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La curiosità umana, la storia dell'arte, i progetti espositivi per Giuseppe Barbieri

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Incontriamo il prof. Giuseppe Barbieri per parlare di studio della storia dell'arte, di progetti espositivi, di produzioni culturali di ateneo e di….curiosità umana.

Partiamo dal titolo della sua prossima e “ultima” lezione: la curiosità umana che cos'è? È il motore di tutto? È l'impulso verso la conoscenza, verso l'esplorazione?

È la citazione da un’ultima lezione inconsapevole, tenuta dallo storico dell’arte austriaco Fritz Saxl, a lungo direttore del Warburg Institute di Londra, nel 1948: per Saxl era l’unica risposta possibile alla domanda “Why Art History?”, perché ci occupiamo di storia dell’arte? La penso come lui, l’ho sempre pensata come lui, e adesso è un’espressione efficace anche per un piccolo bilancio di quasi 50 anni di studio.

Lei fin dall'inizio ha promosso e seguito a Ca' Foscari lo sviluppo di progetti espositivi dell'ateneo. Ci può raccontare com'è nata questa idea e la storia del percorso che ha portato Ca' Foscari a essere un'università che si pone anche come organizzatrice di mostre, in un intreccio tra ricerca e produzione culturale?

È nata nella mente del rettore Ghetti, che da poco ci ha lasciato. Nasceva dal restauro di Ca’ Foscari e da una riflessione che l’ateneo deve aver sviluppato con Giorgio Bellavitis, prima ancora che io arrivassi. Quando ero qui da qualche anno (credo su suggerimento di Bianca Tagliapietra) il rettore mi convocò per dirmi che mi designava suo delegato agli spazi espositivi. Si aspettava un grazie, io gli risposi ponendo invece delle condizioni: dovevano essere occasioni vere per mostrare la ricerca, dovevano essere internazionali (e consentire di stabilire un network di relazioni di alto livello scientifico), dovevano essere una palestra per gli studenti avanzati, dovevano essere il luogo per sperimentare nuovi modelli di fruizione. Ghetti non se le aspettava e mostrò sorpresa, poi ci pensò e disse che andava bene, anche per lui una università non doveva essere un’agenzia che affitta degli spazi. Da allora abbiamo cercato (non solo io, beninteso) di mettere insieme ricerca, didattica innovativa, internazionalizzazione. Con alti e bassi, più alti che bassi, il bilancio è positivo… e all’epoca siamo stati il primo ateneo a farlo…

Che ricadute ha questo tipo di attività su un ateneo come il nostro, nell'ambito della didattica, della ricerca e della reputation?

Possono essere enormi, ed è avvenuto spesso, per fortuna. Bruce Nauman non avrebbe accettato la proposta del Museo di Philadelphia di esporre per la Biennale del 2009, dove vinse il Leone d’Oro, se non avesse avuto gli spazi che riteneva indispensabili di Ca’ Foscari. Abbiamo ospitato il Padiglione ufficiale del Portogallo per la Biennale di architettura dell’anno successivo, come in seguito artisti russi, cinesi, coreani, uzbeki, sempre contribuendo scientificamente ai loro progetti, attentamente valutati, con attività parallele, sperimentazioni multimediali, centinaia di mediatori culturali. Certo, è un patrimonio friabile, anche se dura da oltre 15 anni, bisognerà prestare impegno e attenzione anche in futuro, basta poco a dissiparlo…

Da "Nigra sum sed formosa" a "William Congdon a Venezia (1948-1960): uno sguardo americano", da "Sogno Realtà. Viktor Popkov (1932-1974)" a “Uzbekistan: l'Avanguardia nel deserto. La forma e il simbolo", quanta strada è stata fatta?

Molti colleghi purtroppo la ignorano, così come molti studenti non sufficientemente motivati a partecipare, a sperimentare che in una mostra si può tornare tante volte, gratuitamente, per dedicare alle opere d’arte un tempo meno striminzito di quello che attribuiamo loro di solito, infinitamente inferiore a quello che spendiamo sui social. Per molte prestigiose istituzioni museali internazionali (spendo solo due nomi, il Guggenheim e il MoMA di New York, ma sono molte di più) Ca’ Foscari Esposizioni è un laboratorio esemplare, e avanzato. Non è male per un ateneo che ha sempre investito poco nella storia dell’arte, che non ha più un dipartimento di storia dell’arte dal 2011, che non mi pare abbia organiche prospettive neppure per un futuro a breve e medio termine…

Cos'ha significato l'arte nella sua vita? E cos'ha significato lo studio e l'insegnamento della storia dell'arte?

Un impegno costante, un arricchimento quotidiano, che avrò anche più tempo per continuare. Ho cominciato a studiare storia dell’arte solo dopo la laurea, sono stato uno studente di storia tout court, sono per molti versi un autodidatta indisciplinare, con strumenti meno convenzionali e attenzioni non sempre prevedibili. Mi sono affaticato, ma anche divertito. Non ho intenzione di smettere, neppure dopo l’”ultima lezione”…

L'occasione speciale per salutare il professor Giuseppe Barbieri sarà la sua ultima lezione, dal titolo "La curiosità umana", momento conclusivo del suo percorso accademico, lunedì 29 settembre alle ore 10.30 in Aula Baratto.

Federica Ferrarin