OH! SUJŎNG (Virgin Stripped Bare by Her Bachelors)

Oh! Sujŏng è un film che si consuma per attimi. Non soltanto perché esso è costruito come una serie di frammenti ad incastro che si ripetono identici (o quasi) ripercorrendo la stessa vicenda (un possibile amore) secondo due differenti punti di vista...

Regia: Hong Sang-Soo. Sceneggiatura: Hong Sang-Soo. Fotografia: Choi Yung-taek. Musica: Ok Gil-Sung. Montaggio: Ham Sung-won. Interpreti: Jung Bo-suk, Lee Eun-ju, Mun Sung-kyun. Produttore: Ahn Byung-ju , Choi In-ki , Lee Yu-jin. Produzione: Miracin Korea. Distribuzione: BuenaVista Korea. Corea del Sud, 2000, 35mm, b/n, 126'.

Oh! Sujŏng è un film che si consuma per attimi. Non soltanto perché esso è costruito come una serie di frammenti ad incastro che si ripetono identici (o quasi) ripercorrendo la stessa vicenda (un possibile amore) secondo due differenti punti di vista, ma anche perché la storia è meno importante dei dettagli che la compongono. E che Hong Sang-soo sia un cineasta che sta molto attento ai particolari, sia in fase di messa in scena sia in fase di progettazione dei suoi film, è un fatto accertato. All'interno della "nouvelle vague" coreana (il termine, obiettivamente abusato, qui mi sembra particolarmente "adeguato" per gli stilemi adottati dal regista, che ricordano quelli di certa tarda NV francese, tipo Jean Eustache), Sangsoo si caratterizza infatti come uno sperimentatore di linguaggi e di tecniche di rappresentazione, partendo proprio dagli elementi minimi su cui poi si edificherà il suo discorso. Per esempio, nel suo primo film, Daijiga Umule Pajinnal (Il giorno in cui il maiale cadde nel pozzo, 1996), il regista ha chiesto a quattro sceneggiatori differenti di scrivere ciascuno le vicende di un personaggio senza essere a conoscenza di quelle degli altri: un tale procedimento, unito ad una certa libertà interpretativa dei dialoghi da parte degli attori (ai limiti dell'improvvisazione) produce un effetto di grande naturalezza e spessore. Nel secondo, Kangweondoeul Him (Il potere della Provincia di Kangwon, 1998), che mostra gli inutili tentativi di riconciliazione di una coppia in crisi, Sang-soo opera un trattamento del tempo e dello spazio che, scivolando costantemente sul falso raccordo, tiene in sospeso una vicenda che si consuma nell'impossibilità di cogliere l'attimo fuggente.

Anche in questo terzo lavoro, è questione di attimi e di decalage. Innanzitutto perché Sang-soo ha fatto il suo casting su internet, affidandosi giustamente all'impressione di un istante,di un volto, di uno sguardo. E poi perché tutto il suo film è giocato in base all'attimo, quell'attimo che può volgere le cose in una direzione o in un'altra. È questa una sfumatura difficilmente percepibile al cinema, se si conserva l'univocità del punto di vista. È solo spostando l'attenzione su un altro personaggio che la stessa vicenda, rivissuta da una diversa angolazione, rivela il dettaglio, il particolare non coincidente, il momento che modifica il corso delle cose. Per tener desto lo spettatore e invitarlo a captare la fulmineità di un tale istante, Sang-soo architetta una costruzione narrativa ad incastro, con sbalzi temporali e cambio di soggetto narrante, in capitoletti preceduti da un titolo, che sono i vissuti reciproci e incrociati dell'uomo e della donna. Lo stesso titolo del film fa riferimento ad un'involontaria battuta del protagonista, in quanto, nell'eccitazione del momento amoroso, l'uomo pronuncia il nome di un'altra donna ponendo così fine al rapporto.Più avanti,per rimediare alla gaffe, egli pronuncerà con voce ferma (sottolineata dall'ironia del regista) il nome dell'amata, che a lui si concede per la prima volta. Così facendo il cineasta e i suoi personaggi si muovono sul fulmineo scarto che costruisce la nostra vita, quell'imprinting che condiziona per sempre il nostro agire nel mondo. L'amore, l'esserci, è una questione di millimetri. Un fotogramma più in là, tutto potrebbe non essere accaduto.

Luciano Barisone