Satyajit Ray: chi era costui?

Satyajit Ray è ancora, in Occidente, l'unico cineasta indiano nei confronti del quale non si pone la fatidica domanda. Una nutrita bibliografia ragguaglia sulle sue aristocratiche origini, sulle vicende legate al suo primo film, il cui straordinario successo consacra l'autore come il Maestro del cinema indiano, e sull'ininterrotto plauso che accompagna ogni nuova creazione del regista. Ma Satyajit Ray è sia mal conosciuto che poco conosciuto.

 

SATYAJIT RĀY: Chi era costui?

 

Satyajit Ray (1984)
Ecco l'unico cineasta indiano nei confronti del quale non si pone la fatidica domanda. Su Satyajit Ray esiste una nutrita bibliografia, indigena e straniera, che ragguaglia sulle vicissitudini che hanno accompagnato la realizzazione nel 1955 di Pather panchali, primo cimento di un giovane appassionato di cinema, ma professionalmente vergine. Lo straordinario successo del film (a Cannes) trasforma l'autore, in Occidente e poi in India, da tal Satyajit Ray nel Maestro del cinema indiano tout court, con ininterrotto plauso (sempre in Occidente), dal Leone d'oro del 1957 per Aparajito fino alla Legion d'onore nel 1992, anno della sua morte. In breve, il solo cineasta indiano a non avere bisogno di grandi presentazioni. O meglio, quello che ne avrebbe bisogno forse più di ogni altro. Invero, Satyajit Ray è sia mal conosciuto che poco conosciuto.

Per sgombrare il campo da malintesi, precisiamo subito che Satyajit Ray è una delle più grandi figure che in oltre un secolo di vita abbiano prodotto le cinematografie indiane. Le cinematografie indiane, poiché non esiste il cinema indiano, almeno non più di quanto esista il cinema europeo, ex-impero sovietico compreso fino a Vladivostok. Quella fantastica invenzione che è l'India non è solo un grande paese, ma è soprattutto una Unione di Stati, storicamente e culturalmente molto diversificati, con 15 lingue letterarie riconosciute e quasi altrettante cinematografie, alla faccia della ‘unità nella diversità'. Per limitarsi al solo dato linguistico, i film di Satyajit Ray, salvo un paio di eccezioni, sono in bengalese, ovvero poco meno che stranieri per molta parte dell'India. Ma anche l'ispirazione bengalese, come la stessa 'indianità' del regista, è stata spesso e continua ad essere (in India) oggetto di dibattiti.

Quanto al plauso occidentale, si cita spesso il neorealismo, si fa il nome di De Sica; oppure si allude a Renoir: sembra quasi che la grandezza di Satyajit Ray risieda in una riconoscibile fisionomia occidentale, mentre l'aspetto indiano che si esalta è quel tanto di universale che tutti possono riconoscere. Per coglierne la specificità bisognerebbe non solo considerare il suo cinema nell'ambito del cinema bengalese e quest'ultimo nell'ambito dei cinema indiani, ma soprattutto sarebbe utile conoscere le fascicolatissime radici di quel medium. Si dirà che l'arte non ha confini nazionali. Forse, ma una qualche conoscenza della cultura e della storia del luogo in cui un'opera nasce permetterebbe di contestualizzarla più correttamente nel panorama vasto da cui trae origine.

In compenso, Satyajit Ray è anche poco conosciuto: a parte la trilogia di Apu e poco altro, la sua produzione, che assomma complessivamente a una trentina di film e qualche documentario, è in sostanza ignota. Una presentazione, anche semplicemente informativa, su questo misterioso 'chi l'ha visto?' è dunque certamente meritoria, e forse persino necessaria.

Cecilia Cossio
Satyajit Ray: chi era costui?, in "CircuitoCinema"
anno XVII, n. 8, novembre 2003, p. 11

Questa, la presentazione del regista in occasione dell'Omaggio a Satyajit Ray (3-11 novembre 2003), organizzato, in collaborazione con il Cinit-Cineforum Italiano, presso la Videoteca Pasinetti di Venezia, nell'ambito delle attività cinematografiche del Comune cittadino, di cui è responsabile Roberto Ellero. A chi legge non sfuggirà certo la sottile vena di insofferenza che pervade il tono generale del testo: questo induce chi scrive a limitarsi per ora ai puri dati. Shesh phir ovvero il resto la prossima volta.

