Il potenziamento degli asili nido al Sud con il PNRR: opportunità e rischi

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Foto di Marjonhorn su Pixabay

Dove c’è un alto tasso di occupazione femminile nascono più figli. È quello che emerge da uno studio sulla denatalità e servizi educativi per l’infanzia condotto da un team di ricerca del Centro GSI  Governance & Social Innovation guidato da Stefano Campostrini, professore di Statistica Sociale presso il Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia.

Tasso di occupazione femminile, confronto regioni NUTS 2, Eurostat 2021

Nei Paesi in cui è facile conciliare carriera e famiglia, le donne non devono scegliere tra una o l’altra; nei Paesi in cui le due cose sono in conflitto, le donne sono costrette a scendere a compromessi, portando sia ad un minor numero di nascite, che ad un minor numero di donne occupate. Il primo caso è quello dei paesi scandinavi e di alcuni paesi dell'Europa centrale, come la Francia e più recentemente la Germania, che  hanno investito su politiche per le natalità e per la conciliazione tra vita e le lavoro delle giovani madri e in cui a fianco a tassi di occupazione femminile tra i più alti al mondo, anche i tassi di fecondità risultano sopra la media europea o, come nel caso della Germania, in ascesa. Grecia, Spagna e Italia invece appartengono al secondo gruppo di paesi quelli in cui accanto ad una relativamente bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro anche i nati per donna in età fertile risultano tra i più bassi d'Europa (e del mondo).

Secondo Istat il tasso di occupazione femminile medio del 2022 supera di poco il 50%: in Italia lavora una donna su due. La situazione non è omogenea, anzi sono aumentati fortemente dopo la crisi pandemica i divari territoriali tra Nord e Centro da un lato e Sud e isole dall’altro. Tante sono le politiche che vanno attivate per sanare questa situazione, tra queste rientrano alcune azioni PNRR.

La missione 4 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che prevede il rafforzamento del sistema di istruzione, parte dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema, come le carenze strutturali di servizi educativi per l'infanzia che, assieme ad una iniqua ripartizione dei carichi di lavoro familiare, condizionano negativamente l’occupazione femminile. 

I finanziamenti per il potenziamento dei servizi educativi per l’infanzia offerti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono stati analizzati nel dettaglio in un altro studio sempre guidato dal professor Campostrini.

Il lavoro di analisi, pubblicato sulla rivista di settore Bambini, è parte delle attività che il Centro di ricerca cura all’interno di un accordo di collaborazione tra Istat, Università Ca’ Foscari Venezia e il Dipartimento di Politiche per la Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e ha utilizzato i dati messi a disposizione dal Ministero dell’Istruzione relativamente all’ammontare finanziario assegnato a ciascun intervento.

Da questa analisi - ci racconta Campostrini- emerge che i territori con una copertura di servizi bassa, prevalentemente al Sud, assorbono la quota maggiore del finanziamento complessivo del MIUR e un numero importante di Comuni affronterà per la prima volta una spesa collegata alla presenza di un servizio educativo per l’infanzia pubblico, in particolare in Calabria e Campania.

Confronto tra tassi di copertura dei servizi educativi per l’infanzia e finanziamenti pro capite per interventi di potenziamento dell’offerta educativa (0-2), analisi per Ambito Territoriale Sociale. (Fonte: Centro GSI, elaborazione da dati Istat, 2020 (a sinistra); elaborazione da dati MIM - PNRR (a destra)

 

Ma andiamo con ordine. Come si è sviluppato lo studio?

Lo studio si è focalizzato sull’impatto della distribuzione dei finanziamenti previsti dal PNRR per il potenziamento dei servizi educativi per l’infanzia (fascia 0-2 anni) sul riequilibrio dell’offerta di questi servizi nei territori italiani.

