“Quello che sta accadendo in queste ore in Israele ci dimostra ancora una volta che non esistono scorciatoie militari per problemi politici. Il lavoro della diplomazia è sempre necessario, anche quando le possibilità di arrivare alla soluzione dei conflitti sembrano minime”.
Ne è convinto Matteo Legrenzi, professore di Relazioni Internazionali al Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali. A lui abbiamo chiesto di commentare lo scacchiere internazionale, pochi giorni dopo il durissimo attacco di Hamas in Israele.
I missili di Hamas hanno sorpreso Israele la mattina del 7 ottobre, durante i festeggiamenti della settimana di Sukkot, a pochi giorni dal cinquantesimo anniversario della guerra del ’73. Israele ha risposto con l’assedio totale di Gaza, e il bilancio di vittime e ostaggi a pochi giorni dallo scoppio del conflitto è terribile.
“E’ una grande illusione pensare che un conflitto possa ‘spegnersi’ da solo, se non viene curato con l’azione diplomatica. Questo concetto rappresenta le fondamenta dei ‘conflict studies’, che anche a Ca’ Foscari stanno prendendo sempre più piede con il Master in Studi Strategici e Sicurezza Internazionale organizzato insieme alla Marina Militare e l’interesse dimostrato per questo ambito di studi da studentesse e studenti del PISE. La nostra forte tradizione di studi linguistici e letterari, infatti, si evolve verso discipline economiche e politiche, quelli che a livello internazionale sono conosciuti come 'language based area studies', per comprendere i cambiamenti della nostra epoca e le relazioni internazionali".
Professore, proviamo ad analizzare questa tragedia dal punto di vista delle relazioni internazionali. Quali conseguenze ci dobbiamo attendere nello scenario Mediorientale?
Hamas intende rallentare, se non sabotare, l’avvicinamento tra l’Arabia Saudita e Israele. Dubito fortemente che raggiungerà l’obiettivo. Questa mossa va comunque vista nel contesto di una marginalizzazione della questione palestinese nelle relazioni internazionali del Medioriente, che è di lunga durata. Già dagli anni ’70, in seguito alla pace tra Israele e l’Egitto e al deterrente nucleare a disposizione di Israele, era naufragata l’idea che vi fosse una soluzione militare al conflitto che favorisse i Palestinesi.
Un altro passo importante da considerare nella relazione tra Arabi e israeliani è la Rivoluzione islamica del ‘79 e la guerra tra Iran ed Iraq, quando, con la costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran, l'Iraq e le monarchie arabe del Golfo hanno avuto come priorità il confronto con questa potenza irredentista, e la questione palestinese è passata in secondo piano nella politica regionale araba. L’Iran mantiene la sua centralità, e ha recentemente favorito gli “Accordi di Abramo”, una serie di accordi diplomatici firmati da Israele con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan, con la mediazione dell’Amministrazione Trump.
Qual è la posizione delle grandi potenze mondiali?
Per Russia e Stati Uniti questo conflitto pone molte sfide. La Federazione Russa ha buoni rapporti con Israele, ma è impegnata in una guerra di aggressione in Europa, che per ora non ha vinto, e questo dal suo punto di vista è già una sconfitta. Il conflitto con l’Ucraina complica la sua azione diplomatica ed il suo ruolo militare in Medioriente.
Gli USA hanno investito molto sul portare a compimento un accordo tra Arabia Saudita e Israele, che l’amministrazione Biden vedrebbe come un successo, e che adesso rischia di arrivare più tardi del previsto. Inoltre, vi potrebbero essere difficoltà nel fornire immediatamente un aiuto militare ad Israele ancora più generoso del consueto, dato che sono già coinvolti nel sostegno militare all’Ucraina
La Cina mantiene in Medioriente una politica estera molto astuta. Non ha mai cercato una presenza fisica sul territorio con la creazione di basi militari, e questo la libera dal dover prendere una posizione su ciascuna disputa regionale, ma sta collezionando una serie di successi diplomatici mediando iniziative quali la riapertura dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita.
E l'Unione Europea?
L’Europa ha reagito in maniera meno compatta rispetto all’aggressione della Federazione Russa all’ Ucraina e ha dimostrato la difficoltà di mantenere una posizione comune. Dal punto di vista umanitario, l’Unione Europea è la maggiore fornitrice di aiuti ai rifugiati palestinesi a Gaza. Al momento dello scoppio del conflitto, il commissario europeo Várhely ha annunciato la sospensione totale dei fondi ai palestinesi. Poco dopo ha dovuto rettificare la dichiarazione sulla spinta di alcuni Paesi membri: L’UE continuerà a sostenere i civili Palestinesi nella striscia di Gaza, ma presterà la massima attenzione per non rischiare di foraggiare le imprese militari di Hamas, anche in questo caso sono venute a galla le diverse sensibilità dei vari paesi della UE.
Quali scenari futuri vede possibili?
Una possibilità è che il conflitto per Israele si allarghi su due fronti, coinvolgendo il Libano e diventando anche una guerra tra Hezbollah e Israele. Non ritengo probabile questa possibilità, per il costo enorme che pagherebbe la popolazione civile libanese e, in prospettiva, anche la Siria.
L’altra opzione è che si arrivi a una severa risposta israeliana ad Hamas, con terribili ulteriori conseguenze umanitarie per chi vive a Gaza. In questo caso il conflitto resterebbe più limitato, ma Israele, in caso di invasione, si ritroverebbe ad occupare militarmente la striscia di Gaza, dalla quale le sue truppe si erano ritirate nel 2005.
Quello che è certo, dato il bilancio pesantissimo degli scontri e la questione molto spinosa degli ostaggi, è che sta franando per Israele l’idea di poter trovare con Hamas una sorta di 'quieto vivere', una soluzione di tacito accordo che garantisca una tregua se non la pace . Hamas, d’altra parte, è nata proprio con lo scopo di far fallire qualsiasi accordo di pace tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. L’abitudine maturata da Israele a cercare di ‘gestire il conflitto' con Hamas ora verrà superata.
Questo rafforza la convinzione che non si può subappaltare alle forze armate la risoluzione di problemi politici.