UNHCR, anche se devono rispettare il principio di non-refoulement che vieta agli stati di rimpatriare i rifugiati in paesi dove rischiano la vita  o in cui le loro libertà sono a rischio. Il Libano e la Turchia hanno rimpatriato forzatamente o sotto costrizione  rifugiati siriani negli ultimi anni, la Giordania, ha coordinato pochi rimpatri forzati ma dal 2017, come da sua politica tradizionale, è stata più cauta e ha interrotto questa pratica. Questi paesi hanno tutto l’interesse a far tornare i rifugiati, ma non c’è nessuna indicazione ufficiale dell’UNHCR che autorizzi i rimpatri e quindi al momento sono consentiti e facilitati solo i ritorni volontari. La situazione non è ancora chiara e parlare di politiche di supporto al ritorno di migliaia e milioni di persone è prematuro.

Per quanto riguarda il ritorno dei rifugiati da un punto di vista interno, il nuovo governo di Damasco dovrà gestire e prendere delle decisioni su questioni difficili ma vitali come il problema della case e delle proprietà, il percorso di riconciliazione sociale dopo anni di guerra, la migrazione interna, la sicurezza, e i servizi che supporteranno coloro che torneranno ma anche gli internal displaced. Chi al momento risiede in uno dei paesi limitrofi e sta pensando di tornare, si chiede se i figli potranno andare a scuola, e quali servizi troverà una volta in Siria. La decisione di tornare è una scelta dei singoli individui e nuclei familiari e quindi include molteplici variabili, in primis la sicurezza, e poi la volontà del singolo o della famiglia di spostarsi in una situazione incerta e volatile come quella che possiamo osservare oggi. Da molti rifugiati siriani che ho intervistato recentemente per una ricerca su questo argomento la questione del ritorno è stata definita come una decisione o scelta complessa, perchè sanno cosa hanno adesso come rifugiati, ma non hanno idea di cosa troveranno una volta rientrati nella città o paese d’origine. Questo aspetto provoca in loro un senso di incertezza notevole. Inoltre, non c’è ancora una macchina burocratica internazionale capace di supportare chi rientra. 

E’ importante anche sottolineare come dal un punto di vista umanitario, la Siria è un mercato appetibile. Le organizzazioni locali o internazionali che hanno informazioni ed sono già sul campo non collaborano tra loro perchè sono in competizione: chi ha una presenza più capillare e detiene più informazioni è probabile che riuscirà ad avere il monopolio degli aiuti, e quindi avrà più fondi. Questo aspetto potrebbe creare in futuro delle mancanze operative che non permetteranno di raggiungere le popolazioni bisognose o target vulnerabili o una lettura distorte dei bisogni in alcune aree del paese.

Qual è la prossima sfida per Al Jolani?

A chi verrà affidata la ricostruzione del Paese? La sospensione delle sanzioni non è incondizionata. Anche su questo, ci dobbiamo porre delle domande: Cosa darà la Siria in cambio agli Stati Uniti? Difficilmente le aspettative americane coincideranno con quelle del popolo siriano, che vive una situazione di estrema sofferenza. Inoltre storicamente gli Stati Uniti non hanno interesse per una posizione forte e stabile della Siria. Una Siria destabilizzata permette un maggior controllo sull’area mediorientale, sia per gli Stati Uniti che per i loro alleati, locali e non.

 

 

Antea Enna è ricercatrice associata presso l'Institut français du Proche-Orient (IFPO) di Beirut al Dipartimento di studi contemporanei. Recentemente ha ricevuto una borsa di post-dottorato Marie Curie presso l'Università Ca' Foscari, e visiterà il  Centro di studi strategici dell'Università della Giordania, l'Istituto Issam Fares dell'Università americana di Beirut e l'Università di Essex durante la fase outgoing. La dott.ssa Enna ha conseguito il dottorato di ricerca in Istituzioni e Politiche presso l'Università Cattolica di Milano, dove ha studiato la riduzione del rischio di conflitto in Libano nel contesto della crisi dei rifugiati siriani. Dopo il dottorato, ha lavorato come consulente nella regione MENA, conducendo ricerche per organizzazioni come l'ONU e l'UE e collaborando con ministeri e ONG locali. I suoi interessi di ricerca includono l'impatto della guerra del 2024 sulla violenza politica e sociale in Libano, e la stabilità e coesione social in Libano e Giordania, oltre a questioni di relative alle disuguaglianze e politiche sociali e il rimpatrio dei rifugiati siriani.

Federica Scotellaro