Caterina Conte, KitchenAid
A cura di VSM Alumni, novembre 2025
Le strade del prodotto sono infinite
Dalle aule del campus di San Giobbe ai team internazionali di Safilo, Eastpak, Pandora, Reebok e oggi KitchenAid, il percorso di Caterina Conte è la storia di una professionista che ha saputo trasformare la sua formazione in management in una bussola per orientarsi tra mondi diversi, mantenendo sempre al centro la passione per il prodotto.
Ogni tappa della sua carriera racconta una crescita, un cambiamento e una nuova prospettiva. Dopo aver iniziato nel demand planning, Caterina ha capito che dietro ai numeri si nascondeva ciò che più la affascinava: la possibilità di creare valore attraverso il prodotto e di comprendere cosa guida davvero le scelte dei consumatori.
Dal mondo della moda e dello sportswear a quello del design, un filo rosso lega ogni passaggio: la curiosità per il prodotto, la capacità di leggere i numeri con una mente strategica e la volontà di imparare sempre qualcosa di nuovo. Cambiare settore, città o prospettiva può sembrare un rischio — ma per chi ama ciò che fa, è semplicemente un altro modo per crescere, evolvere e scoprire nuove possibilità.
Guardando indietro al tuo percorso, ai vari brand con cui hai lavorato, da Safilo a Eastpak, da Pandora a Reebok, e adesso KitchenAid, cosa ti ha fatto capire che il product/category management era la tua strada? È stata una scelta pianificata o un’intuizione maturata strada facendo?
È sicuramente stata un’intuizione maturata strada facendo, dopo le varie esperienze lavorative e formative che ho avuto l’opportunità di intraprendere. Ho iniziato (ufficialmente) il mio percorso lavorativo nel Demand Planning in Safilo, dove i numeri e la pianificazione giocavano un ruolo fondamentale. Qui il mio obiettivo principale principale era continuare a rimanere in qualche modo legata al mondo della moda e degli accessori, che mi aveva affascinato molto dopo la breve esperienza di stage che avevo fatto in Golden Goose, in precedenza, mentre scrivevo la tesi di laurea magistrale. L’esperienza nel team di demand planning in Safilo mi ha però permesso di capire realmente cosa volevo e non volevo fare, e quali sono i ruoli e i dipartimenti presenti all’interno di un’azienda. Questo secondo me è un punto molto importante che si ha la possibilità di approfondire solamente quando si approccia il mondo del lavoro, specialmente perchè ogni azienda è diversa e ha la propria struttura, e non tra i banchi dell’università.
Grazie all’esperienza avuta nel planning, ho capito che in realtà il prodotto era la mia vera passione, ma che i numeri (avendo una formazione di base economica) rimanevano comunque una parte che non volevo perdere nel mio lavoro, la parte più razionale. Questo mi ha permesso di spostarmi nel team di Product Merchandising quando mi trovavo in Eastpak (VF Corporation) ad Anversa, ruolo in cui la parte analitica incontra quella qualitativa e creativa, dandomi la possibilità di influenzare entrambe le parti.
In che modo la tua formazione in Management a Ca’ Foscari ha influenzato il tuo approccio al prodotto e al product merchandising/category management?
La mia esperienza di laurea magistrale in International Management presso Ca’ Foscari ha sicuramente contribuito nelle mie scelte professionali. Specialmente grazie ai progetti di gruppo che venivano svolti insieme ad alcune aziende locali. Durante quei progetti, ho avuto modo di iniziare a capire come fossero strutturati i brand e le aziende, e avere un’idea iniziale di cosa avrei voluto fare dopo l’università. In particolare, lavorare su progetti come sviluppare un business da zero, piuttosto che lanciare un nuovo prodotto sul mercato o espandere il proprio business, mi hanno aiutato a preparare la forma mentis che mi ha permesso di approcciare il mondo del lavoro in azienda con preparazione. La parte più pratica del corso, di workshop e collaborazione tra studenti e azienda, mi ha sicuramente ispirato e mi ha dato l’input giusto per proseguire poi dopo la laurea con le idee più chiare. Credo che questa sia la parte più significativa e che ancora oggi ricordo particolarmente del corso di Management.
