Minori richiedenti asilo in Italia, il punto con Iside Gjergji

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La questione dei rifugiati rappresenta uno dei temi centrali che l’Europa e l’Italia si trovano ad affrontare in questo periodo storico: secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), oltre 153.000 richiedenti asilo sono sbarcati sulle coste italiane solo nel 2015. Tra questi oltre 16.000 sono minori e ben 12.360 (pari all’8% del totale degli arrivi) risultano non accompagnati, molti dei quali fanno perdere le loro tracce pochi mesi dopo l’arrivo.

Si tratta di un’”emergenza nazionale”, che richiede “le attenzioni delle autorita e della società civile”, secondo Iside Gjergji, docente presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali di Ca’ Foscari e affermata scrittrice e blogger per numerose testate, tra cui il Fatto Quotidiano dove tiene un blog sui temi dell’immigrazione e dei diritti dei rifugiati. L’abbiamo intervistata in occasione del convegno che si terrà venerdì 18 novembre a partire dalle 9:15 all’Auditorium Santa Margherita, intitolato “Le condizioni dei minori richiedenti asilo”, durante il quale esperti nazionali e internazionali analizzeranno criticamente le condizioni sociali, legali, mediche e psicologiche dei minori richiedenti asilo e le risposte delle autorità in Italia e Germania.

La gestione della questione rifugiati è uno delle sfide più grandi che l’Europa si trova ad affrontare in questo periodo. Secondo lei, qual è il problema principale per l'Italia per quanto riguarda i minori migranti che cercano rifugio nel nostro Paese?

Non si può negare che la questione migratoria – al cui interno va collocata anche la “questione rifugiati” –  rappresenti una questione centrale e dirompente a livello globale (circa 250 milioni su una popolazione mondiale di 7,3 miliardi di persone; più di 65 milioni sono i rifugiati e richiedenti asilo). Così come non si può negare che questo fenomeno sociale non sia esattamente uno “sparo nel buio”, ovvero qualcosa di inaspettato e, di conseguenza, da affrontare con “misure emergenziali. […] A maggior ragione, ancora meno possiamo parlare di emergenza con riferimento ai minori richiedenti asilo: al 31 agosto 2016, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il numero di minori stranieri non accompagnati presenti in Italia (provenienti da Egitto, Eritrea, Somalia, Sudan) era pari a 13.862, di cui 6.110 risultavano irreperibili. Più di 6mila minori-fantasmi si aggirano in Italia: che fine hanno fatto questi minori? In quali lavori neri sono sfruttati? Che ne è della loro vita, della loro istruzione, del loro futuro? Come è possibile che 6mila minori si rendano irreperibili? Perché, infine, questi minori scappano dai luoghi di accoglienza? Cosa è che non va nell’accoglienza loro fornita?

Queste sono le primissime domande che si devono porre per iniziare a comprendere quanto sta accadendo con i minori non accompagnati e richiedenti asilo in Italia. Le questioni che le autorità italiane devono affrontare, urgentemente, al fine di rispettare i diritti fondamentali dei minori, in conformità con quanto stabilito dal diritto internazionale e nazionale, sono le questioni relative al modello di identificazione e al sistema di accoglienza. Sempre di più le ONG e le associazioni registrano il trattenimento illegittimo e ingiustificato di migliaia di minori negli Hotspot italiani, dove non di rado, come afferma Amnesty International nel suo ultimissimo report, sono sottoposti a soprusi, violenze e perfino torture per il rilevamento delle impronte digitali. Non mancano neanche i casi in cui vengono espulsi sulla base di decisioni arbitrarie (secondo il diritto nazionale e internazionale i minori stranieri non possono essere espulsi dal territorio nazionale).

Il sistema di accoglienza è ancora, in modo preponderante, improntato sull’emergenza, dove gli sforzi per l’inserimento sociale dei minori è pari a zero. I minori richiedenti asilo sono “parcheggiati” in questi centri – spesso costruiti lontani dai centri abitati – in attesa (che può durare anni)dell’esito della loro domanda di protezione, o semplicemente di essere sbattuti fuori una volta raggiunto il diciottesimo anno di età. I diritti dei minori stranieri sono diritti a tempo, hanno una scadenza. Sono un po’ come l’abito di Cenerentola: a mezzanotte semplicemente scompare, così avviene anche con i diritti dei minori stranieri non accompagnati quando raggiungono la maggiore età.

Le questioni da affrontare coinvolgerebbero, inoltre, anche il sistema scolastico e sanitario, dove maggiori devono essere gli sforzi per una vera inclusione sociali dei minori.

Secondo lei l'Italia riceve sufficiente sostegno da parte dell'Unione Europea per aiutare i minori che si trovano in questa condizione?

