Massimo Grigolin, Natixis Investment Banking

A cura di VSM Alumni, dicembre 2025

Un viaggio tra mercati finanziari e trasformazione digitale

Dopo la laurea in Economia Aziendale a Venezia, con una specializzazione statistico-quantitativa, Massimo Grigolin ha costruito una brillante carriera internazionale nei Capital Markets, sviluppata tra Italia, Francia e Regno Unito. La solida preparazione analitica maturata durante gli studi gli ha permesso di entrare nel mondo dell’investment banking con basi tecniche robuste e una forte attitudine quantitativa.
Dopo un primo passaggio nel retail banking, la scelta di proseguire con un MBA a Rotterdam gli ha aperto l’accesso a contesti globali e multiculturali, diventati nel tempo la cifra distintiva del suo percorso professionale.
In Natixis ha ricoperto ruoli che attraversano l’intero spettro dei mercati: dal credito ai tassi, dai derivati alle cartolarizzazioni, fino alla guida di team commerciali operanti in ambienti ad alta competitività. Attento osservatore dell’evoluzione del settore, ha seguito da vicino la trasformazione digitale dei markets e il ruolo crescente dell’intelligenza artificiale nelle attività operative e decisionali.
Oggi il suo sguardo strategico è rivolto al nuovo equilibrio tra banche tradizionali e fondi di private credit ed equity in un’Europa sempre più orientata alla disintermediazione, con particolare attenzione alle competenze interculturali e relazionali necessarie per guidare team globali in uno scenario in rapido cambiamento.

Come hanno contribuito i tuoi studi in Economia Aziendale a Venezia alla costruzione del tuo profilo professionale? Guardando indietro, quali competenze apprese all’università ti sono state davvero utili nel mondo dell’investment banking?
Devo dire che quando ho frequentato l’università, ho trovato un ambiente molto più teorico e meno collegato al mondo del lavoro rispetto ad oggi. Le competenze che venivano trasferite agli studenti erano più orientate a un arricchimento teorico piuttosto che a un utilizzo pratico. Detto questo, avendo scelto il percorso statistico-quantitativo, ho sviluppato solide basi di analisi statistica e quantitativa che poi ho potuto applicare direttamente nel mio lavoro in investment banking, nell’area markets, dove ci occupiamo di tassi di interesse, spread di credito, cambi, derivati e cartolarizzazioni. Queste competenze sono state fondamentali per cominciare il mio percorso.
Allo stesso tempo, il contesto competitivo dell’università – con sbarramenti d’ingresso, classi numerose e poche risorse a disposizione – mi ha insegnato a lavorare per obiettivi, a costruire un network efficace e a trovare metodi di apprendimento rapidi ed efficienti. Si tratta di skills che mi hanno aiutato molto nel passaggio al mondo professionale, in particolare quando mi sono spostato sulla parte commerciale e poi nella gestione dei team di sales.

Qual è stato per te il passaggio più sfidante tra università e ingresso nel mondo dell’investment banking? E come hai trasformato le conoscenze economico-aziendali in strumenti operativi concreti?
Il passaggio più sfidante è stato sicuramente uscire da una dinamica molto locale. Io ho studiato tra Padova e Venezia e all’epoca l’inglese era ancora percepito come marginale. Inserirmi in un contesto internazionale è stata la vera difficoltà. Dopo l’università ho fatto una breve esperienza nel banking retail, nel vecchio Credito Italiano di Padova, ma mi sono reso conto che la mia vera passione era l’investment banking e i mercati, non il retail.
Per colmare il gap e acquisire quella dimensione internazionale che mi mancava, ho deciso di fare un MBA a Rotterdam. Più che per le competenze tecniche – che in gran parte già avevo maturato all’università – è stata un’esperienza fondamentale per aprirmi a un ambiente globale e per sviluppare la capacità di muovermi in un contesto internazionale, che poi è diventata la chiave della mia carriera.

La digitalizzazione è oggi cruciale anche nel corporate banking. Tu come vivi il tema della trasformazione digitale in Natixis, e quali innovazioni hai visto impattare maggiormente l’efficienza operativa?
Il mondo dei markets è stato radicalmente trasformato dalla digitalizzazione. Quando ho iniziato, ogni operazione – cambi, tassi di interesse, corporate bonds – si faceva al telefono con il cliente: si parlava, si concordavano i termini e si concludeva la transazione. Oggi direi che il 90% di questo business viaggia su piattaforme elettroniche.
Questo ha cambiato profondamente il ruolo di chi lavora nelle vendite: la parte più standardizzata e a basso valore aggiunto passa dalla macchina, mentre la componente umana resta fondamentale per tutto ciò che richiede consulenza, relazione e capacità di interpretare il mercato. Quando la maggior parte dei volumi scambiati passa su piattaforme elettroniche, il ruolo del sales diventa essenziale per mantenere fiducia e dare contenuti alla relazione, così che il cliente si ricordi di te nei momenti chiave.
La seconda trasformazione riguarda l’intelligenza artificiale. Gestendo ogni giorno una mole enorme di dati e report, l’AI consente di estrarre in tempi rapidissimi le informazioni rilevanti, rendendo il lavoro molto più efficace. Per esempio, poter caricare documenti complessi e ottenere in pochi secondi le parti che ti servono è davvero un salto di qualità, e credo che il suo impatto diventerà sempre più centrale.

