Come drink with me - Da Zui Xia

Il celebre regista King Hu produce il suo primo clamoroso successo, e rilancia la moda dei wuxiapian negli anni sessanta. Interprete: la mitica Cheng Pei-pei, nei panni dell'eroica Golden Swallow. Sguardo critico su un film seminale.

COME DRINK WITH ME - DA ZUI XIA

Hong Kong/1965/94'
Dir: King Hu
Prod: Run Run Shaw
Int: Yueh Hua, Cheng Pei-pei, Chen Hung-lieh

Uscito nel 1965, Come Drink With Me segna l'inizio di una nuova epoca d'oro per i film d'arti marziali in mandarino, e si può leggere come il prototipo dei successi a venire, così come un concentrato di tematiche e forme della tradizione classica. Grandiosa macchina di spettacolo, il film all'epoca riscosse un enorme successo presso tutte le comunità della diaspora cinese. Ritorna ora in una nuova copia restaurata dalla Celestial Pictures, che rinnova lo splendore dei colori del cinemascope originale. La compagnia ha intrapreso l'encomiabile missione di restaurare e ridistribuire (tanto su pellicola per festival e rassegne, quanto in DVD per la vendita) lo sterminato catalogo Shaw, di difficile accesso.

Le figure che il presente articolo cerca di identificare sono tanto formali quanto tematiche. Innanzi tutto la storia: essa è un complicato sovrapporsi di trame e personaggi, che si rivelano essere tutti imparentati tra di loro, così che i conflitti politici precipitano inesorabilmente in conflitti familiari d'onore e vendetta. Il terribile bandito Jade Face Tiger (inquietantemente ricoperto per tutto il film da uno strato spesso di cerone che dà rilievo agli occhi crudeli –pesantemente truccati- e ai denti ferini -bianchissimi) cattura il magistrato Chang Pu-ching. Per il suo rilascio richiede la liberazione del capo della banda delle Tigri, detenuto nello Yamen locale. In aiuto di Cheng arriva Golden Swallow, mirabolante combattente nonché sorella di quest'ultimo, e figlia del magistrato locale. Nonostante la sua tecnica prodigiosa ed il suo coraggio irreprensibile la bella ha difficoltà a sbaragliare le truppe dei banditi. In suo aiuto accorre Drunken Cat, un viaggiatore perennemente ubriaco che si muove a capo di una banda di ragazzini. L'uomo si rivelerà essere seguace d'un importante maestro d'arti marziali, e dovrà, oltre che salvare a più riprese l'eroina, affrontare in duello un antico compagno di studi che ha tradito ed ucciso il Maestro per impossessarsi di un manufatto di incredibili poteri.

La sceneggiatura, summa di topoi del cinema cantonese e giapponese, nonché della tradizione dei racconti fantastici cinesi, mescola battute demenziali, impressionanti scene corali in scenari naturali, combattimenti epocali, scene fantastiche dove i monaci dimostrano di controllare non solo le forze del proprio corpo ma altresì le correnti d'energia della natura, e poi cavalcate nel deserto, combattimenti in location ricostruite in studio, scene di sconcertante violenza immediatamente seguite da gag comiche.

