Ānand Patvardhan: il documentario come arma

Ānand Patvardhan incarna la lotta contro le tante forme di violenza di cui sono vittime i deboli e i poveri del mondo indiano. Le sue opere, oggetto costante di denunce e blocchi censori e sempre assolte dalle iniziali imputazioni, vengono poi premiate con riconoscimenti nazionali e internazionali.

 

ĀNAND PATVARDHAN: IL DOCUMENTARIO COME ARMA

 

Nel campo del documentario indiano, se c'è un nome che incarna la lotta contro la violenza, lo sfruttamento e l'oppressione, quello è Ānand Patvardhan, divenuto un divo suo malgrado per le vicende che hanno accompagnato il suo lavoro.

Nato a Bombay nel 1950, sociologo, studia a Boston, dove realizza il suo primo film, Business as Usual (1972); dal 1972 al 1973 lavora come volontario in un programma rurale di istruzione e sviluppo nel Madhya Pradesh, mentre l'anno dopo partecipa al movimento di Jay Prakash Narayan (1902-79), tra i padri fondatori del partito socialista indiano (1934) e figura illustre del movimento nazionale, affettuosamente chiamato JP. Ritiratosi dalla politica attiva nel 1957, JP era tornato alla ribalta nel 1974, quando si era posto alla guida di un ampio movimento di opposizione al governo. Indira Gandhi aveva risposto con la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale del 1975, a cui erano seguite l'incarcerazione di centinaia di oppositori, tra i quali anche JP, e la limitazione delle libertà civili.

È in queste circostanze che Ānand Patvardhan realizza due documentari che lo impongono all'attenzione: Waves of Revolution (o Krānti kī tarangen, 1975), che segue le agitazioni del gruppo studentesco Navnirman (Ricostruzione) e il movimento non-violento di JP per una radicale riforma terriera; ma soprattutto Prisoners of Conscience (uscito nel 1978), molte scene del quale sono state girate clandestinamente durante il 1975. Questa seconda opera, di scarna essenzialità e lapidariamente incisiva, è un'indagine sulle condizioni di detenzione dei prigionieri politici (e non) che porta alla luce la pratica diffusa di brutali torture, prima, durante e dopo l'Emergenza. In questi due primi lavori sono già evidenti i tratti che rendono riconoscibile lo stile di Ānand, come l'uso della sua voce nelle interviste, mentre regge la macchina da presa, le sue personali considerazioni e il commento musicale, esso stesso strumento di lotta, talora affidato, come in questo caso, a semplici, quanto efficaci composizioni create dagli stessi protagonisti dei suoi soggetti; altre volte, invece, ad assumere questo ruolo sono i versi di famosi poeti.

Dopo aver trascorso un periodo in Canada, per seguire un corso post-universitario a Montreal, per cui prepara una tesi sul tema Guerrilla Cinema: Underground an in Exile (1982), Ānand Patvardhan torna in India e continua a documentare una realtà che mette impietosamente a nudo i lati violenti, oppressivi ed oscuri nascosti sotto il mistico manto del paese non-violento per antonomasia. Nascerà così la trilogia sull'ascesa dell'induismo militante a partire dagli anni Ottanta: Unān mitrān dī yād pyārī (o Un mitron kī yād pyārī o In Memory of Friends, 1989); Rām ke nām (o In the Name of God, 1991); e Pitri putr aur dharmyuddh (o Father, Son and Holy War, 1995).

Il primo affronta il tema del confronto violento che oppone negli anni Ottanta il governo centrale al movimento separatista del Panjab e due comunità religiose, hindu e sikh. Il documentario evidenzia la strumentalizzazione politica della figura del rivoluzionario panjabi Bhagat Sinh (1907-31), operata sia dai separatisti sikh sia dal governo centrale, mentre dà volume alle voci che invitano alla convivenza pacifica da entrambe le sponde e alla loro opera di sensibilizzazione tra la gente. Rām ke nām, invece, affronta l'antagonismo violento che contrappone gli hindu ai musulmani, molto più fenomeno dell'India moderna che tradizione endemica e secolare, come emerge limpidamente dalla trista vicenda che culminerà nel dicembre 1992 con l'abbattimento della moschea di Ayodhya, da parte di estremisti hindu. Conclude la trilogia il documentario Pitri putr aur dharmyuddh, diviso in due parti; Agniparīkshā (L'ordalia del fuoco) e Hero Pharmacy. Il documentario precedente si concludeva prima della demolizione della moschea di Ayodhya. Agniparīkshā si apre con le immagini e le voci spaventose delle violenze avvenute in seguito a Bombay ma, attraverso la vicenda di una donna immolatasi - si fa per dire - sulla pira del marito defunto nel 1987, prende avvio una nuova indagine sui rapporti tra estremismo religioso e machismo. Questa prospettiva trova ampio sviluppo nella seconda parte, Hero Pharmacy, che pone l'accento sulla retorica sessista usata in contesti diversi: il rapporto uomo-donna, la contrapposizione hindu-musulmana, la scelta tra violenza e non violenza. Come tutte le sue opere, anche questa trilogia si chiude sulla possibilità di una speranza, che trova conferma sia nelle tracce di un'antica civiltà pre-patriarcale sia nella quotidiana pratica di solidarietà tra oppressi di comunità diverse.

