Picchia più forte, non ti sento

Un film che non nasconde riferimenti a Ultimo tango a Parigi e a L'impero dei sensi, Kojinmal (Lies) di Jang Sun-woo è un film spinto, e spinto fino ad azzerare ogni traccia culturale ed indentitaria.

 

 

 

 

PICCHIA PIÙ FORTE, NON TI SENTOLies di Jang Sun-Woo

Titolo originale: Kojinmal. Regia: Jang Sun-Woo. Soggetto: dal romanzo Tell Me a Lie di Jang Jung-Il. Sceneggiatura: Jang Sun-Woo. Fotografia: Kim Woo-Hyung. Montaggio: Park Gok-Ji. Musica: Dal Palan. Scenografia: Kim Myeong-Kyeong. Costumi: Park Shin-Yeon. Interpreti: Lee Sang-Hyun (J), Kim Tae-Yeon (Y), Jeon Hye-Jin (Woori), Choi Hyun-Joo (G, la moglie di J), Han Gwan-Taek (il fra-tello di Y), Kwon Hyuk-Poong (il tutore di J), Jung Myung-Keum (sua moglie), Shin Min-Soo (J da piccolo), Cho Young-Sun (il padre di J), Ahn Mi-Kyung (il titolare della tavola calda), Yeom Kum-ja (il titolare della rosticceria), Choi Boo-Ho (il proprietario del motel), Goh Hye-Won (sua moglie), Kwak Chul-Jin, Lee Jin-Ho (tassisti), Jun Jae-Sup, Yim Mi-Ran (clienti alla tavola calda). Produzione: Shin Chul per ShinCine Communications. Distribuzione: Key Film. Durata: 111'. Origine: Corea del Sud, 1999.

Corea del Sud. Y, una studentessa liceale, incontra J, uno scultore di successo, con cui intraprende una relazione clandestina e saltuaria in alberghi spesso di infima categoria. Dalla deflorazione della ragazza si passa quasi immediatamente alle pratiche sadomaso, che contribuiscono a rendere più indissolubile il legame. I due si concedono reciprocamente a prestazioni sempre più estreme, accettando il dolore come forma di dedizione totale al partner. J tuttavia è sposato con G e deve spesso lasciare la Corea per recarsi, per lavoro, a Parigi, dove vive sua moglie che si rifiuta di avere con lui rapporti sadomaso. Le distanze accentuano il desiderio di Y per J, che sente ormai di non poter più fare a meno della sua giovane compagna. Nel frattempo Y si è iscritta all'università, e suo fratello, venuto a sapere tutto dall'amica di Y, Woori, minaccia i due amanti, arrivando ad incendiare la casa di J. Per tutta risposta Y e J continuano a vedersi e a vivere esclusivamente negli alberghi. Y fa anche in modo da provocare la morte dell'impertinente fratello. Ma anche la storia con J è destinata a concludersi. I due si rivedono per un ultima fuga d'amore e di bastonate a Parigi, dove ora J vive con la moglie e da dove Y è passata, in procinto di partire e stabilirsi definitivamente da sua sorella in Brasile. Da quel momento J comincerà a mentire a sua moglie.

I riferimenti a Ultimo tango a Parigi e a L'impero dei sensi ci sono tutti. Bugie non li evita e non li nasconde. Semmai li ostenta e, così facendo, li liquida, svaluta e neutralizza. Ad esempio, già al secondo appuntamento Y fa il verso a L'impero dei sensi dicendo che per avere sempre con sé il sesso di J sarebbe persino disposta a reciderglielo. Un altro esplicito rimando al film di Ōshima giunge più tardi, quando Y insiste nel seviziare J mentre la sta penetrando, avvertendo in lui una maggiore virilità. Invece il rifiuto della studentessa Y di accettare la proposta borghese dello scultore J di formalizzare e istituzionalizzare il legame attraverso il matrimonio riecheggia Ultimo tango, film d'autore tra i più sopravvalutati e irrimediabilmente datati, nel quale era sempre la ragazza a non voler conoscere il nome del partner maschile e contravvenire così alle regole del gioco d'amore, arrivando persino ad ucciderlo nel momento in cui questi sta per pronunciare il proprio nome.

