36 Chowringhee lane

Quest'opera segna l'esordio nella regia di Aparnā Sen, nota attrice bengalese. Ritrae l'ambiente della comunità anglo-indiana e racconta la solitudine di Violet, un'anziana insegnante, che un giorno incontra un'ex-allieva; inizia così un capitolo entusiasmante, ma breve, della sua grigia esistenza.

 

 

 

 

36 CHOWRINGHEE LANE (1981)

Courtesy National Film Archive of India

 

Regia, soggetto e sceneggiatura: Aparnā Sen; produzione: Shashi Kapūr (Film Valas); fotografia: Ashok Mehtā; scenografia: Bansī Chandrgupt; montaggio: Bhānudās Divākar; musica: Vanrāj Bhātiyā; interpreti: Jennifer Kendal (Violet), Dhritimān Chatarjī (Samresh), Debashrī Rāy (Nanditā), Sonī Razdan (Rosemary), Geoffrey Kendal (Eddie), Sanjnā Kapūr (Violet giovane), Karan Kapūr (Davie). Hindi/colore/113'

Aquila d'oro 1982 al festival di Manila, premio nazionale 1982 per la miglior regia, per la miglior fotografia e per il miglior film in inglese, premio Filmfare 1982 per il miglior film in inglese.

Un'anziana zitella anglo–indiana, Violet Stoneham, vive in un piccolo appartamento di Calcutta e insegna letteratura inglese a una classe di allieve più interessate ai turbamenti delle loro età che a Shakespeare. È la sola della famiglia a vivere in India, insieme al vecchio e malato fratello Eddie, ricoverato in una casa di riposo. Alcuni sono ormai morti da tempo, come l'antico fidanzato, Davie, caduto in guerra; altri sono emigrati in Australia, come la nipote Rosemary. Insieme al gatto, Sir Toby, Shakespeare è la luce che illumina un'esistenza monotona e solitaria, che viene sconvolta dalla presenza di due giovani innamorati, Nandita, un tempo allieva di Violet, e Samresh. Questi, stanchi di incontri furtivi in tassì, eleggono la casa di Violet a loro nido d'amore: spacciandosi per un giovane scrittore di belle speranze, Samresh ottiene di poter usare l'appartamento, mentre Violet è a scuola, per completare il romanzo che sta scrivendo. Tra i giovani e l'anziana insegnante si instaura un rapporto di complicità e affetto che diventa per quest'ultima una ragione di vita, soprattutto quando le viene tolto l'insegnamento di letteratura – troppo gravoso, sostiene la nuova direttrice, per un'insegnante ormai anziana – e le viene affidato quello di grammatica. Passano diversi mesi; i due giovani si sposano e, grazie ai generosi aiuti delle loro ricche famiglie, non hanno più bisogno della sua casa per incontrarsi. Violet non si rende conto del cambiamento e continua ad aspettare una loro visita o un loro invito. Pochi giorni prima di Natale, chiama al telefono Nandita e Samresh, perché vorrebbe preparare un dolce che aveva promesso loro tempo prima. Questi hanno però organizzato un party per quel giorno e non la vogliono tra i piedi; rimandano l'incontro con la scusa di un viaggio d'afffari. Violet pensa allora di preparare lo stesso il dolce e di portarlo a casa loro perché lo trovino al ritorno. Quando arriva davanti alla lussuosa casa dei due giovani, scopre la verità: è uscita dalla loro vita e dai loro ricordi. Annientata dalla rivelazione, si incammina verso casa, nel freddo e nella solitudine della notte, recitando un brano di Shakespeare a un amichevole cane randagio.

