Red detachment of woman

Versione balletto rivoluzionario dell'omonimo film di Xie Jin: Red Detachment of Woman

RED DETACHMENT OF WOMAN
Hongse nianzi jun

 

 

Cheng Yin
Cina, 1970, col

Versione balletto rivoluzionario dell'omonimo film di Xie Jin: Red Detachment of Woman. In piena rivoluzione culturale, nessun film veniva girato, nel caos rivoluzionario/anarchico.

Questo documento è di spaventosa chiarezza. Mentre negli anni trenta la tensione dei cineasti (ed artisti in generale) era di dare voce al popolo che soffriva, ora la soglia è stata oltrepassata e una nuova autorità impone fedeltà: nessuno ha più voce: la musica orchestrale cancella ogni parola, impedisce ogni dialogo. Si tratta d'un melange inquietante, tanto le fonti sono riconoscibili e contraddittorie. Il realismo socialista sovietico: riprese dal basso, guance rosee, identificazione estetica tra maschi e femmine: queste ultime, se durante la prima parte danzano con una posticcia traccia incollata alla blusa (in modo che svolazzi gentilmente ma non troppo), nella seconda, entrate nell'esercito, la perdono in funzione d'un caschetto più pratico. Corpi muscolosi, tondeggianti e truccati: l'estetica socialista si innesta sul balletto classico occidentale, in un ossimoro che incarna l'ideale politico marxista-cinese così come l'ideale filmico del partito. Ballerine sulle punte, saltelli e tutto l'armamentario del lago dei cigni, fondamentalmente alieno alla cultura cinese. È impressionante soprattutto questo prestito anacronistico che più di tutto simboleggia la crisi d'identità profonda ed irrimediabile della Cina negli anni settanta. Se, infatti, i vecchi modelli sono abusati e tutti possono essere tacciati di feudalesimo, estetismi controrivoluzionari, ideologia di destra, al partito non resta che questa pietosa esibizione di forza, innestata su una matrice occidentale già desueta da anni: il balletto classico con tutti i suoi tic e le sue difficilmente sopportabili leziosità. Qui in veste rivoluzionaria, certo: eroine incatenate (il fatto, attestato dagli studiosi, che la prostituta/serva rappresentino la Cina sottomessa ed è di conseguenza simbolo ideologico e politico – vedi Dawn, Goddess – fa talvolta sospettare che in realtà non sia che un pretesto per rappresentare giovani corpi incatenati e sottomessi, fantasia ricorrente e diffusa worldwide), pugni chiusi in gesti di sfida, occhi sgranati, muscoli guizzanti sotto ferite esposte, bandiere multicolori e violenza rivoluzionaria. Di cinese resta solo, e ancora forse, una certa propensione per i balletti: feudatari e comunisti se la danno di santa ragione piroettando e formando figure stilistiche calligrafate nell'aria, come gli eroi dei wuxiapian ad Hong Kong.

Ogni individualità è posta sotto silenzio, brillano solo flussi di corpi nel fervore rivoluzionario, ma è già evidente a questo punto la forza costrittiva e normativa del partito; se, infatti, nei film progressisti anni trenta era chiara ed evidente la rabbia ed il rancore del popolo, così come i sogni utopici erano descritti con partecipe impegno, ora resta la calligrafia grezza di un movimento suicida, fatto di onde silenziose, ogni eventuale voce individuale (che veniva educata all'obbedienza nella versione di Xie Jin) è cancellata dal coro maestoso.

Anche l'apprezzamento del fervore collezionista, nostalgico e pseudorivoluzionario che spingeva gli intellettuali europei anni Settanta ad abbracciare la fede maoista, e che ha fatto di questo film un classico vintage, impallidisce al pensiero delle condizioni in cui il popolo veniva all'epoca obbligato a seguire queste interminabili due ore e mezzo e poi discuterne pure nel corso di inesauribili dibattiti tautologici organizzati dal partito.

(Discussione accademica post-Dreamers: il giovane Théo tiene nella sua camera una serie di oggetti pop maoisti: poster, lampada del busto di Mao etc. Ci si chiede: si tratta di un'incongruità? Non è troppo presto, il '68, per vedere già degli oggetti di questo tipo in Europa? Non si è forse diffusa più tardi la moda di collezionare questi oggetti?) A parte ciò, il film qui è talmente artefatto da sembrare imballato per un collezionista parigino con sciarpa e cartella di pelle sottobraccio; è tragicamente invece l'unica espressione filmica cinese per cinque anni.

Nota di costume: i numerosi cinesi di una certa età presenti alla proiezione del film nella sala di Chaillot della Cinémathèque (dicembre 2003) ridevano durante la proiezione: sollievo o nostalgia? Questionati, nessuno ha voluto rispondere...

Corrado Neri