Begam Fātmā: La Prima Regista, ma non la sola

Benché la regia femminile nella cinema indiano diventi consistente solo in tempi recenti, tentativi in questa direzione si sono verificati fin dagli anni Venti. La prima donna a mettersi dietro la macchina da presa è Begam Fātmā, che realizza il primo film nel 1926. L'esempio non rimane isolato.

 

BEGAM FĀTMĀ: LA PRIMA REGISTA, MA NON LA SOLA

 

Courtesy
National Film Archive of India

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando in India nasce il cinema, la donna non c'è: le arti di rappresentazione erano da secoli considerate inadatte alle donne rispettabili, per diventare monopolio di quelle non rispettabili. Ma inizialmente neanche quelle accettano di presentarsi davanti alla macchina da presa, considerandola un'esposizione al pubblico biasimo. La prima eroina di questo cinema è infatti un uomo, cosa per altro diffusa anche in diversi generi teatrali e non solo in India. Annā Sālunke, un giovane cuoco, è "la protagonista" del primo film indiano, Rājā Harishchandr, diretto nel 1913 da D.G. Phālke (1870-1944). La prima donna a recitare, nel secondo film di Phālke, Bhasmāsur Mohinī (1913), è Kamlābāī Gokhle, scomparsa di recente, sulla quale nel 1992 è uscito Kamlābāī, un documentario di Rīnā Mohan. Ma, anche quando entrano nel cinema, le donne non hanno grande spazio, se non in casi rari, poiché in genere i film ruotano intorno al protagonista maschile. Ciò non significa che siano mancate star femminili, eurasiatiche inizialmente, come Patience Cooper, Renee Smith (n. 1912), meglio nota come Sītā Devī, e Ruby Myers (1907-83), anche lei nota col nome indiano di Sulochnā, seguite poi dalle autoctone, come Gauhar (1910-85) o, meglio, Glorious Gauhar, come veniva definita. Ma stars o non stars, le donne non godevano, nemmeno nell'ambiente di lavoro, dello stesso status dei colleghi maschi. Non solo erano pagate di meno - e inizialmente gli attori erano semplici "impiegati" degli studi - ma venivano "assunte" in prevalenza come attrici-cantanti-ballerine: come esecutrici, cioè, non come autrici, ad esempio come registe.

Tuttavia, benché la presenza femminile nella regia cinematografia indiana sia diventata consistente solo in tempi recenti, in modo occasionale e in via eccezionale le donne sono riuscite ad avventurarsi anche in questo territorio fin dagli anni Venti.

Ad aprire la strada è Begam Fātmā: moglie del navāb di Sachin, è tra le prime donne di famiglia altolocata a scegliere la carriera di attrice cinematografica, contribuendo a lavare via la fama di luogo di perdizione che circonda la nuova forma di intrattenimento. In un primo tempo, Begam Fātmā recitava nel teatro parsi, che si era sviluppato verso la metà del XIX secolo, sostenuto dalla comunità mercantile dei parsi, zoroastriani emigrati dalla Persia intorno al VII sec. e stabilitisi nell'India occidentale, principalmente nell'area di Bombay (oggi Mumbai). Come molti artisti di quella forma teatrale, che comincia a declinare di pari passo con l'ascesa del nuovo medium, anche Begam Fātmā passa al cinema e nel 1922 interpreta il primo film (mitologico):Vīr Abhimanyu, diretto da Manilāl Joshī. Dopo aver preso parte a diversi film di successo, come Gul-e-Bakāvalī (Il fiore di Bakāvalī, 1924, regia di Kanjībhāī Rāthaur), racconto popolare, di origine persiana, di principi, fate e fiori magici; e Prithvī Vallabh (o The Lord of Love and Power, 1924, re. Manilāl Joshī), uno dei grandi film storici del muto, Begam Fātmā fonda nel 1926 una sua compagnia cinematografica, la Fatma Film Corporation, divenuta poi Victoria-Fatma Film Corporation (1928). Produce, scrive e dirige otto film, nessuno dei quali si conserva. Il primo - e il più noto - è Bulbul-e-Paristān (L'usignolo del Paese delle fate, 1926), di genere fantastico, di grosso budget e ricco di effetti speciali. Tra gli altri successi, Hīr Rānjhā (1928), basato su una leggenda popolare, la cui versione letteraria più famosa è quella panjabi di Vāris Shāh (1738-98); e Shakuntalā (1929), tratto dal dramma omonimo di Kālidās (IV-V sec).