Il tema del film è la solitudine, una solitudine totale che Violet si porta sempre addosso come la chiocciola il guscio. La sua solitudine inizia ogni mattina con la visita al cimitero, continua nelle aule della scuola, l'accompagna quando va a trovare il fratello, l'accoglie a casa insieme al gatto e si stende accanto a lei durante il sonno. In ogni momento della giornata, Violet vive una condizione di solitudine, in cui non esiste comunicazione con altri. Non diversamente da Eddie, lo stizzoso e patetico fratello arteriosclerotico, anche Violet non vive – o non vive più – nel presente e nella realtà: la sua esistenza è segnata da un'assoluta mancanza di dialogo, poiché gli esseri a cui si rivolge non possono risponderle. Sono i morti che va a trovare ogni giorno; o il fratello, prigioniero della malattia e della vecchiaia che ne fanno un morto vivente. Nemmeno la nipote Rosemary, che le scrive di tanto in tanto, rappresenta un legame reale. La giovane – che aveva lasciato Calcutta, dopo una deludente storia d'amore, per emigrare in Australia e sposare un anglo–indiano di cui non è innamorata ma che le offre quel futuro che non riesce a intravvedere in India – ha ormai tagliato dalla sua vita la stagione indiana. Lo squallore del caseggiato in cui Violet vive, l'angusto appartamento, sciatto e buio, rendono ancora più tetro il suo isolamento. Le colleghe di scuola o hanno famiglia o sono più giovani di Violet, mentre le alunne della sua classe sono in altre faccende affaccendate e la letteratura inglese è troppo lontana dal loro mondo perché possa costituire un legame con l'anziana insegnante. Shakespeare appare in effetti come l'unica presenza viva nella vita di Violet, insieme al gatto, che tuttavia può offrirle solo un affetto succedaneo.

Violet non è solo una donna anziana e sola, condizione molto pesante in sé e vieppiù nell'ambiente indiano, ma è anche una sopravvissuta di un'epoca passata per sempre – quella dell'India britannica: come Eddie, è una specie di morta vivente. Per lei, il tempo si è fermato molti anni prima, con il disfacimento del suo mondo e la morte di Davie. Tuttavia, non è veramente infelice: vive in una specie di limbo, in cui i ricordi di un tempo dorato, che continuano a sopravviversi attraverso Shakespeare, sono una presenza costante accanto a lei. Talora la realtà sembra affiorare alla sua coscienza, come un giorno in cui, mentre parla con Eddie, ricorda d'improvviso le parole di Rosemary, poco prima che partisse per l'Australia: "Pensi che voglia tornare nella solitudine di stanza vuota quando avrò sessant'anni? Vuoi che finisca in un ospizio con altri vecchi come lo zio Eddie? A questo sei approdata tu in tanti anni, per non aver commesso errori!". Lo sguardo di Violet cade allora su Eddie, assopito in uno stolido torpore; poi scorre per la camerata, dove giacciono sui letti altri sventurati: travolta da un panico angoscioso, fugge lungo il corridoio, per fermarsi ansante sulle scale; qui incrocia un'anziana donna che le rivolge un ampio sorriso, vacuo e immobile, spaventoso agli occhi di Violet, che vede in lei lo spettro della propria esistenza.

Solo quando Nandita e Samresh entrano nella sua vita, con l'energia, la freschezza e le speranze dei loro sogni, Violet comincia ad accorgersi della distanza che la separa dal presente. Ciò si manifesta attraverso un sogno, la sera prima che Samresh prenda "possesso" dell'appartamento. Le sequenze del sogno sono in bianco e nero (in effetti sono virate), rispetto al resto del film che è a colori: una giovane Violet sta passeggiando e correndo con Davie in un parco; Davie ad un tratto scompare, mentre Violet lo cerca, chiamandolo per nome, dapprima divertita, poi allarmata. Entra inquieta in casa ed esce da un'altra porta, su una spiaggia piena di croci. Si sta svolgendo uno strano rito, alla presenza di un prete e di diverse persone, tra cui si riconoscono Eddie, Nandita, Samresh e Rosemary. Davie è ritto accanto a una bara aperta, mentre Violet (di nuovo Jennifer), in abito da sposa, con le labbra colorate malamente di un rosso che sembra sangue, è seduta su una roccia in riva al mare. Le parole di Davie e di Violet sono quelle di una cerimonia nuziale, ma il tono delle voci è quello dolente e grave di un rito funebre. Davie entra nella bara e, mentre si sentono i colpi di un mitra, Violet prorompe in un lamento straziante e si strappa il velo, che viene trascinato via dal vento e resta impigliato in una croce. Violet comincia così a prendere coscienza del fatto che Davie è morto, gli anni sono passati e la vita per gli altri è continuata, mentre per lei si è fermata accanto a quella bara.