Ma, al di là dei momenti specifici, sono complessivamente l'anonimato dei due protagonisti, i loro nomi misteriosi di cui si conoscono appena le iniziali (la ragazza è Y, lo scultore si chiama J e sua moglie G), la claustrofobia delle stanze d'albergo, i maniacali rapporti sessuali come principale strumento di scambio e di comunicazione, il crescendo doloroso e paradossale dell'esplorazione erotica, l'isolamento e la conflittualità rispetto al mondo esterno, e alle convenzioni familiari e sociali in genere, a richiamare alla memoria immediatamente i film di Bertolucci e Ōshima (per non parlare – in ordine sparso – de La grande abbuffata e L'ultima donna di Ferreri, Il portiere di notte della Cavani, Conoscenza carnale di Nichols e Salò di Pasolini). Solo che a Jang Sun-Woo il confronto diretto con questi titoli non sembra importare granché.

L'autore non nasconde le sue fonti cinematografiche, ma nello stesso tempo è talmente spregiudicato da dichiarare immediatamente, dimostrandolo peraltro nel corso del film, di voler fare altro, di non voler alzare il tiro intellettualizzando la materia, di non coltivare eccessive ambizioni allegoriche. E di essere in definitiva interessato a fare un film puramente fisiologico, ridondante e voyeristico, in cui si sprecano le inquadrature che mimano uno sguardo furtivo e libidinoso. Un film, insomma, senza messaggi altisonanti o complicate implicazioni sociologiche dirette. Jang Sun-Woo non è serio nemmeno quando si lascia intervistare nella prima sequenza del film, affermando di aver concepito la vicenda dei due amanti clandestini come uno stimolo liberatorio per lo spettatore. L'autore se la ride perché si tratta in fondo di cose dette e ridette. In genere, di fronte allo spauracchio della censura a causa di scene di sesso esibito, si rivendicano, moralisticamente, o la dignità estetica dei contenuti erotici della rappresentazione o la positività, polemica e provocatoria. In buona sostanza, tutti luoghi comuni di cui lo stesso Pasolini, con la nota «L'abiura della "Trilogia della vita"», aveva già fatto piazza pulita un quarto di secolo fa.

Il sesso al cinema non può sottrarsi ad un processo di mercificazione. Dunque, perché dissimularne la sorte implicita? Bugie è dunque un film qua e là anche un po' pecoreccio, senza tuttavia i proverbiali dettagli ginecologici dell'hard-core. Un film comunque spinto: spinto fino ad azzerare ogni possibile traccia culturale ed identitaria. Un film che sa di essere tale, si denuncia da subito come tale, e di conseguenza corrisponde al suo standard merceologico, arrivando a contenere al suo interno, coerentemente, i faccia a faccia con gli attori e con l'autore, i quali puntualmente rispondono alle domande di rito riguardo ai messaggi e i contenuti dell'opera o all'eventuale imbarazzo di dovere recitare scene di sesso alquanto realistiche.

Come in un qualsiasi dietro le quinte o talk-show, Bugie è esattamente quello che appare, sta tutto nella sua superficie cinica, piatta e seriale, vale a dire una rassegna orizzontale, squallida e indifferente di amplessi, inframmezzati appena da sequenze più ordinarie: interviste al regista e agli attori, riprese svelate secondo la collaudata tecnica della messa in abisso, passeggiate, pranzi, telefonate, attese alle reception degli alberghi, conversazioni in taxi, confessioni private a scuola, fuori dall'aula o nei bagni, incontri o congedi in stazioni ferroviarie o in stazioni di autobus, toilette e aeroporti. Jang Sun-Woo ha persino provveduto ad appiattire, o se si preferisce ad alleggerire e sfoltire, il romanzo originale di Jang Jung-Il, Tell Me a Lie, eliminando quasi tutti quei riferimenti per così dire contestuali che hanno portato al sequestro del libro. Probabilmente, molte cose del libro di Jang Jung-Il, scrittore al quale Jang Sun-Woo aveva già attinto per il precedente To You from Me (1994), non vengono nemmeno spiegate o recuperate fedelmente. Semplicemente, si evincono. Nel senso che l'intimità ossessiva e compulsiva dei protagonisti è di per se stessa emblematica di quel mondo esterno globalizzato, al quale in sostanza non sfuggono ma che riproducono pateticamente. In chiave sessuale, ergo pseudopornografica.