Satyajit Ray (1984)
Satyajit Rāy (1921-92)

Nasce a Calcutta (oggi Kolkata), in una famiglia di grande tradizione culturale. Il nonno, Upendra Kishor Rāy Chaudhrī, è editore, musicista, pittore e illustre scrittore di racconti per bambini. Anche il padre, Sukumār Rāy, scrive: è un noto autore di limericks. Satyajit ha solo due anni, quando Sukumār muore, lasciando la famiglia in precarie condizioni economiche; qualche anno dopo, insieme con la madre, Satyajit si trasferisce a vivere presso uno zio materno. Dopo la laurea in economia all'università di Calcutta, frequenta per oltre due anni (1940-42) il Kalā Bhavan (o Istituto d'arte) di Shantiniketan, l'università fondata da Tagore, con il quale Upendra Kishor aveva un profondo legame di amicizia. È il periodo più fecondo per la formazione culturale e artistica del cineasta, il quale tuttavia non conclude il corso di studi e nel 1943 inizia a lavorare presso un'agenzia pubblicitaria inglese. Appassionato di cinema, nel 1947, insieme con Chidānanda Dās Gupta (poi critico cinematografico e regista), fonda la prima Film Society di Calcutta e comincia a pensare di intraprendere lui stesso quella professione. Nel 1949 ha occasione di incontrare Jean Renoir, che si trova in India per girare Il fiume (1951): è un incontro cruciale per Satyajit Rāy, che lo conferma nella sua decisione. Un'ulteriore spinta gli viene nel 1950, durante un soggiorno di lavoro a Londra, dove ha modo di vedere Ladri di biciclette, rimanendone profondamente impressionato. Comincia così a prendere corpo la sua prima opera e nel 1955, superando molti ostacoli, viene alla luce Pather pānchālī (Il canto del sentiero). Nello stesso anno, il film viene presentato prima a New York, dove è accolto con grande interesse, e due mesi dopo a Calcutta. Ma è nel 1956, a Cannes, che il film ottiene un premio come miglior documento umano, imponendosi definitivamente all'attenzione internazionale. Con Aparājito (L'invitto, 1956), il secondo film – e secondo episodio della cosiddetta 'trilogia di Apu' – Satyajit Rāy vince il Leone d'oro alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia nel 1957. Da allora, salutato come il Maestro del cinema indiano, continua a collezionare plausi e riconoscimenti, fino alla Legion d'onore nel 1992 e nello stesso anno, poco prima della morte, l'Oscar alla carriera.

Satyajit Ray (1984)
I suoi film sono quasi sempre adattamenti di opere letterarie, bengalesi in massima parte (opere di Bhibhūtibhūshan Banarjī, Tārāshankar Banarjī, Rājashekhar Bos, Tagore, ecc.); altri sono tratti dalle novelle di Upendra Kishor Rāy Chaudhrī o di Satyaji Rāy stesso; due film - Shatranj ke khilārī (I giocatorie di scacchi, 1977) e Sadgati (Liberazione, 1981) sono, invece, basati su due omonime novelle hindi di Premchand; infine, Ganshatru (Un nemico del popolo, 1989) si ispira all'omonimo dramma di Ibsen. Tutte le sceneggiature, comunque, sono opera del regista. Oltre che nella regia, nella sceneggiatura (anche per film altrui e testi per documentari) e nella letteratura (oltre alle novelle, ha scritto anche un'autobiografia e diversi testi critici), il multiforme ingegno di Satyajit Rāy si è dispiegato altresì nella musica (da Tīn kanyā [Tre figlie, 1961] in poi, le musiche dei suoi film sono tutte sue), nella pittura e nella grafica: ha iniziato come pubblicitario e illustratore di libri per bambini; molti bozzetti per le scenografie e i costumi dei suoi film sono suoi. Ha un figlio, Sandīp Rāy, anche lui regista.