Inoltre, il fatto di aver svolto il corso in lingua inglese, di essere immersa in un ambiente internazionale, mi ha spinta a voler fare un’esperienza lavorativa all’estero, in un ambiente internazionale come in VF Corporation per il brand Eastpak ad Anversa (Belgio). Questa è stata sicuramente una bellissima esperienza, sia a livello personale che professionale, che mi ha permesso di rientrare in Italia (anche se solo per qualche anno) con un bagaglio professionale sicuramente più ampio e con l’opportunità di intraprendere altre esperienze professionali, come per esempio per New Guards Group dove mi occupavo di Category Management per la linea premium di Reebok.
Ti sei recentemente spostata da Reebok a KitcheAid, cambiando non solo azienda, ma anche settore e città. Ogni cambio di rotta porta con sé nuove domande e nuove aspettative. Raccontaci le tue.
Dopo 8 anni di esperienza nel mondo del fashion/sportswear, ho sentito la necessità di cambiare industria. E dopo 3 anni, ho anche capito che Milano non rispecchia esattamente la mia città ideale e il mio stile di vita. Una delle ragioni che mi ha spinto a fare questo cambio di settore, è sicuramente dettata dall’andamento negativo che l’industria della moda e sportswear in generale hanno subito/stanno subendo negli ultimi anni. Perciò mi sono detta, perché non provare a cercare una nuova opportunità in un nuovo settore, che mi permetta di aprire altre porte, vedere e imparare cose nuove e di fare un investimento più a lungo termine?
Sicuramente per me ora l’aspettativa più grande è avere l’opportunità di imparare nuove cose e conoscere un mondo totalmente nuovo per me, come quello dei piccoli elettrodomestici. Un brand come KitchenAid, che fa parte del gruppo Whirlpool, è sicuramente un brand riconosciuto a livello globale nel settore degli elettrodomestici, del design e del food, una realtà solida, che ha visto anche durante il Covid un rapido incremento della domanda.
Inoltre, da anni ormai porto con me una passione personale legata al cibo, alla cucina e al mondo della pasticceria, quindi per me questa opportunità è un vero sogno. Entrare in una realtà solida e sana a livello di business può sicuramente garantire una crescita di soft e hard skills, dove l’azienda investe sulle persone, offrendo opportunità e sviluppando le loro capacità. Ovviamente, come tutti i cambiamenti comporta dei rischi, che però sento di potermi prendere al 100% per poter investire ancora una volta nel mio futuro. Alla fine nel fashion potrò sempre ritornarci se vorrò, come anche in Italia.
KitchenAid ha un heritage legato alla casa, alla tradizione, ma anche all’innovazione nel design. Come ti sei preparata ad affrontare un brand con un’identità così diversa rispetto allo sportswear di Reebok?
Sicuramente la mia passione per la cucina, che coltivo ormai da anni, ha aiutato molto. Nel senso che era da tempo che sentivo di voler fare qualcosa legato a questo settore, che resta comunque connesso al mondo del design, del brand e dell’innovazione, come lo è il mondo del footwear. Ho fatto leva sulle mie capacità di category manager che potessero essere rilevanti anche in questo settore, poiché alla fine si tratta sempre di prodotto e di come analizzare le esigenze dei consumatori, i trends, le performances, il business etc etc.
Alla fine le skills principali e necessarie per svolgere il ruolo di category manager sia nella moda che in altri settori come l’elettronica/food, sono molto simili, e quello che conta è la forma mentis, e la capacità di adattare le proprie capacità su categorie di prodotti diverse.
Sono convinta che nel lavoro ci voglia passione, specialmente quando si tratta di prodotto e di brand. A mio parere, se si lavora a stretto contatto col prodotto lo si deve anche amare, perciò credo che la mia passione personale sia emersa già in fase di colloquio e abbia dimostrato come questo possa renderti flessibile e in grado di adattarti a diversi prodotti e settori.
La conoscenza del brand e del prodotto, e del legame che si crea con esso (per esempio, avere sempre quell’occhio di riguardo sui competitors, piuttosto che far emergere il tuo interesse in quello che fai anche nel tuo tempo libero) ti permette di affrontare al meglio e con serenità nuove avventure e ambienti diversi.
