DomEQUAL: condizioni e lotte delle lavoratrici domestiche nel mondo

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© Bharat Patel - Flickr ILO Asia-Pacific
© Bharat Patel - Flickr ILO Asia-Pacific

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) nel mondo ci sono quasi 70 milioni di persone che lavorano nel settore domestico. L’80% di queste sono donne, e le battaglie per il riconoscimento dei diritti sono iniziate da appena vent’anni. Nonostante l’impegno costante di attiviste/i e sindacaliste/i che si sono spesi per il riconoscimento dei diritti in questo settore, e i progressi raggiunti – come la convenzione n.189 sul lavoro domestico dignitoso emessa proprio dall’ILO nel 2011 – c’è ancora molto da fare affinché una delle forze lavoro più invisibili al mondo venga adeguatamente valorizzata.

Questo tipo di lavoro è spesso “informale”, non riconosciuto in quanto lavoro e quindi senza diritti, e nel mondo viene ancora ampiamente sfruttato, coinvolgendo categorie svantaggiate. Le lavoratrici domestiche si occupano della casa, dei bambini, degli anziani e spesso si trasferiscono da una famiglia all’altra, e non di rado non hanno quasi spazio per una propria vita. Durante la pandemia di Covid 19 sono state tra le categorie più duramente colpite sul piano lavorativo e privato.

È un settore occupazionale particolarmente importante nel Sud del mondo, dove impiega donne appartenenti ai gruppi sociali più vulnerabili: migranti, poco istruite, discriminate per razza, e perché di bassa casta. La fragilità lavorativa si somma quindi ad altre dimensioni di discriminazione accrescendo la diseguaglianza intersezionale. In questa posizione di svantaggio risulta difficile alle lavoratrici organizzarsi per avere una voce politica collettiva. 

‘DomEQUAL: A Global Approach to Paid Domestic Work and Global Inequalities’ (2016–21), è un progetto condotto dalla sociologa di Ca’ Foscari Sabrina Marchetti, insieme a Daniela Cherubini, Giulia Garofalo Geymonat e Anna Di Bartolomeo, finanziato da uno Starting Grant del Consiglio europeo della ricerca. Il team di DomEQUAL ha analizzato le condizioni e le lotte delle lavoratrici domestiche in nove paesi e tre continenti. In Asia: India, Filippine e Taiwan; in Sud America: Colombia, Ecuador e Brasile; in Europa: Spagna, Italia e Germania.

I risultati sono raccolti nella pubblicazione open access di Bristol University Press Global Domestic Workers: Intersectional Inequalities and Struggles for Rights e nella playlist di youtube Domestic Workers: Intersectionality in Action - Web Doc Series, che contiene 6 brevi documentari web basati su interviste in cui attiviste di tutti i Paesi analizzati affrontano diversi temi della loro lotta.

“L’obiettivo di DomEQUAL – ci ha spiegato la prof.ssa Marchetti - è quello di aiutare a capire la trasformazione multilivello che ha visto il lavoro domestico diventare oggetto di governance, conflitto e negoziazione, innescando processi di soggettivazione politica e organizzazione collettiva da parte di una categoria di lavoratrici convenzionalmente considerati come 'non organizzabile'.  Nel nostro approccio, le lotte per i diritti delle lavoratrici domestiche presentano un caso utile per esplorare la questione di come le disuguaglianze intersezionali si trasformino in un contesto globale. Alcuni dei temi che emergono possono quindi contribuire a una migliore comprensione delle lotte organizzate non solo delle lavoratrici domestiche ma anche di altri gruppi emarginati a livello globale”.

Le ricercatrici hanno considerato l’apparente divario tra diritti globali e pratiche locali. A Taiwan, in India e Spagna, per esempio, le lavoratrici domestiche hanno l’appoggio di organismi internazionali ma manca il supporto da parte del governo. I loro diritti sono osteggiati non solo dagli interessi dei datori di lavoro ma anche dai partiti conservatori che dominano i parlamenti e da intermediari quali agenzie, i cui interessi privati sono favoriti dallo status quo. Le lavoratrici domestiche sono percepite come soggetti minoritari (persone di casta inferiore in India; migranti a Taiwan e in Spagna) i cui interessi non sembrano essere condivisi dalla società nel suo insieme.

In Italia e in Germania c’è un’aderenza formale alla Convenzione ILO 189 dal punto di vista legislativo ma manca un attuazione concreta dei suoi principi. Inoltre, i movimenti sociali non sono particolarmente attivi su questo fronte e anche qui il lavoro domestico viene considerato principalmente come un problema di lavoratrici straniere (spesso senza permesso di soggiorno), dunque di poco interesse per la maggioranza.

Un altro tema di ricerca è stato analizzare come le politiche intersezionali possano essere messe in pratica da gruppi che sono marginalizzati a molteplici livelli. Nel caso del lavoro domestico, le attiviste hanno attribuito una diversa importanza politica a fattori come il genere, la classe, l’etnia, la casta, lo status di migrante etc. Questo approccio varia non solo a seconda dei contesti nazionali o tra le diverse organizzazioni, ma anche nella stessa organizzazione in relazione ad aspetti diversi della propria attività o nel tempo. Ne risulta che la funzione dei gruppi organizzati per i diritti delle lavoratrici domestiche trascende la dimensione unica della lotta per i diritti lavorativi e si estende a problematiche più ampie: il genere, identità e l’autostima, la migrazione, l’anti-razzismo, l’accesso all’istruzione, l’appartenenza politica, l’indipendenza economica, la salute, la sessualità e il benessere personale e familiare.

In Colombia, per esempio, il movimento delle lavoratrici domestiche afro-colombiane si definisce come basato sull’etnia e fonda le proprie istanze su un discorso intersezionale, considerando il lavoro domestico come condizionato dal genere, dalla classe sociale e dall’etnia

Le attiviste brasiliane hanno ‘recuperato’ l'eredità del movimento antirazzista nazionale, facendo leva in particolare su una tradizione di movimenti contro la schiavitù, l'oppressione delle donne e dei neri. In Ecuador invece, le discriminazioni razziali sono considerate esclusivamente un elemento aggiuntivo rispetto alla questione di genere e di classe, ma non una caratteristica intrinseca delle lavoratrici domestiche.

Le ricercatrici hanno poi considerato il ruolo che hanno le organizzazioni femministe e per i diritti delle donne nella lotta per i diritti delle lavoratrici domestiche marginalizzate a molteplici livelli. Queste associazioni vengono spesso percepite come distanti dalle attiviste per i diritti delle lavoratrici domestiche, seppur non in opposizione, anche se questo può cambiare a seconda delle caratteristiche specifiche del movimento femminista in ogni singolo contesto. Al contempo, spesso succede che singole attiviste femministe e per i diritti delle donne, in particolare avvocate, attiviste di ONG o politiche, promuovano individualmente la causa del lavoro domestico.

DomEQUAL parte dal lavoro domestico, ma ci offre una prospettiva più ampia sui diritti. Ne emerge tra le altre cose una critica alla miopia di guardare alle lotte sociali attraverso una prospettiva “categoriale”, che separa i movimenti per i diritti delle donne, per esempio, da quelli basati sulla classe e da quelli antirazzisti. Se l’esperienza di oppressione e discriminazione è multidimensionale non si può tentare di risolverla attraverso una prospettiva che riguardi uno solo dei suoi aspetti. E tuttavia anche la configurazione dell’approccio multidimensionale cambia da contesto a contesto.

Federica Scotellaro