I personaggi introdotti nel film diventeranno delle vere e proprie icone del cinema di Hong Kong: innanzi tutto la protagonista femminile, interpretata dalla leggendaria Cheng Pei-pei, ritornerà in un'opera dedicata a lei solamente (Golden Swallow/Jin Yanzi, Zhang Che, 1968). Essa è l'immagine archetipica della donna guerriero, figura ricorrente già nella prima produzione cinese degli anni '20 e '30. Caratteristico è anche il modo in cui è introdotta nell'azione. La donna arriva in una taverna mal frequentata, e rivela subito d'essere inviata dal governatore per raddrizzare i torti e liberare il prigioniero. Come da tradizione, nessuno la riconosce come una donzella, e sarà solamente quando rivelerà il suo nome che gli uomini si renderanno conto della sua femminilità. Il travestimento è inteso molto chiaramente come un segno cui lo spettatore deve prestare fede; saranno le parole esplicite della ragazza a levare il mistero, non l'evidenza delle forme graziose della fanciulla, o la sua voce soave. Contrariamente dunque ad un approccio occidentale di mimesi del reale, per cui, con le dovute eccezioni di cui siamo consapevoli, il mezzo filmico viene visto come massimo strumento del realismo in arte, e si cerca dunque di camuffare in ogni modo le eventuali aporie logiche dell'azione o dello scenario, il cinema di Hong Kong raccoglie consapevolmente l'eredità del teatro tradizionale cinese chiedendo implicitamente ai suoi spettatori di seguirne le regole e di appassionarsi alla vicenda creando una forte sospensione di incredulità, che funziona magnificamente. La donna travestita da uomo è una figura che attraversa tutto il cinema hongkonghese; la sua derivazione teatrale più esplicita è l'opera Liang Shanbo and ZhuYingtai/Liang Shanbo yu ZhuYingtai, più volte adattata al cinema, in cui un ragazza, per poter seguire gli studi, si traveste da uomo; alla scuola si innamora, ricambiata, di un ragazzo che non conosce la sua vera identità. Il tema dell'androgino e del travestitismo non cessa di venire rinnovata e declinata nelle sue varianti più ibride e conturbanti (in molte produzioni di Tsui Hark, in primis Swordsman 2/Dongfang bu bai, Ching Siu-tung, 1992), e a cui rende omaggio anche Ang Lee in Tigre e dragone/Wu hu zang long (2000), summa nostalgica (e ad alto budget) del cinema d'azione di Hong Kong.

Pur se (ancora) poco consapevolmente provocante, l'eroina è bella e sensuale: durante i combattimenti più spietati non viene ferita, ma le si slaccia una spallina, e lei reagisce con una sprezzante alzata di spalle. Viene però colpita da un dardo venefico lanciato dal crudele Jade Face Tiger (che si era servito della medesima arma per ammazzare senza pietà un giovane attendente che, nel tempio dove si sono radunati i banditi, li spiava). La ragazza viene tratta in salvo da Drunken Cat, che con un certo imbarazzo le deve succhiare il veleno per salvarla (una scena che verrà ripresa in The Bride With White Hair/Baifa mo zhuan, 1993, di Ronny Yu, con Lesile Cheung e Brigitte Lin; questo film declina con sensuale consapevolezza i temi del polimorfismo sessuale e dell'interscambio tra i generi). Il cavaliere alcolista ottiene così la riconoscenza e la fiducia di Golden Swallow.

Personaggi simili a Drunken Cat tornano con frequenza sugli schermi honkonghesi. Si potrebbe azzardare una comparazione con il giullare occidentale, la figura carnevalesca che trasgredisce le regole e così facendo ha accesso alla verità, sia essa di denuncia sociale e politica sia essa invece sul piano più squisitamente fisico della maestria marziale. Il primo e più importante riferimento è Drunken Master/Zui quan (Yuen Woo-ping, 1978). Qui una scena memorabile, seconda solo a quella in cui Drunken Cat si allena seduto nella posizione del loto e divide le acque di una cascata come un piccolo Mosé, è quella del combattimento finale con il suo avversario. Quest'ultimo è il discepolo traditore che ha ucciso il maestro per ottenere i suoi poteri sovrannaturali. È riuscito, grazie alle sue doti marziali e all'acutezza politica, a vestire i rossi abbigliamenti dei monaci buddisti, e gli manca solo un ultimo elemento per soddisfare tutte le sue ambizioni: il potente sutra che custodisce Drunken Cat, antico condiscepolo. Quest'ultimo gli si oppone, ma non riesce a scatenare tutta la sua giusta ira perché, anni prima, il suo attuale nemico lo aveva aiutato ad entrare nella scuola dove entrambi impararono le arti marziali. Drunken Cat, dunque, pur se all'apparenza inaffidabile e derelitto, è portatore dei valori irrinunciabili della lealtà e dell'onore, dell'amicizia virile e della fedeltà. L'eroe è dunque alla mercé del cattivo, e dopo una serie di colpi acrobatici sembra versare in pessime condizioni. Ma ecco che trova accanto a sé una brocca di vino e, approfittando di una distrazione dell'avversario, ne beve un sorso che gli dà le forze per reagire ed infine per vincere.

Rovesciamento rocambolesco che porterà poi alla Kung Fu comedy degli anni '80, i temi del contrario e del travestimento sono già capitali nella stagione d'oro del wuxiapian. Da notare è la figura di Smiling Tiger, un cattivo che pare uscito dritto da un film di Sergio Leone: un omaccio brutto e implacabile, che affigge perennemente sulle labbra un sorriso spaventosamente inquietante che gli scopre la chiostra dei denti da fiera.