Abbiamo analizzato in primo luogo la distribuzione dei finanziamenti approvati dal Ministero dell’Istruzione e successivamente i dati Istat sull’offerta a livello territoriale per capire come si sono distribuiti geograficamente, anche in base ai diversi livelli di offerta attualmente esistenti.

Il rapporto tra posti disponibili negli asili nido e il numero di bambini e bambine di età compresa tra 0 e 2 anni nel nostro Paese è in media al 28% ovvero 5 punti percentuali al di sotto dell’obiettivo europeo del 33%. Ma la media italiana non tiene conto di rilevanti difformità esistenti sia da Regione a Regione, sia tra aree periferiche e centri urbani all’interno della stessa Regione. 

Il Nord-Est e il Centro Italia hanno una copertura sopra il target europeo (rispettivamente 36,2% e 36,7%); il Nord-Ovest vicino all’obiettivo (31,5%); mentre il Sud (16%) e le Isole (16,6%) risultano ancora distanti dall’obiettivo. A livello regionale i valori di copertura più alti si registrano in Valle D’Aosta (41,1%), seguita da diverse regioni del Centro-Nord, tutte sopra il target europeo. Sul versante opposto Campania (11,7%), Sicilia (13%) e Calabria (14,6%) registrano i dati più bassi.

 

Un divario Nord e Sud fortissimo. Ma anche centro-periferia. Ci sono qui in Veneto dati rappresentativi di questa dicotomia?

In molte aree venete ‘metropolitane’ siamo sopra l’obiettivo europeo del 33% (33 posti in servizi per l’infanzia ogni 100 bambini) mentre in altre siamo ben sotto l’obiettivo, come nelle aree montane o nella fascia meridionale della regione.

Il Veneto ha attivato 102 progetti PNRR sulla linea di investimento relativa agli asili nido per un totale di 142 Mln di euro.

Tasso di copertura Servizi educativi infanzia Posti autorizzati per servizi educativi infanzia ogni 100 residenti tra i 0 e 2 anni Asilo nido, Sezione Primavera e i servizi integrativi sia a titolarità pubblica che privata. - Istat, 2020

 

Il PNRR parla di una apparente domanda ridotta nelle Regioni in cui i servizi per la fascia 0-2 sono praticamente inesistenti. A suo avviso è davvero così o è ancora forte la tendenza a delegare in molte aree la cura alle donne o ai parenti prossimi? 

Secondo un’indagine dell’INAPP, l'Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, per le famiglie che non possono farsi carico di tutti gli impegni di cura dei figli, i nonni sembrano essere l’alternativa più utilizzata (58%). Si tratta di un’opzione economicamente vantaggiosa e in generale flessibile. La risorsa principale del “welfare-fai-da-te” è soprattutto utilizzata nel Mezzogiorno (63%). Sicuramente l’aspetto economico è fondamentale e va tenuto ben presente a livello di gestione da parte degli enti locali.

Ma io reputo che sia da interrompere un circolo vizioso che si è innestato. In molte zone non esiste domanda perché non c’è mai stata offerta e questo crea situazioni in cui donne o fasce di popolazione restano caregiver perenni (prima per i figli, poi per gli anziani e per i nipoti). Per spezzare questo meccanismo si potrebbe partire dall’ampliare l’offerta di servizi educativi che può generare la domanda, unita a un lavoro di sensibilizzazione a livello degli enti locali, sia degli amministratori, che dei cittadini. 

 

Quello del PNRR è un investimento senza precedenti, sicuramente un ottimo segnale, ma quali sono le criticità sottese?

Più di 1850 progetti per asili nido verranno finanziati in Italia con le risorse europee Next Generation EU legate al PNRR, un investimento senza precedenti, pari a 2,4 miliardi di euro. Un’occasione unica per riequilibrare i livelli di offerta tra i territori italiani e dare a tutte le famiglie pari opportunità di accesso ai servizi educativi per l’infanzia. 

