The floating landscape

La regista Carol Lai Miu Suet (nata a Hong Kong nel 1966) nel suo secondo lungometraggio costruisce un racconto centrato esclusivamente sui sentimenti soggettivi di una giovane donna che cerca di esorcizzare il dolore per la perdita del suo innamorato

THE FLOATING LANDSCAPEdi Carol Lai Miu-suet

 

Il cinema, ricorrentemente e con molteplici gradi di intensità, ha saputo mostrare i paesaggi come realtà vive e complesse che mutano perennemente non solo rispetto alla capacità percettiva dell'occhio di chi li osserva (come per lo più accade ai fotografi e ai registi), ma anche in relazione all'esperienza e al sentimento di chi nell'ambito di uno specifico paesaggio ha vissuto alcuni momenti fondamentali, di quelli che lasciano cicatrici profonde (come di norma non accade a fotografi e registi).

Distaccandosi dalla coordinate tematiche entro le quali si collocano gran parte dei film di registi cinesi contemporanei (la coproduzione, oltre alla Cina, coinvolge la Francia e Hong Kong) la regista Carol Lai Miu Suet (nata a Hong Kong nel 1966) nel suo secondo lungometraggio costruisce un racconto centrato esclusivamente sui sentimenti soggettivi di una giovane donna che cerca di esorcizzare il dolore per la perdita del suo innamorato (un pittore deceduto a causa di una malattia incurabile), andando sulle montagne native dell'uomo alla ricerca della rappresentazione di un luogo, reso straordinario dall'esplosione della fioritura primaverile, che era divenuto l'ossessione dei suoi ultimi giorni di vita. È una ricerca che la costringe a cambiare città, lingua, conoscenze e a confrontarsi con la forza, timida ma incisiva, di nuovi affetti che si intrecciano con le luci, gli spazi e le socialità dell'ambiente. "Ciascuno conserva dentro di se un paesaggio galleggiante, che rappresenta l'essenza dell'esistenza", ha spiegato l'autrice.

The Floating Landscape è una commedia in bilico fra il dramma venato di nostalgia melanconicamente funeraria e il problematico interrogarsi sulla microfisica degli affetti. La messa in scena è forse troppo piana e priva di invenzioni narrative, eccessivamente pudica nel cogliere i tumulti esistenziali dei sentimenti e, per questo, al contempo prevedibile e artificiosamente improvvisata nella conclusione. Pur con uno stile che non sa molto coinvolgere emotivamente lo spettatore né scavare con incisiva profondità nei personaggi, l'autrice riesce però a tratti ad affascinare per la sua semplicità narrativa e soprattutto per la capacità di cogliere il legame (in Occidente quasi completamente rimosso) fra dinamica dei sentimenti e anima del paesaggio. Forse non è molto, ma quel poco è tutt'altro che scontato e da ignorare.

G.B