Filmografia
Films (in parentesi viene dato anche il titolo inglese con cui sono noti):

Pather pānchālī (o Song of the Road, 1995)
Aparājito (o The Unvanquished, 1956)
Pāras patthar (o The Philosopher's Stone, 1957)
Jalsāghar (o The Music Room, 1958)
Apur sansār (o The World of Apu, 1957)
Devī (o The Goddess, 1960)
Tīn kanyā (o Three Daughters o Two Daughters, 1961)
Kanchanjangā (1962)
Abhijān (o The Expedition, 1962)
Mahānagar (o The Big City, 1963)
Chārulatā (o The Lonely Wife, 1964)
Two (1964, corto)
Mahāpurush (o The Holy Man, 1964)
Kāpurush (o The Coward, 1965; in genere, viene presentato insieme con il film precedente)
Nāyak (o The Hero, 1966)
Chiriyākhānā (o The Zoo, 1967)
Gūpī Gāyan Bāghā Bāyan (o The Adventures of Goopy and Bagha, 1968)
Aranyer din rātri (o Days and Nights in the Forest, 1969)
Pratidvandvī (o The Adversary o Siddhartha and the City, 1970)
Sīmābaddh (o Company Limited, 1971)
Ashani sanket (o Distant Thunder, 1973)
Sonār kellā (o The Golden Fortress, 1974)
Jan aranya (o The Middleman, 1975)
Shatranj ke khilārī (o The Chess Players, 1977, in hindi)
Jay Bābā Felūnāth (o The Elephant God, 1978)
Hīrāk rājār deshe (o The Kingdom of Diamonds, 1980)
Pikū (o Pikoo's Day, 1980, film per la televisione)
Sadgati (o Deliverance, 1981, film per la televisione, in hindi)
Ghare bāire (o Home and the World, 1984)
Ganshatru (o An Enemy of the People, 1989)
Shākhā prashākhā (o Branches of the Tree, 1990)
Āgantuk (o The Stranger, 1991)

Documentari:
Rabīndranāth Thākur (Rabindranath Tagore, 1961)
Sikkim (1971)
The Inner Eye (1972)
Bālā (1976)
Sukumār Rāy (1987)

Bibliografia essenziale

Su Satyajit Rāy:
Das Gupta, C, 1980, The Cinema of Satyajit Ray, Vikas Publishing House, New Delhi.
Das Gupta, C, (ed.), 1981, Satyajit Ray. An Anthology of Statements on Ray and by Ray, Directorate od Film Festivals, New Delhi.
Micciollo, H, 1981, Satyajiy Ray, L'Age de l'Homme, Paris.
Nandy, A., 1996, Satyajit Ray's India, in "Deep Focus", vol. VI, pp. 32-38.
Raghavendra, M.K., 1996, The Sins of a Pioneer. Satyajit Ray Re-examined, in "Deep Focus", vol. VI, pp. 39-46.
Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London, p. 184.
Rangoonwala, F., 1980, Satyajit Ray's Art, Clarion Books, New Delhi.
Robinson, A, 1989, Satyajit Ray: The Inner Eye, Andre Deutsch, London.
Seton, M., 1971, Portrait of a Director: Satyajit Ray, Dennis Dobson, London.

In italiano:
Magrelli, a cura di,(s.d.), Il contrasto, il ritmo, l'armonia. Il cinema di Satyajit Ray, Di Giacomo Editore, Roma [catalogo della retrospettiva organizzata dall'Assessorato alla Cultura di Roma, Mostra Internazionale del Nuovo Cinema; raccoglie una serie di testi, molti dei quali tradotti da Das Gupta (ed.) 1981].

Di Satyajit Rāy:
1972, Jakhan chhot chhilām (Quando ero piccolo), Ananda, Calcutta.
1976, Our Films, Their Films, Orient Longman, Calcutta

Cecilia Cossio