Agenda

08 Mag 2020 08:00

Lettere dal DSAAM - Vera Costantini

DSAAM online

In questi giorni marcati dall'isolamento, pubblichiamo in agenda con cadenza regolare delle lettere da parte dei membri del Dipartimento. L'idea è di raccontare l' esperienza di quarantena, principalmente attraverso suggerimenti di letture, attività didattiche, ma anche ricette, musica, programmi radiofonici e film.
È un modo per condividere spunti culturali in queste giornate lunghe e per comunicare a studenti e colleghi la nostra presenza e il nostro impegno.

Oggi la lettera è da parte di Vera Costantini

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23 aprile 2020

L’ingombrante tavolo di marmo in terrazza viene da Orano, in Algeria. Pesante com’è, risulta impossibile sottrarlo alle intemperie, quindi rimane “al suo posto”, estate e inverno. Nella prima pagina del suo capolavoro, Albert Camus parla invece del verificarsi della peste a Orano come di un evento “fuori posto” nell’ordinaria prefettura francese della costa algerina di metà Novecento che fa da scenario ai “curiosi eventi” descritti nel romanzo. Città banale, spiacevole alla vista, i cui abitanti, assetati di guadagno, si rivelano incapaci di concepire dubbi o provare sentimenti profondi, come quelli che si dovrebbero risvegliare nell’accudire un malato. Rileggendo le pagine fitte di “conversazioni irreali” tra uomini dal volto semicoperto, a evitare il contagio, è difficile non scorgere analogie con il tempo presente, interrogarsi su cosa sia la normalità, oggi reclamata a gran voce, e quale sia il posto di chi, come il medico Bernard Rieux, protagonista dall’aria rassegnata, decide di non annoverarsi “tra coloro che tacciono”, ma di descrivere piuttosto l’accaduto, testimoniando la sofferenza e l’ingiustizia perpetrate ai contagiati, proprio quando l’epidemia è finita e i rimasti vivi festeggiano.  

“Ma sapeva, tuttavia, che la sua non poteva essere la cronaca di una vittoria definitiva, ma solo la testimonianza di quanto sin lì realizzato e di tutto quello che ancora, contro il terrore e la sua arma instancabile, avrebbero senza dubbio realizzato tutti gli uomini che, pur senza aspirare alla santità e rifiutando di soccombere al flagello, si sforzavano di essere medici. 
Nell’udire le urla di gioia che si propagavano in città, Rieux teneva a mente che su questa allegria incombeva un’eterna minaccia. Giacché sapeva quello che la folla festosa ignorava e che si può leggere nei libri, e cioè che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare addormentato per decine d’anni nei mobili e tra la biancheria, che attende con pazienza nelle camere, nei bauli, tra i fazzoletti e le scartoffie e che un giorno, forse per recare agli uomini dolore o qualche altro insegnamento, la peste risveglierà i suoi ratti e li manderà a morire in una città felice.” (A. Camus, La peste, 1947)    

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Lettere precedenti:

Silvia Rivadossi - link alla lettera

Patrick Heinrich - link alla lettera

Daniela Meneghini - link alla lettera

Luca Maria Olivieri - link alla lettera

Joseph Sanzo - link alla lettera

Organizzatore

Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea

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