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350 milioni di voci, una sola radice: viaggio alla scoperta delle lingue Bantu con il prof. Félix Tembe

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Félix Filimone Tembe

In aula a Ca’ Foscari si parla di kiSwahili, xiChangana e isiZulu: suoni e parole che raccontano storie, identità e visioni del mondo. A condurre questo viaggio è il professor Félix Filimone Tembe, docente di Linguistica Bantu all’Universidade Eduardo Mondlane di Maputo, in Mozambico, che in queste settimane ha tenuto qui a Venezia il primo corso introduttivo dedicato proprio alla grande famiglia delle lingue bantu.

Il ciclo di lezioni, che si è concluso il 14 novembre, nasce dal desiderio di rafforzare la presenza degli studi africani nell’Ateneo, introducendo nuovi percorsi di formazione linguistica dedicati al continente, aperti a tutti gli studenti e le studentesse di Ca’ Foscari. Il primo passo di un progetto più ampio, che proseguirà il prossimo anno con un’iniziativa di introduzione alla lingua swahili.

Realizzato nell’ambito di un programma di scambio Erasmus, il corso è  stato reso possibile dalla collaborazione tra il curriculum Medio Oriente e Africa del corso di laurea in Lingue, culture e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea del Dipartimento di Studi sull'Asia e sull'Africa Mediterranea e la laurea magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica del Dipartimento di Studi Umanistici, e con il contributo del prof. Francesco Vacchiano e della prof.ssa Barbara De Poli.

Abbiamo parlato con il professor Tembe per scoprire cosa rende uniche le lingue bantu, come si sono diffuse in gran parte dell’Africa e perché, ancora oggi, rappresentano una delle espressioni più profonde dell’identità e della memoria collettiva dei popoli che le parlano.
 

Cosa sono le lingue bantu e come si sono sviluppate? 

Le lingue bantu costituiscono una grande famiglia linguistica con oltre 650 lingue e più di 350 milioni di parlanti, per lo più concentrati nell’Africa subsahariana.
Condividendo una stessa origine, le lingue bantu mostrano caratteristiche strutturali comuni, soprattutto a livello morfologico: si tratta di lingue fortemente agglutinanti, con strutture grammaticali precise e parametriche.
Il gruppo bantu, che si estende dai monti del Camerun (altopiano di Shaba) fino al Sudafrica, rappresenta il ramo più importante della famiglia Niger-Congo. Tra le lingue più diffuse troviamo il Kiswahili (lingua franca africana), il Kikongo, l’isiZulu, l’iLingala, lo xiShona e lo xiTsonga (che comprende tre varianti mutualmente intelligibili: xiChanganaxiZrongaciThswa).
Secondo la letteratura linguistica, il Proto-Bantu, la lingua madre da cui derivano tutte le lingue bantu, si sarebbe sviluppato più di 3000 anni fa nell’area tra il sud-est della Nigeria e il Camerun.

 

Questo ceppo di lingue è parlato da milioni di persone in tutta l’Africa. Cosa ha permesso loro di diffondersi così tanto, e cosa le rende diverse l’una dall’altra?

La grande espansione dei popoli bantu è legata a diversi fattori: lo sviluppo tecnologico (soprattutto la metallurgia, che rivoluzionò l’agricoltura, la caccia e la difesa), la mobilità e gli scambi commerciali.
Partendo dai monti del Camerun, i bantu seguirono i fiumi, le savane e le vallate in cerca di territori favorevoli alla vita agricola e commerciale.La pressione ambientale, come la difficoltà di sopravvivere nelle grandi foreste tropicali, spinse ulteriormente queste migrazioni.
Un esempio emblematico di questa mobilità è proprio il kiSwahili, oggi parlato in molti Paesi dell’Africa orientale: nacque dai contatti tra i bantu e i mercanti arabi e persiani lungo la costa, e integra quindi molti prestiti dall’arabo.
L’espansione bantu fu resa possibile anche da matrimoni misti, processi di assimilazione culturale e sottomissione di popolazioni locali (come i pigmei, i khoi e i san). Le distanze geografiche e i contatti linguistici hanno reso le lingue bantu estremamente varie.
Da un lato, i contatti con le lingue locali hanno modificato la fonetica, la morfologia e il lessico; dall’altro, la distanza territoriale ha favorito la formazione di varianti regionali. Nonostante ciò, le lingue bantu conservano le caratteristiche fondamentali del Proto-Bantu, come il sistema di classi nominali. Fu il linguista Wilhelm Bleek (1827–1875) a coniare il termine Bantu attraverso studi comparativi, riconoscendo queste affinità. In seguito, Malcolm Guthrie (1948–1971) classificò le lingue bantu in zone geografiche (non genealogiche), distinguendo, per esempio, la zona S50-Tshwa-Ronga/Tsonga, che comprende le lingue xiChanganaxiZrongaxiTshwa, tutte mutualmente intelligibili, con differenze minime a livello fonetico.