In diversi film, diretti da lei o da altri registi, le sono accanto una o due delle tre figlie: Sultānā (la più bella), Shahzādī (la più giovane e sexy) e soprattutto Zubaidā (1911-90). Quest'ultima, a vent'anni già una delle attrici più note del cinema muto, ha la ventura di essere la protagonista del primo film primo sonoro indiano, Ālam Ārā (1931, re. Ārdeshir Īrānī) e in seguito di altri film fortunati. Seguendo le orme della madre, nel 1934 Zubaidā fonda con il regista Nānūbhāī Vakīl (1904-80) la compagnia di produzione Mahalakshmi Cinetone.

Begam Fātmā non resta un esempio isolato. Altre attrici - come lei, madri di attrici divenute ancora più illustri - diventano in seguito produttrici e registe. Tra queste, Jaddan Bāī (n. 1908), cantante, musicista e attrice di Allahabad, fonda nel 1936 la Sangeet Film Company. Nei film da lei diretti - quali Talāsh-e-haq (In cerca di giustizia, 1934), Hriday manthan (Il frullamento del cuore, 1936), Madam Fashion (1936), Motī kā hār (La collana di perle, 1937) - comincia a recitare a cinque anni la figlia Fātimā, destinata a diventare la grande attrice Nargis (1929-81).

Anche Shobhnā Sāmarth, nata a Bombay nel 1916, attrice regina del genere mitologico (Bharat milāp [L'incontro di Bharat], 1942; Rām rājya [Il regno di Rām], 1943, re. Vijay Bhatt), diventa produttrice e regista per lanciare con Hamārī beti (Nostra figlia, 1950), la quattordicenne figlia Nūtan (1936-91), poi una delle grandi attrici degli anni Cinquanta e Sessanta. L'altra figlia, Tanujā, diventa a sua volta un'attrice molto nota. E la tradizione continua ancora oggi.

Pratimā Dāsgupta (n. 1922), invece, non ha figlie da lanciare. Di famiglia bengalese altolocata, studia in Inghilterra e a Shantiniketan (sede della scuola [1901], poi università Vishva-Bhārtī [1921], fondata da Tagore) e diventa attrice contro il volere dei genitori, debuttando nel film Gorā (1938, re. Naresh Mitr), tratto dal romanzo omonimo del 1907 di Tagore. Si trasferisce poi a Bombay e diventa produttrice e regista di tre film: Chhamiyā (1945), Jharnā (La sorgente, 1948) e Pagle (I folli, 1950). Jharnā viene considerato troppo esplicitamente erotico e ne viene proibita la circolazione dall'allora ministro capo della regione, poi primo ministro indiano dal 1977 al 1979, Morarji Desai (dopo che l'aveva visto, pare, nove volte di fila). Disgustata, Pratimā abbandona il cinema .

Quanto a Begam Fātmā, la sua attività di regista dura solo quattro anni, fino al 1929. Negli anni seguenti, continua a recitare per altri registi. L'ultimo film a cui prende parte, nel 1938, è Duniyā kyā hai (Cos'è il mondo, re. G.D. Pavār), tratto da Resurrezione di Tolstoj, che è anche l'unica avventura nella produzione della famosa attrice Lalitā Pavār (n. 1916).

Filmografia
(come regista e produttrice)

Bulbul-e-Paristān (L'usignolo del Paese delle fate, 1926)
Chandrāvali (1928)
Hīr Rānjhā (1928)
Kanaktārā (Stella d'oro, 1929)
Milan dīnār (1929)
Nasīb nī devī (La dea del destino, 1929)
Shakuntalā (1929)
Shāhī chor (Il ladro reale, 1929)

Bibliografia
Chatterjee, P., Gentle Subversion of the Status Quo. Over the Years, in "Cinemaya", 25-26, Autumn-Winter 1994-1995, pp.18-19.
Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London, p. 90.

Cecilia Cossio