Guardando al futuro, quali tendenze emergenti ritieni stiano ridefinendo il corporate banking europeo? E in che modo, con il team di cui fai parte, vi state preparando?
Una delle tendenze più rilevanti che stanno ridefinendo il corporate banking europeo è la disintermediazione del sistema bancario. Sempre più soggetti non bancari, in particolare fondi di private credit e di private equity, riescono ad arrangiare rapidamente transazioni di dimensioni importanti senza bisogno di sindacazione tra più banche. Questo li rende estremamente efficaci nel rispondere a una domanda di finanziamento chiara e immediata, mettendo in difficoltà le banche tradizionali che devono passare attraverso processi più complessi, come i comitati di credito o la creazione di pool di investitori.
Il fenomeno si vede sia sul fronte corporate – con grandi operazioni finanziarie gestite da fondi – sia sul fronte retail, con piattaforme nate come peer-to-peer lending che poi, crescendo, accedono ai mercati dei capitali per avere la provvista necessaria.
La sfida per noi, come corporate e investment bank, è capire quale ruolo possiamo giocare in questo nuovo paradigma. Il nuovo obiettivo è come collaborare con i fondi di private credit o di private equity ed i vari no banking lenders. Con il nostro team stiamo lavorando per posizionarci proprio su questo, cercando di strutturare soluzioni su misura. È lì che possiamo ancora fare la differenza.

Oggi sei un manager affermato in un gruppo internazionale. Quali soft skills ritieni fondamentali per chi, partendo da una laurea in economia aziendale, vuole crescere in un contesto competitivo e multiculturale come quello di Natixis?
Per me la soft skill più importante in un contesto internazionale non è solo conoscere la lingua, ma saper capire e interpretare la cultura delle persone con cui lavori. Nel mio caso, lavorando in un gruppo francese molto radicato nel suo Paese ma con presenza globale, è stato fondamentale imparare a muovermi dentro le dinamiche tipiche di una banca francese senza dimenticare il contesto multiculturale in cui operiamo.
Ho passato diversi anni in Inghilterra sempre con Natixis, e lì ho sperimentato quanto sia cruciale la capacità di tradurre non soltanto la lingua, ma anche il modo di pensare e di lavorare: spiegare a un grande investitore anglosassone il funzionamento di una realtà francese, e viceversa. Sono due mondi molto diversi, e saper fare da ponte è una competenza determinante.
A questo aggiungo la capacità di lavorare per obiettivi e di non perdere mai di vista il risultato finale: che si tratti di una trattativa o di una relazione commerciale, avere chiaro l’obiettivo e saper adattare la comunicazione e lo stile di lavoro al contesto culturale fa davvero la differenza.

Che consiglio daresti a uno studente di VSM interessato a intraprendere una carriera in Investment Banking, specie nel contesto franco-italiano come il tuo?
Il mio consiglio è di fare al più presto un’esperienza concreta in una banca che fa seriamente investment banking. Non importa se all’inizio è a Milano, a Londra, a Parigi o a New York: l’importante è uscire dalla comfort zone e confrontarsi con un contesto reale e competitivo. A Milano, per esempio, si concentra la gran parte dell’attività di investment banking in Italia, ed è lì che bisogna misurarsi.
Non bisogna sentirsi inferiori rispetto agli studenti di Bocconi o Luiss: la preparazione di Ca’ Foscari è solida, ma è fondamentale costruirsi il network giusto, imparare a muoversi in un ambiente internazionale e capire che, oltre alle competenze tecniche, conta moltissimo la capacità di relazionarsi e cogliere le occasioni.
Guardare al modello anglosassone può essere utile: meno teoria e più casi concreti, contatto con le aziende, business case, networking. Insomma, non accontentarsi di un’esperienza comoda vicino a casa, ma puntare subito a un internship in una grande banca d’investimento. Sarà dura, magari ci si trova a vivere in una stanza piccola e con pochi soldi, ma quell’esperienza ti forma davvero e apre le porte alla carriera.


L’esperienza internazionale di Massimo Grigolin rappresenta un esempio concreto di come competenze tecniche, visione globale e capacità relazionali possano intrecciarsi per costruire un percorso di successo nei mercati finanziari. Il suo racconto offre una prospettiva preziosa su un settore in continua evoluzione, attraversato da trasformazioni profonde come la digitalizzazione dei processi, l’impatto crescente dell’intelligenza artificiale e l’ascesa dei fondi di private credit ed equity in un’Europa sempre più disintermediata.
Il suo percorso dimostra come una formazione solida, unita alla volontà di mettersi alla prova fuori dalla propria comfort zone, possa aprire opportunità professionali di grande valore. La sua storia ricorda l’importanza di coltivare una mentalità aperta, curiosa e orientata all’innovazione — elementi fondamentali per interpretare con successo un settore che continua a trasformarsi e a richiedere nuove competenze.