Scavi di Ca' Foscari rivelano le condizioni di vita dei primi jesolani

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Indagare le vestigia del passato attraverso l’archeologia ci può portare a scoprire non solo preziosi manufatti, edifici sepolti, oggetti che ci aiutano a ricostruire la vita quotidiana, ma anche ci può aprire una finestra di conoscenza su quali fossero le condizioni di vita e le patologie di cui soffrivano i nostri antenati, per poi magari trarre conclusioni utili anche in epoca moderna.

E’ questo il caso di uno scheletro molto particolare, affetto da una grave e rara patologia chiamata osteocondromi multipli, rinvenuto nel cimitero altomedievale del Monastero di San Mauro a Jesolo. Gli esiti dei nuovi scavi eseguiti nel sito delle "Antiche Mura" sono stati presentati a Jesolo. Gli archeologi e le archeologhe del Dipartimento di Studi Umanistici di Ca' Foscari, coordinati dal professor Sauro Gelichi, hanno scavato 136 tombe, portando alla luce contesti archeologici che ora racconteranno gli stili di vita dei primi jesolani.

“Anche con lo scavo di quest’anno - sottolinea il prof. Sauro Gelichi, direttore dello scavo – prosegue la nostra ricerca sull’area cimiteriale collegata alla chiesa di San Mauro. Si tratta di un lavoro certosino, che presuppone un notevole impegno di risorse sul campo e in laboratorio. Ma solo attraverso questo tipo di indagini si riesce a far crescere in qualità la ricerca scientifica, anche in campo archeologico. Le scoperte sensazionali non mancano (si veda ad esempio il primo caso di osteocondromi multipli, una rara malattia, finora conosciuto in scavo), ma l’eccezionalità dell’esempio jesolano si qualifica anche per l’interdisciplinarietà dell’approccio e l’interazione con i più avanzati strumenti nella diagnostica archeologica (dallo studio del DNA a quello sugli isotopi). Per parte nostra riteniamo che le nuove narrazioni che l’archeologia sta facendo emergere dal sottosuolo dell’antica Equilo, dovranno trovare opportuna destinazione in un progetto di condivisione pubblica. Il nostro impegno è quello di ricambiare la Comunità di Jesolo e la sua Amministrazione, che hanno sempre creduto e supportato questo progetto, attraverso la qualità del nostro lavoro e l’impegno a collaborare alla sua divulgazione”.

Lo scheletro ritrovato presenta il più grave caso di osteocondromi multipli mai registrato nella documentazione paleopatologica internazionale ed è il primo reperto proveniente da un contesto archeologico italiano. Gli osteocondromi multipli sono una patologia su base genetica della cartilagine di accrescimento. Nessun caso finora registrato presenta un numero così elevato di osteocondromi e condrosarcomi, cioè l’evoluzione maligna della patologia.

Inoltre, l’individuo in corso di studio, un maschio di oltre 40 anni, ha sviluppato tutte le possibili caratteristiche della patologia, come lo sviluppo di una serie di deformità ortopediche, che includono bassa statura decisamente sproporzionata rispetto alla statura media maschile di riferimento, disuguaglianza della lunghezza delle ossa, deformità dell'avambraccio, ecc.

Questo caso è utile per comprendere la naturale dinamica clinica in un periodo in cui questo tipo di patologie non era soggetta a pratiche mediche o chirurgiche come oggi. Inoltre è particolarmente interessante la lunga sopravvivenza di una persona con disabilità in un contesto medievale e la possibilità che proprio l’evoluzione nella sua forma maligna possa essere considerata causa di morte. La prosecuzione degli scavi potrebbe permettere di rinvenire altri casi dal momento che l’osteocondroma multiplo è una condizione genetica che viene tramandata al 50% dei figli.

È evidente che è sempre più utile registrare le manifestazioni patologiche dell'antichità, quando le malattie progredivano senza alcuna soluzione medica moderna. Negli ultimi anni, i casi paleopatologici provenienti da contesti antichi vengono sempre più spesso presi in considerazione per ricostruire la storia clinica di varie malattie, soprattutto quelle congenite, la cui eredità è talvolta ancora presente nei geni delle popolazioni attuali. Presto il caso sarà pubblicato su una rivista internazionale di paleopatologia.

I numerosi rinvenimenti del sito di San Mauro offrono inoltre diversi filoni di studio utili per delineare le caratteristiche biologiche della comunità umana presente nel sito e le sue dinamiche demografiche.

Un punto focale della ricerca è l’alta mortalità nei primi anni di vita. Un test demografico applicato al campione in esame rivela una comunità in condizioni di salute decisamente precarie e basse aspettative di vita. Sebbene la mortalità infantile possa essere considerata in linea con ciò che ci si aspetta dalle comunità antiche, lo studio paleopatologico ha rivelato evidenti tracce di anemia, in altissime percentuali. L’analisi di alcune caratteristiche generali correlate alla presenza di casi di “cranio a spazzola” fanno ipotizzare la presenza di anemia mediterranea nella comunità umana di San Mauro.

I presupposti da cui dipendono trend di mortalità, patologie e condizioni di vita, oltre alla destinazione d’uso del sito e il ruolo dei singoli individui nella comunità, sono soprattutto le condizioni ambientali.

Sebbene sicuramente presente, sia per la diffusione della zanzara anofele del litorale, sia per la presenza di importanti vie consolari di transito, la malaria, nel territorio veneto lagunare, si mantenne a livelli di bassa endemia fino al declino dell’Impero Romano, grazie a tutta una serie di lavori di bonifica idraulica. La zona in cui è ubicato il sito di San Mauro, tra alto e basso medioevo, sarà stata certamente infestata dalla malaria. La talassemia, in tutte le sue forme, è una naturale risposta evolutiva delle comunità umane che convivono con la zanzara del genere Anopheles, la quale diffonde il Plasmodio, causa della malaria.

Per la prima volta lo studio antropologico e paleopatologico di una comunità veneta medievale mette in risalto un fenomeno che, testimoniando la complessa relazione tra uomo e ambiente, rivela una storia di resilienza.

Le analisi isotopiche effettuate su un campione scelto in modo da rappresentare tutte le classi d’età e di genere, dimostrano che le condizioni di anemia non dipendono dall’alimentazione; infatti, non ci sono differenze della dieta tra anemici e non anemici, rafforzando l’ipotesi dell’emoglobinopatia congenita (b-talassemia). Dal punto di vista della dieta, inoltre, non ci sono differenze tra adulti e minori, ad eccezione degli individui non ancora divezzati, nè tra maschi e femmine.

La grande novità è costituita dal cambiamento della dieta tra alto e basso medioevo, si passa infatti da una comunità più antica con una dieta di sostentamento, basata per lo più sui prodotti marini, ad una con una dieta più varia e arricchita con prodotti provenienti dall’entroterra. Questo testimonia forse una maggiore mobilità degli individui, ma soprattutto una più attiva rete di scambi con l’entroterra, dunque un cambiamento socio economico di grande importanza per l’intera area lagunare.

Federica Ferrarin