Sǒpyǒnje è un film che ha fatto epoca nella storia del cinema coreano, che è stato acclamato sia dalla critica che dal pubblico, fino a diventare un fenomeno sociale.

SǑPYǑNJE di Im Kwon-taek

Regia: Im Kwon-taek. Soggetto: dall'omonimo romanzo (1976) di Yi Ch'ongjun. Sceneggiatura: Kim Myung-gon. Fotografia: Jung Li-sung. Scenografia: Kim Yu-joon. Montaggio: Park Sun-duk. Musica: Kim Soo-chul. Interpreti: Kim Myung-gon (Kim Yu-bong) Oh Jung-hae (Song-hwa) Kim Kyu-chul (Dong-ho). Produzione: Tae-hung Production. Corea del Sud, 1993, 35 mm, colore, 118'.

 

Negli anni '60 un commerciante di erbe medicinali, Dong-ho, percorre in lungo e in largo le campagne della Corea. Il suo lavoro in realtà gli permette di dedicarsi alla ricerca della sorella Song-hwa, cantante di p'ansori, di cui non ha notizie da anni. Durante il suo viaggio affiora alla memoria di Dong-ho la storia dei due fratelli, che non hanno legame sanguigno ma sono stati cresciuti da Yu-bong, un cantante itinerante di p'ansori che li ha adottati per farne i suoi eredi nell'arte canora. Yu-bong, che si dedica al p'ansori in tutto e per tutto, è un maestro severo e idealista. Quando Dong-ho, ormai cresciuto, non tollera più la severità del padre e lascia il nucleo familiare, Song-hwa rimane la sola speranza di Yu-bong. Ma per quanto la ragazza si applichi, non riesce a raggiungere la perfezione che Yong-bo ha in mente per lei, e il suo canto manca di han (dolore, emozione ed energia). Per farle raggiungere la perfezione artistica, Yu-bong le fa perdere la vista trattandola con un infuso di erbe. Songhwa, cieca, abbandonata dal fratello e rimasta sola dopo la morte del padre, continuerà a vagare di locanda in locanda, guadagnandosi da vivere con il suo canto e aspettando che il fratello la ritrovi.

 

Sǒpyǒnje è un film che ha fatto epoca nella storia del cinema coreano: è il primo film coreano che ha superato il milione di spettatori solo a Seoul, ed è stato acclamato sia dalla critica che dal pubblico, fino a diventare un fenomeno sociale. Di fatto, non solo ha incentivato un improvviso boom dell'apprendimento del p'ansori (un'arte che per quanto riconosciuta tesoro culturale intangibile dal governo, è da decenni in precario equilibrio), ma con la sua rappresentazione della Corea tradizionale in contrasto con la Corea impegnata in un doloroso processo di modernizzazione, ha contribuito a risvegliare i sentimenti e la coscienza dei coreani verso una rivalutazione delle proprie radici culturali.


In Sǒpyǒnje la decadenza sociale dell'artista di p'ansori simbolizza infatti il discorso della modernizzazione: questo irrevocabile processo successivo alla Seconda Guerra e alla Guerra Coreana, che ha determinato un radicale cambiamento della società e delle sue regole, ha di riflesso anche provocato l'alienazione del cantante. Questo, perdendo la sua funzione di artista apprezzato in passato, perde anche il suo spazio vitale e i suoi mezzi di sostentamento. Quindi ha di fronte a sé solo due possibilità: venire a patti con le nuove strutture sociali negando la purezza della sua arte (come hanno fatto i suoi vecchi colleghi, che per meritarsi il successo nella capitale hanno rinunciato al duro esercizio verso il raffinamento del proprio canto), oppure limitarsi a vivere nell'ombra, ai margini della nuova società e nei posti che ancora gli riservano un minimo spazio vitale.

Yu-bong rifiuta i compromessi e preferisce vivere nell'indigenza piuttosto che abbandonare o infangare la sua arte. Trascina con sé nel suo mondo ideale anche Song-hwa, che ama il p'ansori e che rispetta il padre, al punto da perdonargli anche il fatto di averla resa cieca per amore della perfezione artistica. Anche dopo la morte del padre Song-hwa continuerà il suo cammino, reale e simbolico al tempo stesso, facendo del canto la sua unica ragione di vita.

Quando dopo lunghe ricerche finalmente Dong-ho la ritroverà, fra i due fratelli non ci sarà bisogno di parole: pur essendosi riconosciuti a vicenda essi si limiteranno a comunicare tramite il p'ansori, il denominatore che li ha cresciuti insieme e che li ha indelebilmente legati. Song-hwa (che ha scelto di cantare per Dong-ho il brano della riunione fra il padre cieco e la figlia modello di pietà filiale, da Shimch'ǒngga) è ora capace di perfetta espressività han; Dong-ho la accompagna con il tamburo come faceva da ragazzo, e al momento dell'addio non ci sarà bisogno di dirsi niente, il p'ansori che hanno suonato e cantato ha loro comunicato tutto ciò che c'era da comunicare. Ma per non compromettere la perfezione artistica faticosamente raggiunta, una volta che Dong-ho sarà tornato a Seoul, anche Song-hwa si rimetterà in cammino, e i due fratelli perderanno di nuovo e reciprocamente le tracce.


Nonostante non ci siano nel film chiari accenni ai fatti storici che hanno sconvolto la Corea nei decenni in cui si svolge la narrazione, tramite le sofferenze e le ingiustizie vissute dalla famiglia di artisti itineranti il popolo coreano rivede se stesso e il proprio cammino, in bilico fra una cultura tradizionale che va velocemente scolorando e l'introduzione di elementi stranieri (prima del 1945 giapponesi e dopo americani)che determinano, oltre ad un maggiore benessere materiale, anche una progressiva perdita della propria identità. In questa contraddizione stanno le radici moderne dello han dei coreani contemporanei, in conflitto fra la nostalgia di un passato ricco di tradizioni e l'incapacità/impossibilità di viverlo al presente, con il dolore e la frustrazione che ciò comporta .

 m Kwon-taek ci lascia con Sǒpyǒnje incantevoli quadri aperti sui paesaggi rurali coreani e sulla cultura coreana. L'intensità delle emozioni rappresentate ci trascina nel mondo dello han, nel mondo dell'arte e del popolo coreano, mentre le riprese a livello degli occhi dei personaggi (seduti o in piedi) ci fa fortemente immedesimare negli stessi.

Un'opera di grande valore, che lascia presagire i successivi Ch'unhyang (2000) e Ch'wihwasǒn (2002), e che conferma ancora una volta il grande talento del regista.

.Sǒpyǒnje è stato premiato al 1° Shanghai International Film Festival (Best Director e Best Actress). È stato anche mostrato fuori competizione al 46° Festival di Cannes e il 50° Festival di Venezia.

Silvia Tartarini