Matteo Fabbrini, Faba

A cura di VSM Alumni, ottobre 2025

Innovare per educare: il potere delle idee che fanno crescere

Matteo Fabbrini, laureato in Marketing e Gestione d’Impresa presso il Dipartimento di Management - oggi Venice School of Management - dell’Università Ca’ Foscari Venezia, è un imprenditore e innovatore che ha saputo trasformare la sua visione in successo. Nel 2007 ha fondato Exclama, azienda specializzata in oggettistica promozionale, e l’anno successivo ha creato Maikii, che si è distinta nel mercato delle chiavette USB e accessori personalizzato. Con Maikii, ha anche lanciato il brand Tribe, sviluppando collaborazioni con licenze internazionali come Star Wars, Marvel e Disney.
Nel 2019 dà vita a FABA, una startup che unisce educazione e intrattenimento per bambini e bambine, attraverso dispositivi audio senza schermo che stimolano l’apprendimento e la creatività. 
FABA ha riscosso fin da subito un enorme successo, registrando un fatturato di oltre 10 milioni di euro nel 2024 e ottenendo riconoscimenti internazionali come l’iF Design Award, simbolo di un equilibrio riuscito tra innovazione tecnologica e valori educativi.
Matteo è tornato in aula, a dialogare con le future generazioni di manager, partecipando al progetto Experior della Venice School of Management, un’iniziativa rivolta a studentesse e studenti dove il confronto tra mondo accademico e impresa diventa occasione concreta di apprendimento e ispirazione. Nel  caso di Matteo il progetto Experior è stato organizzato all'interno del corso “Integrated Marketing Communication: Digital and Physical Touchpoints” tenuto dalla prof.ssa Francesca Checchinato, dove il confronto tra mondo accademico e impresa diventa occasione concreta di apprendimento e ispirazione.

Guardando al tuo percorso, in che modo gli studi in Marketing a Ca’ Foscari hanno contribuito a formare il tuo approccio all’innovazione e all’imprenditorialità? C’è qualcosa che ancora oggi ti porti dietro da quell’esperienza?
L’esperienza a Ca’ Foscari ha rappresentato per me una tappa fondamentale, non solo a livello formativo ma anche umano. Arrivavo da un contesto imprenditoriale familiare, dove avevo respirato l’impresa fin da piccolo, ma l’università mi ha permesso di acquisire un linguaggio più strutturato, una visione analitica, e un approccio critico. Ricordo in particolare alcuni corsi che mi hanno aiutato a riflettere in modo strategico, a capire il valore della segmentazione, del posizionamento e del brand come asset intangibile.
Ma ciò che mi porto dietro più di ogni altra cosa è la capacità di ragionare in termini sistemici: saper collegare mercati, trend, comportamenti e dinamiche sociali. Questo è alla base di ogni innovazione vera. In un mondo che cambia così rapidamente, la curiosità e la capacità di leggere tra le righe – di cogliere segnali deboli – è diventata forse la mia risorsa più importante, e tutto è nato proprio lì, in aula, discutendo di casi, scenari e possibilità.

L’idea di FABA nasce per offrire ai bambini un’alternativa agli schermi, puntando su ascolto, gioco e immaginazione. Qual è stato il momento in cui hai capito che questo progetto poteva diventare una vera impresa?
Ci sono stati diversi momenti che hanno costruito questa consapevolezza. Il primo, senza dubbio, è stato vedere mia figlia – che all’epoca era appena nata – interagire con il prodotto con una naturalezza sorprendente. Non si trattava solo di un gioco, ma di un’esperienza che creava legame, coinvolgimento emotivo, e stimolava la sua curiosità. Poi sono arrivati i primi feedback dai genitori, che non si limitavano a complimenti generici, ma ci ringraziavano per aver dato ai loro figli un’alternativa concreta agli schermi.
Un altro punto di svolta è stato il confronto con il mercato: alle prime fiere abbiamo ricevuto un’attenzione che non ci aspettavamo. L’interesse non veniva solo dall’Italia, ma da Paesi diversi, il che ci ha fatto capire che stavamo toccando qualcosa di universale. Da lì è partita una riflessione più strutturata sul modello di business, sulla scalabilità e sul potenziale di crescita. Non è stato un “click” improvviso, ma una progressiva presa di coscienza che quell’intuizione iniziale poteva davvero trasformarsi in un’azienda vera e propria.