J = Y

Può anche darsi che la scelta di adoperare, anziché i nomi dei protagonisti per esteso, le iniziali abbia a che fare con la riservatezza reciproca o nei confronti dello spettatore. Eppure non si può resistere alla tentazione di considerare questi nomi in codice, J e Y, alla stregua di parametri spersonalizzanti ed estremamente sintetici di una lucida e assurda equazione esistenziale. J e Y in pratica possiedono dei nomi che danno l'esatta idea della loro condizione insignificante in una società alienante e omologata: nomi essenziali, simili a numeri, a sigle o a codici a barre. Non è un caso che Y accetti immediatamente di andare all'appuntamento con J, a seguito di conversazioni erotiche intercorse, in sostituzione dell'amica Woori. Le ragazze dal canto loro sono perfettamente intercambiabili: una delle due, non fa differenza, accetta l'avventura clandestina, acquisisce un'identità cifrata, Y, mentre l'altra conserva un nome tradizionale, Woori, che tutto sommato non aggiunge molto alla sua identità o alla sua personalità.

Non a caso Y, per tutto il film, non fa altro che esplicitare quest'indolente stato di anonimato, specialmente quando alla reception dell'albergo dichiara di essere sprovvista di documenti di riconoscimento o quando, discutendo con J, non mostra particolare interesse per la facoltà universitaria da intraprendere, poiché una vale l'altra, statistica, informatica o economia. La sua stessa vita può prendere una direzione come un'altra senza grosse difficoltà, essendo lei stessa un essere umano non dotato di autonoma consistenza e valenza umana, un puro dato statistico, un modello prodotto in serie, un elemento assorbito da un sistema economico su scala mondiale.

Per J le cose stanno esattamente nello stesso modo: è un artista, un intellettuale, ma non ha affatto l'aria di valere granché, né di lui conosciamo il lavoro o la produzione creativa, ad eccezione delle sue inclinazioni sadomasochiste e di quella creatività che esprime durante i rapporti sessuali. Viene detto che è uno scultore, punto e basta. La sua professione è anonima almeno quanto il suo nome-consonante. È comprensibile dunque che due personaggi tanto insignificanti e perciò equivalenti, uno maschile e l'altro femminile, possano sentirsi attratti l'uno dall'altro. Differenze sessuali e anagrafiche a parte, sono uno degno dell'altra,e viceversa. Fanno sesso spinto, mangiano e parlano. Si sentono, in quanto coppia che si nega al mondo esterno, diversi dagli altri e alternativi. Questa almeno è la loro illusione.