Sono 584 i comuni italiani  che fino al 2020 non dichiaravano alcuna spesa per i nidi che riceveranno finanziamenti dal PNRR. Ma un numero non trascurabile di Comuni, sebbene completamente sprovvisti di servizi educativi per la prima infanzia o con livelli di copertura molto bassi, non ha partecipato al bando. Sicuramente su questa scelta ha influito la dimensione demografica: in questi casi bisognerebbe lavorare più in un’ottica di gestione integrata. Penso a soluzioni come gli Ambiti Territoriali Sociali (ATS) aggregazioni tra Comuni che individuano bacini territoriali appropriati per la programmazione dei servizi sociali. La capacità dei territori di gestire i servizi in maniera associata tramite gli ATS si è rivelata un fattore di successo nell’intercettare quote maggiori di finanziamenti e potrà esserlo ancora di più in prospettiva, nella realizzazione e gestione dei progetti finanziati. Altra questione da affrontare sono gli interventi di sostegno alle famiglie per l’utilizzo dei servizi.

A fronte dell’efficacia dell’investimento pubblico sul potenziamento strutturale dei servizi è necessario prevedere nella gestione ordinaria delle tariffe compatibili con la capacità di spesa media delle famiglie residenti. In Italia, che da anni vive una forte diminuzione della natalità e in cui il costo medio per la crescita dei figli incide pesantemente sui redditi familiari, la presenza di una tariffa di accesso al nido troppo onerosa può rappresentare una rilevante barriera all’utilizzo del servizio.

La sfida si sposta quindi sulla capacità di realizzazione delle opere e sugli oneri di gestione dei nuovi servizi per gli enti locali. Se i fondi strutturali stanziati daranno luogo al potenziamento auspicato delle strutture educative, le spese per il funzionamento dei nuovi servizi saranno ben superiori ai finanziamenti statali. Sarà una sfida decisamente rilevante  in particolare per i numerosi Comuni che si trovano a fare i conti già con criticità finanziarie pregresse proprio nelle regioni maggiormente favorite da questi finanziamenti e che presentano attualmente una copertura di questi servizi ben inferiore agli obiettivi europei.

Con il potenziamento dei servizi per l’infanzia un cammino importante è stato intrapreso, però l’urgenza dei prossimi anni -l’invecchiamento inarrestabile della popolazione- ha necessità di politiche di contrasto ben coordinate. Ad un problema complesso non esiste una soluzione semplice; deve essere un insieme di politiche ben coordinate (ad. esempio fiscali o di incremento di servizi) a frenare il fenomeno della denatalità. 

 

I servizi educativi per l’infanzia in un’epoca di profondi cambiamenti

Il 5 settembre 2023 è stato pubblicato il Report I servizi educativi per l’infanzia in un’epoca di profondi cambiamenti, stato dell’arte, inclusività e qualità dell’offerta Zerotre.

Il report, risultato delle attività svolte nell’ambito dell’accordo di collaborazione siglato tra il Dipartimento per le Politiche della Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Istat e Università Ca’ Foscari Venezia, in materia di produzione, diffusione e analisi dei dati statistici sui servizi educativi per la prima infanzia, presenta i risultati relativi all’Indagine campionaria nazionale su nidi e sezioni primavera e una panoramica sul sistema di offerta dei servizi educativi da 0 a 5 anni, con particolare riferimento agli effetti della pandemia.

La ricerca ha interessato circa 3000 strutture campione in tutta Italia ed ha raccolto dati sulla domanda espressa da parte delle famiglie dei servizi, sulla capacità ricettiva e i tassi di occupazione dei posti disponibili, l’accessibilità in termini di inclusività dell’attuale offerta educativa, in particolare verso bambine e bambini con disabilità e stranieri, nonché rispetto al sistema tariffario e quindi verso le famiglie con diversi livelli di reddito ed infine sulla comunità educante, come una delle dimensioni relative alla qualità dell’offerta educativa per l’infanzia.

Sara Moscatelli