Cosa porti con te da Reebok – a livello umano, professionale o strategico – che pensi possa fare la differenza nel tuo nuovo ruolo in KitchenAid?
L’esperienza in Reebok e a Milano come città è stata breve ma davvero molto, molto intensa, quindi sento che con me porterò un mix di cose. A livello umano sicuramente il fatto di aver collaborato specialmente con persone italiane, a differenza della mia esperienza precedente dove collaboravo con persone di più di 20 nazionalità diverse. Credo che lavorare in un ambiente internazionale sia un enorme plus, specialmente a livello umano, perchè ti rende più flessibile e ti dà l’opportunità di imparare differenti metodi lavorativi e diversi modi di pensare e interagire coi colleghi. Ma lavorare a Milano, nel fashion, credo sia un’esperienza unica, dove autenticità e passione entrano in gioco al 100%.
A livello professionale, entrare nel mondo delle sneakers in particolare, mi ha permesso di analizzare processi e dati in modo differente, con leadtimes più brevi e necessità di reagire ai cambiamenti e al trend del mercato in maniera più rapida. Sicuramente il mondo dei piccoli elettrodomestici ha meno dinamicità a livello di ciclicità di prodotti e di innovazione. E le tempistiche di produzione e lancio nel mercato sono sicuramente più lunghe. Perciò la mia attitudine ed esperienza a muovermi in ambienti frenetici, mi aiuterà sicuramente ad adeguarmi ad una nuova industria e ad entrare in tempi diciamo brevi nella mentalità di una nuova tipologia di prodotto e di settore. Questo aspetto credo farà in qualche modo la differenza, e mi darà l’occasione di entrare pienamente con la mente in un nuovo ambiente.
Che consiglio daresti agli studenti e studentesse di VSM che vogliono entrare nel mondo del category management e lavorare in aziende internazionali come KitchenAid?
Il mio consiglio principale è sicuramente quello di fare un’esperienza al di fuori del mondo lavorativo italiano. Credo che oltre ad essere un’esperienza di vita che ti fa crescere e ti rende autonomo in tante situazioni, è sicuramente un’esperienza professionale non indifferente. Entrare in certe dinamiche aziendali, in un diverso work-life balance, in ambienti strutturati, competitivi, internazionali, ti permette di vedere le cose con prospettive diverse, di vedere anche altre opzioni e modalità di come le aziende e le attività sono strutturate e vengono svolte.
Se potessi tornare indietro, rifarei tutto da capo. Specialmente, il fatto di essere entrata in sordina nel mondo del lavoro tramite stage in Italia mi ha permesso di capire effettivamente quale era la strada più giusta e quello che volevo realmente fare, per poi spostarmi all’estero, e prendere un ruolo che rappresentava quello che “voglio fare da grande” e provare a crescere, imparare e progredire. A volte siamo convinti di voler lavorare in un certo ambiente o settore, ma poi ci rendiamo conto che non è come pensavamo.
Per esempio, il mio sogno era quello di lavorare nel lusso, ma dopo il mio primo stage mi sono resa conto che quel mondo non era proprio fatto per me e io per lui.
Mi sono quindi poi spostata in Eastpak, dove ho trovato la mia strada e mi sono sentita me stessa sempre, e nel posto giusto con persone che credevano in me e in quello che facevo. Credo che specialmente all’inizio, dove si ha l’occasione di provare e sbagliare, sia importante investire del tempo nelle esperienze per capire che direzione si vuole seguire. Quindi non abbiate paura di sbagliare o di perdere tempo, perchè credo che quello sia il miglior tempo speso, quello di sperimentare e capire cosa ci piace e non ci piace fare nella vita.
Ogni ruolo, ogni città e ogni settore hanno aggiunto un tassello al modo di Caterina di guardare il prodotto e di vivere la professione: con curiosità, precisione e passione.
La sua storia dimostra che le competenze non hanno confini e che le esperienze, anche le più diverse, possono dialogare tra loro e generare valore. In fondo, come suggerisce il suo stesso cammino, le strade del prodotto – proprio come quelle della vita – sono davvero infinite.