 

In che modo queste lingue contribuiscono a formare il senso di identità e di comunità delle persone in Africa?

Dopo il respiro, la lingua è l’elemento più intimo e vitale per l’essere umano. Attraverso la lingua esprimiamo chi siamo, cosa sentiamo e cosa pensiamo.
Le lingue bantu, più che semplici strumenti di comunicazione, sono simboli profondi di identità: veicoli di coesione sociale, di appartenenza, di memoria collettiva e di eredità ancestrale. Ogni lingua bantu è al tempo stesso mezzo e manifestazione della cultura delle persone che la parlano. È il legame vivente tra le generazioni e la loro storia: l’oralità, la spiritualità, la relazione con la terra, il senso collettivo di responsabilità e di diritti e doveri. Attraverso il folclore, le canzoni, le storie, e i nomi propri (toponimi e antroponimi), queste lingue trasmettono conoscenze e visioni del mondo.
Durante il periodo coloniale, le lingue bantu furono spesso represse o ridotte al silenzio, ma continuarono a vivere come strumenti di resistenza: attraverso canzoni, metafore e codici che mantenevano viva la coesione tra le persone oppresse.
Con le indipendenze africane, molte lingue bantu sono state recuperate come simboli di libertà e identità nazionale. In Sudafrica, ad esempio, tutte le lingue bantu sono ufficiali al pari dell’inglese, dell’afrikaans e della lingua dei segni. Il kiSwahili è lingua ufficiale in diversi Paesi africani e anche lingua ufficiale dell’Unione Africana. In Mozambico, ben 19 lingue bantu vengono oggi utilizzate nell’istruzione primaria attraverso il sistema di insegnamento bilingue (Decreto-Legge 18/2018).
L’apprendimento in lingua madre permette ai bambini di sviluppare un forte senso identitario e patriottico, oltre a una migliore comprensione culturale e risultati scolastici più alti. Tuttavia, come tutte le lingue vive, anche le bantu si evolvono: la modernità e la tecnologia hanno portato alla nascita di varianti urbane, che incorporano elementi lessicali e fonetici delle lingue europee dominanti.

 

Cosa spera che gli studenti e le studentesse portino a casa da questo corso introduttivo?

In questo corso introduttivo sulle lingue bantu, spero che la classe possa acquisire una conoscenza di base delle caratteristiche fonetiche, grammaticali e culturali di queste lingue; comprendere il legame tra lingua, cultura, pensiero e identità e magari sviluppare un interesse per gli aspetti socio-antropologici che accompagnano le lingue bantu e le persone che le parlano. 

 

Può farci un esempio di un aspetto curioso o unico delle lingue bantu?

Uno degli aspetti più affascinanti delle lingue bantu sono senza dubbio gli ideofoni, elementi linguistici che creano un legame diretto tra suono e percezione.
Sono spesso definiti “parole-immagine”, perché evocano esperienze sensoriali: suoni, colori, movimenti, emozioni, consistenze o stati.
Per esempio, in xiChangana:

  • dúum! – indica lo stato di essere pensieroso, come in Mujondzisi ayo dúum (“l’insegnante è pensieroso/a”, seduto o appoggiato). In questo caso, il verbo non distingue il genere: mujondzisi può riferirsi sia a un uomo che a una donna.

  • Báááá! – indica l’idea di “pulito/bianco/luminoso”.
     Tilu riyo baaa hi tinyeleti – letteralmente “Il cielo è bianco di stelle”, ovvero “Il cielo è chiaro, pieno di stelle”.

Questi esempi mostrano come nelle lingue bantu il suono e il significato siano intimamente collegati, e come la lingua rifletta la sensibilità e la visione del mondo di chi la parla.

Francesca Favaro