Le figure dei personaggi sono, si è detto, archetipi della cinematografia di Hong Kong; altrettanto si può dire degli scenari. Golden Swallow appare in un primo momento in una taverna. Luogo d'incontro per eccellenza, crocevia nel deserto, stazione di passaggio, territorio dallo status incerto in cui è possibile passare in incognito o inventarsi un'identità, essa diventerà location per uno dei più famosi film del periodo, e maggior successo di sempre di King Hu alla regia: Dragon Gate Inn/Longmen kezhan (1967). Si tratta, è opportuno ricordarlo, di uno scenario che dà l'opportunità di giocare con tutti gli artifici tipici dell'opera di Pechino, abbondantemente utilizzati nel film. Qui si svolge il primo confronto tra la bella eroina ed i crudeli banditi. Seduta da sola nella vasta sala, Golden Swallow dà prova della sua maestria in termini seri, ma allo stesso tempo giocosi, facenti parte di una forma astratta che segnala allo spettatore locale (o avvertito) gli ambiti del confronto, le regole del gioco, le presentazioni dei combattenti. La ragazza non viene brutalmente assalita: i nemici la sfidano lanciandole monete che lei infilza in volo con le sue bacchette; le lanciano otri di vino che la ragazza riesce a deviare; le tirano addirittura un tavolo addosso, e lei senza scomporsi ne modifica la traiettoria. Il tutto avviene senza che nessuno pronunci parole di sfida; le formalità vengono rispettate, anzi i contendenti, che stanno solo studiando il campo per le offensive future, danno prova di stucchevole buona educazione. È una schermaglia bellica elegante ed astratta; è teatrale, poiché lo scenario consiste in un luogo chiuso, ma è pure molto cinematografica, poiché grazie al montaggio analitico delle azioni spezzate (il cattivo lancia le bacchette- le bacchette in volo, velocissime -la ragazza le intercetta con la tazza di riso) il regista perviene a dare pura idea della grazia e del valore della sua protagonista senza ricorrere a trucchi complicati. L'effetto di maestria e di millimetrica precisione dell'esecuzione delle arti marziali è ottenuta (in mancanza di quegli effetti speciali virtuali di cui i film contemporanei fanno gran uso, primo tra tutti il già citato Tigre e dragone) grazie al montaggio musicale e ritmato che suggerisce l'idea di movimento e di velocità.

La scena è in bilico tra la comicità e la seria osservazione delle forze in gioco, confronto psicologico che prelude ai confronti di forza bruta che seguiranno. Inoltre, si noti come le arti marziali nei wuxiapian non si riducano alla destrezza nella lotta unicamente: chi padroneggia il kung fu possiede poteri eccezionali che sfidano le leggi della fisica (poteri che possono essere usati per cucinare, come fa il protagonista di The New One Armed Swordsman/Xin dubi dao, Zhang Che, 1972, oppure i personaggi parodici di Stephen Chiau, in The God of Coockery/Shi shan, 1996, ovvero Shaolin Soccer/Shaolin zuqiu, 2001).

La taverna come centro scenario fa parte della tradizione del teatro cinese; gli attori si possono esibire in giochi acrobatici con sedie, tavoli, mobili che diventano armi, appoggi, trampolini. Come i personaggi si rivelano essere estremamente diversi da come li si credeva in un primo tempo (l'uomo è una donna, l'ubriacone è il discepolo più dotato di un'antica scuola d'arti marziali), così gli oggetti cambiano statuto e nelle mani fantasiose dei guerrieri (e dei registi) diventano altro, altra forma, altro segno. Il che è a sua volta segno di mobilità, di massima morbidezza, di cambiamento perpetuo e fluido. La lezione sarà appresa e sviluppata soprattutto da Tsui Hark (Once Upon a Time in China 2/Nan er dang ziqiang, 1992) e da Jackie Chan; entrambi costruiscono alcune delle scene più memorabili dei loro film su un oggetto, pervertito e mascherato, che diviene fonte di gag o trampolino di lancio per fantasiose acrobazie ginniche, in spregio alla gravità.

Parimenti, le stesse caratteristiche si possono attribuire alla costruzione della trama e al tono generale dell'opera. La mescolanza dei generi, è noto, è caratteristica pregnante della maggior parte dei film hongkonghesi. Si attua infatti un continuo, stordente alternarsi di registri che può sconcertare o entusiasmare il pubblico contemporaneo occidentale.