La violenza e l'oppressione di una società si possono esplicare in modi diversi dagli scontri diretti tra opposte visioni pseudo-religiose o politiche. Il degrado ambientale e sociale è una faccia alternativa della violenza che nell'opera di Ānand Patvardhan si concretizza in quella che si può identificare come seconda trilogia: Hamārā shahar (o Bombay Our City, 1985); A Narmada Diary (1995, in collaborazione con la regista Sīmantinī Dhūru); e la sua opera più recente, War and Peace (o Jang aur aman, 2002). Hamārā shahar esplora le subumane condizioni di vita dei pavement dwellers, emigrati a Bombay dalle campagne e utilizzati come manodopera avventizia in molti settori essenziali dell'economia urbana, e documenta i brutali tentativi per espellerli dai loro improvvisati tuguri, macchia e ostacolo per un uso più vantaggioso e decoroso del suolo pubblico. A Narmada Diary riguarda invece il dramma ambientale e umano seguito al progetto delle grandi dighe (e delle numerose altre minori) costruite dalla fine degli anni settanta sul fiume Narmadā (che attraversa tre stati: Madhya Pradesh per il 90%, Maharashtra e Gujarat), delle quali la Sardār Sarovar, in via di costruzione, è la più grande. Il colossale progetto, non compensato dall'atteso ritorno idrico ed energetico, ha dato origine a un movimento per la salvaguardia della Narmadā (Narmadā Bachāo Āndolan), nato nel 1985, che ha avuto risonanza internazionale.War and Peace, l'opera più recente, affronta invece il tema nucleare. Si apre con l'assassinio di Gandhi, che predicava la non violenza e il disarmo totale, per saltare alle celebrazioni seguite all'esperimento Pokram-2 (1998); percorre l'intensificarsi degli sforzi per assicurarsi un armamento nucleare, in India e in Pakistan, sottolineando il contrasto tra le orgogliose esternazioni ministeriali per il raggiunto stato di "potenza nucleare" e la voce dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, insieme con lo struggente desiderio di pace della gente comune dei due paesi.

Che le sue opere - certamente collocate in una prospettiva politica di sinistra, ma incontestabilmente documentarie - non siano gradite ai governi che si sono succeduti da Indira Gandhi in poi è certificato dai continui controlli e blocchi censori a cui vengono regolarmente sottoposte. Sempre assolte dalle iniziali imputazioni e oggetto poi di numerosi riconoscimenti, nazionali e internazionali, trovano costanti ostacoli a una libera circolazione. La difficoltà di trovare canali distributivi è stata per Ānand Patvardhan la spinta a creare - con il sostegno di associazioni studentesche, gruppi femministi, movimenti di lotta per le libertà civili e simili - un cinema ambulante, chiamato Samvād (Dialogo), per portare direttamente questi film al pubblico, soprattutto dove non arriverebbero altrimenti, come nelle zone rurali. Per il regista, infatti, il cinema documentario è uno strumento di analisi del disagio economico e sociale del suo paese e un'arma di lotta contro la violenza e la sopraffazione che lo percorrono. Sono queste priorità che determinano il suo linguaggio, essenziale, talora crudo fino alla brutalità, talora anche eccessivo e partigiano, ma intensamente partecipe delle situazioni e degli eventi che affronta e che lo affrontano.

Filmografia
Business as Usual (1972)
Waves of Revolution (o Krānti kī tarangen, 1975)
Prisoners of Conscience (1978)
A Time to Rise (1981)
Hamārā shahar (o Bombay Our City, 1985)
Unān mitrān dī yād pyārī (o Un mitron kī yād pyārī o In Memory of Friends 1989)
Rām ke nām (o In the Name of God, 1991)
The Other Side (1993)
Nāhi āmhi vānar bānnar (o We Are not Your Monkeys, 1993)
Pitri putr aur dharmyuddh (o Father, Son and Holy War 1995)
Occupation: Mill Worker (1996)
A Narmada Diary (1996, con Sīmantinī Dhūru)
Fishing in the Sea of Greed (1998)
Ribbons for Peace (1998)
War and Peace (o Jang aur aman, 2002)

Bibliografia
Cossio, C., 1995, "Mammo" e "Il creato" nella cinematografia indiana, in "cinema nuovo", 44°, 3 (355), maggio-giugno, pp. 5-9.
Cossio, C., 1998, Il classico e il militante e La quiete e la tempesta: Satyajit Ray e Anand Patvardhan, in "Circuito Cinema", VIII (XIII), 7, ottobre, pp. 1 e 11, 3-4.
Gangar, A., & Yardi, S.,1993, The documentary aesthetic. A discussion on the documentary medium with Anand Patwardhan, in "Cinema in India", IV, 2, February, pp. 18-25.
Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London, pp. 161-162.

Cecilia Cossio