Si può partire da un dato: nessun minore straniero è stato inserito nel programma di ricollocazione dei richiedenti asilo in Europa, prevista dall’Agenda per l’Immigrazione e l’Asilo della Commissione europea, approvata nel maggio 2015, e rivelatasi sostanzialmente fallimentare anche per i richiedenti asilo adulti. Dunque, non vi sono aiuti concreti in questo senso. Non sono però mancati i finanziamenti da parte dell’Unione europea in materia d’asilo. Si tratta di capire se tali somme siano o meno adeguate. Non è inopportuno ricordare qui che, secondo i dati dell’ultimo Dossier Immigrazione 2016, i contributi fiscali degli immigrati in Italia superano di svariati miliardi – e da molti anni – la somma spesa dallo stato nei loro confronti. Occorre tenere conto anche di questi dati prima di affermare che “non ci sono i soldi” oppure che “l’accoglienza costa”.

Cosa si potrebbe fare per facilitare l’ingresso e l’accoglienza dei minori che raggiungono l’Italia?

Chi fugge da guerra e povertà, minori compresi, non ha la possibilità di chiedere visti di ingresso Schengen per raggiungere l’Europa prendendo comodamente un aereo. Mille ostacoli materiali (mancanza di denaro, guerra, impossibilità fisica di raggiungere le ambasciate europee) e amministrativi (i visti d’ingresso per essere rilasciati richiedono una infinità di requisiti da soddisfare, molto spesso di tipo economico) impediscono il loro arrivo in sicurezza. Per sopravvivere, allora, non resta che la strada dell’ingresso illegale attraverso il ricorso all’assistenza dei trafficanti. Entrare in Italia illegalmente non è una scelta, a questo punto, è qualcosa che viene loro oggettivamente imposta dalle politiche europee (e italiane) sui visti d’ingresso.

Alcune associazioni e organizzazioni sostengono da diversi mesi l’iniziativa per la creazione dei cosiddetti “corridoi umanitari”. E’ sempre una cosa positiva salvare delle vite umane e, pertanto, ben venga. Ciò che però risulta opaco in simili proposte sono i criteri di selezione delle persone da salvare attraverso tali “corridoi”. Non è chiaro chi decide, chi può essere incluso e sulla base di quali criteri avviene la separazione tra coloro che devono essere salvati e coloro che possono morire. Vi è, dunque, anche una questione etica molto grande da affrontare su questo punto.

Parlando dei rifugiati, l’ex sindaco di Campo dell’Elba Lorenzo Lambardi ha detto che "i governi locali sono chiamati a dare una mano allo Stato in un momento in cui non possiamo nemmeno dare servizi ai nostri cittadini": secondo lei mettere un tetto al numero di stranieri in cerca di rifugio in Italia aiuterebbe a superare questo problema?

I paesi europei hanno messo innumerevoli tetti all’arrivo degli stranieri negli ultimi venti-trenta anni. La politica dell’ “immigrazione zero” è una realtà da diversi decenni. E qual è stato il risultato concreto? Gli arrivi non solo non sono diminuiti, ma sono persino aumentati. L’unica differenza rispetto al passato è che ora sono diventati illegali, “clandestini”. Fatto, questo, che non è per nulla dispiaciuto a quelle imprese (anche mafiose) che negli anni hanno potuto approfittare di una manodopera a bassissimo costo e particolarmente ricattabile, a causa della condizione di illegalità giuridica. Quando le motivazioni della partenza sono legate alla sopravvivenza non esistono tetti che possano fermare l’arrivo delle persone.

C’è la sensazione diffusa che gli equilibri mondiali potrebbero cambiare dopo il risultato delle elezioni americane. Ritiene che il successo di Donald Trump potrebbe incoraggiare i movimenti xenofobi anche in Italia, rendendo così lo sforzo di aiutare i migranti ancora più difficile?

Occorre guardare con allarme alla crescita dei movimenti xenofobi e razzisti, ovunque essi nascano o si potenzino, negli Stati Uniti come in Italia, che – bisogna dirlo senza paura – in fatto di razzismo ha davvero poche lezioni da prendere in giro per il mondo. Tuttavia, io credo che le migrazioni sono anche un formidabile fattore di trasformazione sociale: nel lavoro, nelle scuole, nei quartieri, nei luoghi pubblici, nei servizi, nei sindacati, nelle università, nella produzione artistica, nella vita affettiva, ecc. La presenza degli immigrati in tutti questi spazi della vita quotidiana può rappresentare una potenzialità unica e concreta per il superamento delle angustie e degli antagonismi nazionali.

Vivere, lavorare e studiare spalla a spalla con lavoratori e studenti venuti dai quattro angoli del globo è un’esperienza materiale e spirituale che abbatte la paura, che cambia le nostre facoltà cognitive, che può pertanto creare antidoti contro qualsiasi “virus” razzista e xenofobo.

L’Università Ca’ Foscari si pone da anni come avanguardia di quel movimento che si oppone alle derive razziste e xenofobe, contribuendo con il Master sull’Immigrazione (ormai alla sua sedicesima edizione), con i vari insegnamenti costituiti ad hoc su rifugiati e movimenti migratori, con innumerevoli convegni e seminari non solo allo studio e alla conoscenza di questi importanti fenomeni sociali, ma anche alla diffusione di una cultura della solidarietà e amicizia tra autoctoni e immigrati.

 

Sopra: foto di Mstyslav Chernov/Unframe (Own work) [CC BY-SA 4.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], via Wikimedia Commons