Gli avversari interrompono il combattimento sul più bello per fornirsi spiegazioni sulle azioni reciproche. Due antagonisti si incontrano dopo anni e non combattono, bensì si ricordano a vicenda i debiti reciproci, per mettere bene in chiaro le dinamiche dell'onore e delle vendetta che li muovono. Idem per gli scenari: il cinemascope (nella sua variante Made in Hong Kong, lo Shawscope) ben veicola il godimento estetico per i paesaggi naturali, il deserto arrossato dal sole morente, le ampie praterie dove minuscole figure di uomini cavalcano in ordinate file. Subito dopo, e senza soluzione di continuità nel tono della narrazione appare un fondale di barocca falsità (il rifugio di Drunken Cat), dai colori fiammeggianti, avvolto da brume violacee.

Un'alternanza inedita si attua anche a livello della narrazione. Se un bambino viene ucciso senza pietà (con, anzi, una bella gettata di sangue sul volto del suo assassino), ciò non impedisce poco dopo di assistere alla banda di orfani capeggiati da Drunken Cat di esibirsi in una canzone teatrale, coreografata all'interno della taverna esattamente come se i piccoli usignoli si trovassero sul palco del teatro di quartiere. Dalla più cinica e quasi oscena violenza (la messa a morte di un innocente per puro sadismo) si passa alla leggerezza fatua dello show di Drunken Cat (che si fa passare per un innocuo viandante).

Tutta questa energia barocca emana una bellezza caotica che trova il suo ordine e la sua ragion d'essere nelle scene di combattimento: numerose, ma non onnipresenti, esse sono entrate di diritto nella storia del cinema. La musica cessa. Il gioco si fa serio. La mdp riprende Golden Swallow, spesso sola, circondata dai nemici, che misura con precisione i suoi colpi. Il quadro gioca con le geometrie dell'architettura del tempio per creare un senso d'incombente minaccia. Scene dal rapido montaggio (un colpo di spada, un gesto che para un calcio, uno sguardo) si alternano a silenziosi piani di una certa durata, in cui, perfettamente sincronizzati, i combattenti si spostano e la mdp li segue eseguendo fluidi travelling laterali. Sfidando ogni realismo, ma coerentemente con la loro immagine, gli eroi perdono peso, e leggeri si librano sulle teste dei loro avversari, trampolini nascosti dall'architettura facilitano loro salti mortali e piroette di grande impatto visivo, accompagnate da una sonorizzazione che accentua il fruscio delle vesti e dei mantelli nell'aria.

In Come Drink With Me i colori sono definiti, le scene precise, la velocità rappresentata, più che lasciata intuire, come avverrà nelle opere successive del regista. King Hu si dirigerà infatti verso una progressiva stilizzazione del montaggio: nel più tardo Raining in the mountain/Kongshan lingyu (1979) riprenderà figure già sperimentate (le architetture del tempio come elementi sensibili dell'azione nell'alternanza di ferro e legno, pietra ed acqua; l'eroina che si muove felina all'interno) muovendo però la mdp con velocità inedita, sciogliendo i corpi in una serie di pennellate al limite dell'astrattismo, per cui la velocità non sarà più vista, ma rappresentata dalle linee di movimento. Il montaggio virtuoso dona leggerezza gli attori: la stessa cascata (stunt), per esempio, non sarà semplicemente resa dalla rappresentazione della sua traiettoria, bensì ripresa da tre telecamere differenti a differenti distanza, ed il regista monterà in successione lo stesso corpo che cade, prima lontano, poi più ravvicinato, ed infine in primo piano. Il movimento sarà così scomposto, frammentato, velocissimo. L'immagine che resta sulla retina: frammenti di colori, il drappeggio rapido dei vestiti, il volo del corpo libero dalla gravità. Le immagini sono di forte impatto, nettamente disegnate: i colori dei costumi, le scene d'insieme, i silenzi carichi di tensione con cui la scorta del magistrato attraversa il deserto ed attende l'agguato dei nemici, oppure ancora il fiato che manca quando Golden Swallow scende la scalinata del tempio, circondata da nemici, che ancora non osano muoversi (la ragazza brandisce le sue mortali spade) ma che tremano, pronti ad attaccare, sotto un cielo d'un blu cristallino di netta bellezza.

Corrado Neri