Creare un prodotto per l’infanzia richiede una grande cura nel design, nei contenuti e nei messaggi trasmessi. Come nasce un nuovo personaggio o una nuova storia in FABA, e quali criteri seguite per assicurarvi che sia in linea con i valori del brand?
In FABA ogni contenuto nasce da una riflessione profonda su cosa vogliamo che il bambino viva, impari e senta. Non partiamo mai da ciò che “vende”, ma da ciò che educa, ispira e stimola. La domanda che ci facciamo sempre è: quale valore stiamo offrendo al bambino con questa storia o personaggio? Ogni nuova uscita nasce da un lavoro di squadra che coinvolge figure molto diverse: educatori, psicologi, storyteller, illustratori, sound designer.
Una volta che l’idea prende forma, inizia un processo di validazione interno molto rigoroso: valutiamo il contenuto da più prospettive – educative, linguistiche, valoriali – anche grazie al nostro comitato di esperte dell’età evolutiva. L’obiettivo è creare un equilibrio tra intrattenimento e crescita. Per noi ogni prodotto deve riflettere i valori di FABA: inclusione, empatia, rispetto per la diversità e stimolo alla fantasia. I bambini sono esigenti, anche se non lo sanno ancora: captano l’autenticità, riconoscono i messaggi genuini. Per questo motivo, se un contenuto non trasmette qualcosa di vero e positivo, semplicemente non lo pubblichiamo.

Espandere un brand come FABA all’estero richiede visione strategica, adattamento culturale e solide competenze di marketing internazionale. C’è qualcosa che hai imparato durante gli studi in management a Ca’ Foscari che ti ha aiutato a gestire questa fase di crescita e internazionalizzazione?
Assolutamente sì. A Ca’ Foscari ho capito che l’internazionalizzazione non è una traduzione linguistica, ma una traduzione culturale. Ricordo molto bene quanto venisse sottolineata l’importanza di studiare il contesto locale, le abitudini di consumo, il valore simbolico dei prodotti nei diversi mercati. Questo approccio si è rivelato fondamentale nel momento in cui abbiamo deciso di portare FABA all’estero.
Ogni Paese ha una sensibilità diversa, soprattutto quando si parla di bambini e genitorialità. In alcuni mercati è centrale il valore educativo, in altri la dimensione del gioco. In certi contesti si cerca la tradizione, in altri l’innovazione. La lezione che mi porto dietro è quella dell’ascolto e dell’adattamento intelligente: mantenere il cuore italiano del brand, ma saper parlare con autenticità alle famiglie spagnole, francesi, belghe. E questo equilibrio tra identità e flessibilità è uno dei pilastri che ci ha permesso di crescere senza perdere coerenza.

Alla guida di un team in forte espansione, come costruisci una cultura aziendale solida? Quali valori cerchi di trasmettere ogni giorno alle persone che lavorano con te?
Costruire una cultura aziendale solida richiede tempo, coerenza e soprattutto esempio. Credo molto nel concetto di “leading by example”: non puoi chiedere responsabilità, creatività o spirito di squadra se non li vivi tu per primo. Cerco ogni giorno di trasmettere l’idea che in FABA ognuno è parte attiva di un progetto più grande, e che l’impatto di ciascuno ha un valore reale.
I valori su cui si fonda la nostra cultura sono pochi ma chiari: rispetto per l’infanzia (che significa cura per ogni dettaglio), fiducia reciproca, ascolto, e senso del perché. Non lavoriamo “per produrre oggetti”, ma per creare esperienze che aiutino i bambini a crescere meglio. E questo lo devono sentire tutti: dal marketing alla logistica. Nei momenti di maggiore crescita è facile disperdere l’identità, per questo lavoriamo molto anche sulla condivisione interna, sulle storie delle persone, sulla trasparenza e sull’inclusione. Una cultura non è uno slogan: è un’abitudine condivisa.

Che consiglio daresti ai giovani alumni e alumne di VSM che sognano di fondare una startup, soprattutto in ambiti complessi e competitivi come l’education o l’intrattenimento per l’infanzia?
Il mio consiglio principale è quello di partire da un bisogno reale e profondo. In ambiti come l’education o il mondo kids, non basta avere una buona idea: bisogna entrare in punta di piedi in un territorio delicato, dove si ha una grande responsabilità. Serve rispetto per l’utente finale – che è un bambino – ma anche per chi lo accompagna, cioè i genitori, gli educatori, gli insegnanti.
Poi serve molta umiltà: testare in piccolo, raccogliere feedback veri, sbagliare presto e spesso. Le metriche di successo qui non sono solo economiche: sono impatto, coinvolgimento, trasformazione. E soprattutto: non abbiate fretta. È un settore dove la fiducia si costruisce nel tempo. E infine: circondatevi di persone migliori di voi. Nessuno crea un’azienda da solo, e spesso le idee migliori nascono da un confronto aperto. Se si lavora con passione, visione e coerenza, anche nei settori più difficili si può costruire qualcosa di unico.

Il percorso di Matteo Fabbrini mostra come passione, curiosità e visione possano trasformare un’idea in un progetto capace di cambiare le regole del gioco. Il suo ritorno alla Venice School of Management attraverso il progetto Experior chiude simbolicamente un cerchio e ne apre un altro: quello del dialogo tra generazioni, dove chi ha costruito impresa con coraggio sceglie di condividere la propria esperienza per ispirare chi sta iniziando oggi a immaginare il proprio futuro.