Vibrator è un road movie dell'animo, che a volte si crogiola un po' nell'irritazione fine a se stessa, ma più spesso riesce a descrivere con efficacia e dello sguardo i singoli e la coppia.

VIBRATOR
di Hiroki Ryūichi

Sul press-book, si legge che Vibrator è "A road-movie of regeneration and satisfaction". Mica male. Il regista Hiroki Ryūichi è uno che ha percorso i territori del pinku eiga, i noti film erotici giapponesi. Il suo Sadistic City, per esempio, affrontava la deriva metropolitana contemporanea attraverso il sesso e l'inquietudine del corpi. Vibrator è più aperto, anche se pure qui la solitudine dell'uomo e della donna nel mondo non ha molte vie di fuga. Però, forse, una di via di fuga ce l'ha, ovvero quella che imbocca la protagonista Rei, scrittrice, col camionista Okabe, che la fa salire sul camion e la porta con sé nel suo viaggio. Ed è un percorso per entrambi, ma soprattutto per Rei, liberatorio ed esplorativo (della propria persona, del mondo, degli altri e dell'altro, con cui il sesso è sincero e senza compromessi). Però tutto, come sempre, come sappiamo, finisce: e Okabe riporta Rei al punto di partenza, dove si sono incontrati, in un market. Ma non è detto che le cose, ora che ognuno e tornato (da) solo, siano uguali a prima.

Vibrator (nessun sensazionalismo hard-core: si riferisce alle vibrazioni del cellulare e a quelle, elementarmente, che provoca la passione) è davvero un road movie dell'animo, che a volte si crogiola un po' nell'irritazione fine a se stessa (Rei che si accascia sull'asfalto sfogandosi con e su se stessa), ma più spesso riesce a descrivere con efficacia e dello sguardo i singoli e la coppia. Col coraggio di non sottrarsi al romanticismo, e di squarciarsi in aperture commoventi e sensibili, come nella sequenza della vasca da bagno, con Okabe che lava dolcemente una Rei catatonica. Angoscia e gioia, dunque, corrono sugli stessi binari, sulle stesse ruote. E se la (ri)scoperta di un paesaggio, di un panorama e di una strada può mitigare turbamenti e insoddisfazioni, Vibrator, anche con le parole (magari come intertitles, come nell'interessante e per certi versi simile All About Lily Chou Chou di Iwai Shunji), ci ricorda che la denudazione di noi stessi ci può riportare alla vita. Anche se per un tempo determinato.

Pier Maria Bocchi