Baram Nan Gajok (A Good Lawyer's wife)

Continuano ad arrivare piacevoli sorprese dal cinema della Corea del Sud. Baram nan gajok è il terzo film diretto dal quarantunenne regista coreano Im Sang-soo...

BARAM-NAN GAJOKA Good Lawyer's wife di Im Sang-soo

 

Regia: Im Sang-soo. Sceneggiatura: Im Sang-soo. Fotografia: Kim Woo-hyung. Scenografia: Oh Jae-won. Montaggio: Lee Eun-soo. Musica: Kim Hong-jeab. Interpreti: Moon So-ri. Hwang Jung-min, Yun Yeo-jung, Kim In-mun, Bong Tae-kyu, Baek Jung-rim, Jang Jun-young. Produttore: Shim Bok-yung, Shin Chul. Produzione: Myung Films. Distribuzione: Paul Yi - E Pictures. Corea del Sud, 2003, 35 mm, colore, '104.

 

Continuano ad arrivare piacevoli sorprese dal cinema della Corea del Sud. Baram-Nan Gajok è il terzo film diretto dal quarantunenne regista coreano Im Sangsoo e, forse per la sua carica erotica dirompente quanto motivata, è stato penalizzato dalla Biennale con una proiezione rigorosamente (e scandalosamente) notturna per la stampa. Si tratta della messinscena attenta e rigorosa di una vicenda di tradimento, desiderio, amore, morte, sesso e apertura (forzata?) nei confronti di un futuro possibile (o almeno auspicato).

Al centro troviamo la figura di una giovane donna estremamente sensuale, Hojung (interpretata da Moon Sori protagonista l'anno scorso di Oasis di Lee Changdong), ex-ballerina ancora appassionata di danza (splendide le sue pose acrobatiche, sospese e senza tempo), casalinga, moglie di un avvocato di successo e, come tante mogli, piuttosto annoiata e insoddisfatta (gira senza meta per il quartiere in bicicletta e confessa desolata di aver smarrito da qualche parte del corpo il suo punto G).

Il suo altrettanto giovane marito, Youngjak, la trascura per dedicarsi un po' al lavoro (oltre agli impegni più remunerativi, sta seguendo un caso terribile di strage perpetrata durante la guerra degli anni 50 ai danni di civili sospettati di simpatie per la Corea del Nord: da uno scavo nel terreno emergono ossa e poveri resti fra i detriti) e un po' alla sua amante, una avvenente fotografa ed ex-modella nei confronti della quale è più immediato manifestare brama che sentimenti. I due coniugi hanno un figlio adottivo di sette anni che inizia ad interrogarsi sulla propria identità. Il padre di Youngjak, alcoolista saggio e stralunato (che durante la guerra civile ha perso tutta la famiglia, trasferitasi al nord), sta morendo per un cancro al fegato e la madre ha fretta di rifarsi una vita con un ex-compagno di scuola ancora prestante (col quale ha scoperto finalmente l'orgasmo e la voglia di vivere). A questo punto Hojung decide, in modo maturo e circospetto, di cedere alle goffe avances di un ragazzino, vicino di casa, appena alle soglie della vita adulta e del tutto inesperto quanto passionale. La situazione generale crolla, in una rovina di inganni, meschinità, rivelazioni spiazzanti, menzogne e ripensamenti improduttivi.

Emerge così un duro, spietato ritratto del fallimento della vita di coppia: il destino finale dei due giovani protagonisti e all'insegna della solitudine, dello smacco, anche se lei tenterà in qualche modo di reinventarsi un'esistenza basata solo sulla propria determinazione. In questo quadro disarmonico, carico di tensioni irrisolte, alla fine i personaggi sembrano interrogarsi su ciò che conta realmente nella vita: forse ha ragione la vecchia madre dell'avvocato che, alla morte di un marito non rimpianto dichiara: "Vivere significa essere onesti con se stessi, se no è come non vivere". Ma c'è di più: l'imprevedibilità dell'esistenza deve mettere in conto anche la ferocia gratuita, irragionevole, come evidenzia il rapimento e quindi l'omicidio brutale del figlio della coppia, eseguito da un poveraccio reso folle da un'ingiustizia patita a causa del comportamento dell'avvocato. L'infelicità e il tormento prendono il posto dell'insoddisfazione, della noia. La montagna sotto la pioggia fa da sfondo allo sfogo del dolore di Hojung, le fosse comuni con gli scheletri delle vittime dei massacri sono ancora aperte. La casa di famiglia è desolatamente vuota.

La rappresentazione del sesso, come in diversi altri film coreani contemporanei, è molto esplicita. Dice a questo proposito l'autore: "La società coreana sta vivendo grandi cambiamenti, uno dei quali è il rapporto con la sessualità. Un tempo era tabù, adesso finalmente possiamo parlarne. E non credo che i problemi di una coppia coreana o cinese siano diversi da quelli di una occidentale. [...] Questo è il mio terzo film sulla sessualità femminile, per ora ho esaurito l'argomento, ma continuo ad osservare i mutamenti sociali e sono molti i temi che mi attraggono, per esempio l'ipocrisia sull'omosessualità". E a proposito della centralità dei personaggi femminili nel suo film:

"Finora il cardine della nostra società era l'uomo, gravato di responsabilità: la ricerca del successo nel lavoro, la necessità di mantenere la famiglia, un legame tradizionale con i genitori di cui occuparsi in vecchiaia. Tutto questo forse li ha resi più fragili, più distratti nel rapporto di coppia, trovano più facile vivere la sessualità senza l'impegno dell'amore. Intanto le donne hanno preso coscienza di se stesse, hanno scoperto che possono cavarsela da sole e stanno affermando la loro libertà, in tutti i campi, anche in quello sessuale. Sono più forti, sono loro il vero motore dei cambiamenti in atto nella Corea del Sud".


I cambiamenti legati all'apertura della società sudcoreana e alla democratizzazione del Paese si avvertono anche nella ricostruzione storica del trauma della guerra civile, che ora emerge in tutto il suo orrore (nei suoi rilievi sia individuali, come dimostra il caso del padre di Youngjak, che collettivi, come viene evidenziato dalla scoperta della fossa comune). Im Sangsoo ha scelto di girare questo suo film, tanto forte dal punto di vista emotivo quanto parsimonioso nei dialoghi, impiegando lunghi piani sequenza in movimento capaci, negli interni, di dare al pubblico l'effetto dell'home movie e, negli esterni, di stabilire un percorso quasi documentario di pedinamento dei personaggi. L'estrema mobilità della telecamera digitale è stata impiegata con una specifica funzione espressiva e la sua versatilità ha permesso da un lato di utilizzare gli ambienti reali (gli appartamenti, la scuola di danza, l'ospedale, le strade, la sala cinematografica dove Hojung e il ragazzo si scambiano splendide effusioni da adolescenti) per le riprese, e dall'altro di desaturare il colore delle immagini al fine di rendere più scabra, diretta e meno naturalistico-hollywoodiana (come sottolinea il regista) la rappresentazione della vicenda. Non c'è qui alcuna ricerca di "bella fotografia", di inquadrature patinate, ma solo il tentativo di rendere, attraverso immagini necessarie, l'urgenza dolente del vivere.