J + Y = 3

Le camere d'albergo si assomigliano tutte, come, a detta della voce narrante, i luoghi del pianeta o i posti in cui J e Y si sarebbero potuti dare appuntamento. La vicenda di Y e J comincia ben presto ad assumere i connotati vuoti e asettici delle stanze d'albergo in cui avvengono gli incontri. Dopo aver sperimentato tra di loro le non illimitate combinazioni erotiche, riconducibili ai tre buchi enunciati ironicamente uno ad uno, la relazione dei due amanti si ritrova ad un punto morto. Al secondo incontro si stanno ripetendo e J già comincia a possedere la ragazza picchiandola timidamente. Il passo successivo verso l'escalation sadomasochista è breve. Al terzo incontro del film, avverte la didascalia, è diventato impossibile contarli: non viene infatti indicato con sicurezza come il terzo incontro, bensì come il terzo o il quarto incontro. In seguito non vengono neanche più computati. Del resto neppure la nuova linfa sadomasochista che circola nella coppia è inesauribile. Dalle fruste si passa senza particolari traumi alle aste metalliche e ai bastoni, ma anche questo non può bastare a rinvigorire in eterno il rapporto. Quindi non resta che invertire i ruoli e le polarità:anziché essere J ad infierire su Y, è quest'ultima, con evidente e passeggera soddisfazione, ad infierire sul compagno. Ma le cose, neanche stavolta, sembrano durare. Quindi, cominciano a intercorrere periodi di separazione relativamente lunghi che, per lo meno, fanno lievitare il desiderio reciproco di Y e J. Tuttavia, ad ogni rincontro si fa sempre più alta la posta in gioco del ménage. Dagli ematomi si passa alle ferite profonde praticate attraverso i tatuaggi inguinali. E, naturalmente,il sesso compie un ulteriore e perverso salto di qualità, implicito già in uno degli incontri iniziali: viene alla luce la coprofagia di J, anzi quella di entrambi. Era inevitabile che dal terzo buco, lo sfintere, si trascorresse alla merda. E i due protagonisti non possono fare a meno di finire nella merda. J mangia la merda di Y e questo riempie di felicità la ragazza che, giustamente, afferma che lui l'ama davvero perché nessun altro si mangerebbe la sua merda. Non fa una piega.

J + Y = 0
A questo punto il film ha già scoperto il gioco: l'ironia è feroce, l'evidenza cumulativa e insensata degli episodi ha intrapreso una direzione, nell'insieme, coerente. I due non sanno esattamente cosa fare assieme, bruciando troppo in fretta un rapporto soggetto a leggi molto simili a quelle del mercato. Eppure non possono più stare l'uno senza l'altra, e viceversa, nonostante la soglia del desiderio e con essa la dialettica della domanda e dell'offerta erotica stiano esaurendosi. Il romanticismo della sozzura è diventato esplicito e persino patetico. Y e J indubbiamente credono a quel che fanno, solo che lo spettatore sa benissimo che costoro non sono persone ma attori che recitano un ruolo. Il loro amore, la loro commozione, i loro languori sentimentali ed erotici fanno parte della finzione, ovvero di una rappresentazione omologata che rimanda ad un'omologazione incombente, generale, complessiva. L'avventura sessuale dei nostri eroi sta fatalmente volgendo al termine, come obbedendo ad un diagramma biologico, naturale, fisiologico, tutto iscritto in un contesto socio-econo-mico caratterizzante e tutt'altro che astratto o invisibile.

I segnali esterni si infittiscono, i luoghi dell'azione variano e si scoprono intercambiabili (Seoul, Parigi, il Brasile, non fa differenza), anche se non aggiungono significato poiché la vicenda potrebbe svolgersi in Corea del Sud come in una qualsiasi altra parte del mondo occidentale o, per estensione, occidentalizzato. Tutto questo in qualche modo c'entra, deve c'entrare, e non si può evitare di accorgersene, con l'economia coreana finita sotto il controllo del Fondo Monetario Internazionale,con i processi di globalizzazione, con l'omologazione di massa, con la crisi della presenza e con la progressiva equivalenza dei tradizionali nuclei opposti o delle differenze culturali: Est e Ovest, ovvero sviluppo e sottosviluppo, centro e periferia, cultura e sottocultura, uomo e donna, Y e J.

Gli stessi protagonisti, in un contesto simile in cui i manici di scopa vengono riciclati come strumenti per le pratiche sadomaso o gli avanzi del cibo dei clienti mangiati avidamente dalla padrona dell'albergo, reagiscono con ridicola e appassionata disperazione. Il loro addio è siglato appena da un bastone più grosso di quelli precedenti. Non è più il mezzo, ma il fine. E pensare che i due non sono stati nemmeno troppo condannati o stigmatizzati dalla società, secondo i tradizionali canoni del melodramma. Infatti l'unico antagonista è stato il fratello di Y: talmente banale da essere eliminato fuori campo dalla stessa Y, che si è limitata a rievocarne la morte in un fugace flashback. Questo è tutto.

Anton Giulio Mancino
Cineforum n. 395