Ma non ha il tempo di pensare o di soffrire: viene trascinata nell'onda della vita di Nandita e Samresh, i quali non sono veramente affezionati a lei, anzi, ne ingannano la buona fede, e tuttavia instaurano con lei un dialogo e un rapporto vero, tra persone vere e vive. Violet comincia a trascurare quella che era stata la sua vita fino a quel momento: correggere i compiti delle sue alunne non le appare più un dovere così pressante, né si affretta a leggere le lettere di Rosemary, si dimentica perfino di andare a trovare Eddie. La stizzosa e infantile disperazione del fratello, che la rimprovera di pensare solo ai due ragazzi e di non volergli più bene, da un lato riempie Violet di rimorso per aver trascurato il vecchio malato, dall'altro le dà coscienza di quanto sta accadendo e del vuoto della vita trascorsa. Qualche giorno dopo, Eddie muore e con lui muore anche l'ultimo tramite col passato. Proprio allora Nandita e Samresh si sposano e i loro problemi scompaiono: scompare anche la necessità di frequentare l'anziana professoressa, che sarebbe assolutamente fuori posto nella loro lussuosa abitazione, tra gente ricca, ambiziosa e snob come loro.

Dapprima Violet avverte il vuoto del distacco, ma non capisce o non vuole capire che anche quell'entusiasmante capitolo si è concluso. La simpatia e le attenzioni che Nandita e Samresh le dedicavano, anche se non totalmente false, erano dettate da motivi contingenti, che ora non sussistono più. Non che Violet fosse veramente all'oscuro di quanto accadeva nel suo appartamento, in sua assenza. In un giorno di pioggia torrenziale, in cui era rincasata prima del solito, li aveva sorpresi abbracciati, dimentichi del mondo. Era rimasta a guardarli con una dolorosa espressione sul viso, non perché offesa da quel piccolo inganno, ma perché d'improvviso si era trovata davanti a qualcosa di inesorabilmente perduto e mai avuto. Attraverso il rapporto con i due giovani, tuttavia, Violet ha ripreso contatto con la vita e non si rassegna a ritornare al limbo di prima. Quel limbo si manifesta davanti a lei in tutta la sua angosciosa desolazione, quando capisce non solo di essere tagliata fuori dalla vita dei due giovani, ma di essere oggetto di riso, tanto bonario quanto crudele.

Shakespeare è ancora il veicolo per esprimere disperazione e delusione, attraverso le parole del re Lear: "Vi prego non vi fate giuoco di me: io sono uno sciocco e svanito vecchio di ottant'anni passati, né un'ora di più né una di meno; e, per esser franco, temo di non avere la mente del tutto a posto". Quando un'anziana collega aveva dato le dimissioni per raggiungere il figlio in Europa, Violet era rimasta turbata da questa decisione: com'è possibile lasciare la terra dove si è nati e cresciuti e che si conosce così bene, per andare, da vecchi, in un paese sconosciuto? Eppure, davanti alla prospettiva di tornare nell'appartamento di sempre, ai giorni sempre uguali e sempre più desolati, l'idea di tagliare il cordone ombelicale con una vita non vissuta non le appare più tanto insensata. Si avvia, inebriata, insieme al cane randagio (attirato dall'odore del dolce), verso l'angusto e buio squallore del suo piccolo appartamento, continuando a recitare le parole folli di Lear: "Vieni, andiamocene in prigione; soli, noi due canteremo come uccelli in gabbia (...) passeremo la vita pregando e cantando, e ci racconteremo delle vecchie storie, e sorrideremo delle farfalle dorate, (...) faremo nostro compito il mistero delle cose, come se fossimo spie di Dio..."

Cecilia Cossio
da Cecilia Cossio, 1993, Shashi Kapur. Una stella coperta da una nube, Cesviet, Milano, pp. 117-121.